Lavoro, c'era una volta la festa di piazza

Lavoro, c'era una volta la festa di piazza
di Ilaria MARINACI
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Venerdì 1 Maggio 2020, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 11:48
C'era un tempo in cui Primo Maggio voleva dire partecipazione. Non era pensabile non essere in corteo in questo giorno. La festa era festa vera e doveva essere onorata con la presenza, celebrata con gli striscioni, battezzata con i comizi e osannata con la musica. C'erano le bande che giravano suonando prima l'inno di Mameli e poi quello dei lavoratori, c'erano le sigle sindacali con i dibattiti, le idee. C'erano i raduni di mattina nei comuni capoluogo e poi fino a sera i tour per i paesi della provincia. C'erano le lotte per la sicurezza sul lavoro a Taranto, quelle contro il caporalato a Brindisi, le contestazioni politiche a Lecce. E c'era anche o forse, c'è ancora uno Statuto dei Lavoratori che, il prossimo 20 maggio, compirà 50 anni. Un documento che segnò la più grande conquista e che oggi privato di quell'articolo 18 che ne costituiva il riconosciuto cuore pulsante ha bisogno di essere riscoperto, aggiornato, forse addirittura ricompilato per adattarlo a un tempo precario. In tutto, ma nel lavoro di più.

Ora ci si è messa anche un'emergenza sanitaria da coronavirus a complicare situazioni che facili già prima non erano. Allora vale la pena, una volta ancora, girare lo sguardo indietro. Per ricordare com'era quando era festa vera, sentita, partecipata. Festa di tutti. Dai braccianti agli operai delle nuove industrie.

Taranto è stata sempre una città industriale ed operaia, da quando, 150 anni fa, furono realizzati l'Arsenale e la base navale fino alla costruzione, negli anni Sessanta, dell'Italsider. «Quando ero ragazzo, negli anni Cinquanta, ricordo cortei immensi racconta Giovanni Battafarano, ex primo cittadino e a lungo parlamentare nelle file della Sinistra e sul lungomare i carri con sopra i lavoratori che sventolavano le bandiere del sindacato. Era una grande manifestazione di popolo. Da sindaco, nel 1984, ero alla testa di uno di questi lunghi cortei insieme al segretario nazionale della Cgil dell'epoca, Antonio Pizzinato».

Per Mario Toma, ex parlamentare del Partito Comunista e oggi saggista, il Primo Maggio era la festa dell'orgoglio del mondo del lavoro. «Non c'era nulla di spontaneo ricorda era tutto costruito e organizzato dai lavoratori stessi. Nelle settimane precedenti, si tenevano iniziative e assemblee nelle fabbriche proprio perché era forte la convinzione che bisognasse mobilitarsi, essere in tanti in piazza. Era anche una sorta di dimostrazione di forza della presenza del sindacato e del partito nel territorio».

Una forte connotazione politica rimarcata anche da Cosimo Zullo, ex sindacalista della Cgil di Mesagne con una lunga militanza nella Federbraccianti pugliese. «Ricordo dice la rivalità, nei paesi della provincia, fra comunisti e socialisti a chi vendeva più copie dell'Unità e dell'Avanti. È vero che era una festa di una specifica parte politica, ma c'erano anche tanti sindaci ed esponenti della Democrazia Cristiana che non volevano mai mancare. La sentivano come una ricorrenza più alta e più nobile perché celebrava il lavoro e i lavoratori».
Ma la piazza del Primo Maggio era anche uno specchio che riverberava le tensioni nel Paese. Gravi fatti di cronaca non potevano essere ignorati e trovavano in quelle adunanze un ulteriore luogo di sfogo. «L'Italsider prosegue Battafarano portò con sé sin da subito una lunga scia di infortuni e morti sul lavoro e poi inquinamento e malattie. All'innamoramento iniziale per quella fabbrica si sostituì ben presto una sorta di progressivo distacco, fino ad arrivare alla delusione di oggi di tutti i tarantini per la riconversione ambientale non ancora avvenuta».

Toma, invece, ha bene impressa nella memoria la festa del lavoro del 1978. «C'era stato il rapimento di Aldo Moro, si era in piena trattativa con le Brigate Rosse e mi ricordo una massiccia partecipazione di persone alla manifestazione in Piazza Sant'Oronzo, dove, accanto ai temi classici, si disse con forza no al terrorismo e si ribadì l'appello per il rilascio del presidente della Dc. Erano anni in cui Lecce, peraltro, era considerata una sorta di roccaforte del Movimento Sociale Italiano, tornato in Parlamento, per cui la festa del Lavoro era sentita dai militanti di sinistra come una continuazione del 25 aprile per rimarcare le libertà democratiche».
Anni in cui non mancarono scontri anche fisici fra rossi e neri, anni in cui si parlava di sindacato unico mentre in Parlamento si faceva fronte comune per arginare i neofascisti. Altro tipo di drammi si vivevano, invece, nelle campagne del Brindisino.

A maggio del 1980, tre giovani donne, braccianti, di Ceglie Messapica morirono in un drammatico incidente stradale su un furgone, con il quale, dopo essere state reclutate dai caporali, si stavano recando alla raccolta delle fragole. «Quella tragica vicenda spiega Zullo che coinvolse tre diciottenni portò all'attenzione mediatica il problema del caporalato. Ricordo come se fosse ieri i giornali e le televisioni nazionali arrivare qui per documentare l'accaduto e, negli anni successivi, anche i vertici della Cgil non fecero mancare la loro presenza nei dibattiti che si organizzavano sul tema, soprattutto nei comuni più interessati, come Ceglie, Cisternino, San Michele, Carovigno».

Negli ultimi vent'anni, la partecipazione ha cominciato a scemare e la manifestazione popolare organizzata dal basso ha conosciuto un inesorabile declino. Tutto è stato centralizzato nel Concertone del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma, organizzato da Cgil, Cisl e Uil, mentre a Taranto, da qualche anno, con l'Unomaggio si ritrova chi, accanto al lavoro, chiede il rispetto della salute e dell'ambiente. Appuntamenti quest'anno annullati dalla pandemia.

«Tra 20 giorni riflette Battafarano celebreremo i 50 anni dello Statuto dei Lavoratori, che a quell'epoca fu una tappa importante perché sanciva il primato del lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ora è il momento di aggiornare quello statuto per estendere diritti e tutele ai tanti precari di oggi». Anche Toma è d'accordo ma, a questo proposito, va ancora oltre. «Andrebbe riscritto nelle sue norme fondamentali perché senza l'articolo 18 non ha più senso. Adesso conclude la questione primaria deve essere la stabilizzazione dei precari».
 
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