Amore, morte e magia: la Sicilia si tinge di giallo

Amore, morte e magia: la Sicilia si tinge di giallo
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 28 Gennaio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio, 10:22

Questa è una storia che arriva da lontano, dal mondo in fermento negli anni Cinquanta dell’Italia del Sud. Ma è anche un racconto senza tempo, perché presenta la tragicommedia della vita, vista dalla particolarissima, esotica, angolazione dei palazzi un po’ decadenti delle antiche aristocrazie meridionali. E qui sono quelle da sempre protagoniste di una Sicilia fastosa, magica, rapita da se stessa e dal suo gattopardismo. Questa è la storia infatti della bizzosa principessina Ottavia di Bauci che, pur avendo giocato con i familiari dei regnanti di mezza Europa da bambina e studiato in prestigiosi college inglesi, finisce per sposarsi con un “mezzo” barone come Rodolfo Polizzi che la porta a vivere in un pertugio del mondo, piccolo come la minuscola Leonforte in provincia di Enna.
Se da un lato sembra il trionfo di una favola d’amore, col barone con la moglie così bella da parer “finta”, dall’altro con l’improvvisa morte del Rodolfo si intuisce ad un tratto che i tratti fiabeschi della narrazione lasceranno presto il passo a toni ben più gialli, financo neri e inquietanti, ma pure sufficientemente divertenti, come solo la vita vera è. Anzi, per dirla con le parole dell’autore, “la realtà è sempre più spiazzante di un romanzo…”.

Lui giornalista, scrittore e autore teatrale è Pietrangelo Buttafuoco, e questa idea la illustra nel suo libro “Sono cose che accadono” che verrà presentato oggi pomeriggio a Lecce. Si tratta di una lunga costruzione storica, articolata e coinvolgente, che collega passato e presente, risolvendo armonicamente un coro di personaggi galleggianti tra le onde del bene e del male. Tra queste danzano tre ancestrali e imperiose figure: il cavaliere, la morte e il diavolo. Che da sempre tutto muovono.

Buttafuoco, cominciamo dal principio. Da dove arriva questa storia complessa, intrecciata tra realtà, fiction e fantasy in una Sicilia del ‘900, decadente e smaniosa?

«Mi ha sempre accompagnato, da quand’ero ragazzo. Nel tempo sono andato raccogliendo pezzi del mosaico. Era pronta prima della pandemia, ma poi non ci è sembrato il momento congeniale per pubblicarla. Nel frattempo mi sono accorto che ripercorrere quegli anni Cinquanta, rimandasse ad una sorta di contrappasso rispetto all’oggi. Infatti si respirava allora un senso di inaudita libertà, impossibile nel presente, che riguardava tutti indipendentemente dal ceto sociale e dal destino. L’altra cosa che mi ha affascinato, col senno del poi, è quell’idea che, pur vivendo in quel punto infinitesimale della cartina geografica, nessuno aveva la sensazione di essere ‘periferia’…».

Si incontrano tra le pagine personaggi reali, come Antonino Buttafuoco…

«Sì, zio Nino, parlamentare siciliano».

E poi altri di finzione, pure ‘fantasy’ come elfi e altre creature. Lei pensa ancora che la realtà superi la fantasia, vero? 

«Certo, il gioco è inesorabile.

Ciò che sembra finto si rivela vero, e quello che è vero sconfina nell’inverosimile e nella fantasia».

Ottavia è la prima portatrice della finzione della storia, anche il marito Rodolfo dice che “è tanto bella da sembrare finta”.

«Lei incarna quel tipo di donna che si fa carico dell’incombenza di programmare il futuro, i mutamenti della sua vita e della società. È una figura francamente seducente e affascinante, perfetta per far ‘perdere’ la strada di casa. E quindi incarna l’inevitabile meccanismo della seduzione che finisce su un crinale dove la vita cede il passo alla morte. Lì a contendersi l’agone ci sono il cavaliere e il diavolo, figure apparentemente inesistenti che in realtà appartengono al destino di tutti noi».

Ottavia ondeggia tra male e bene...

«Questo riguarda un po’ tutti noi. È il meccanismo obbligato attraverso cui capire dove finisce la realtà e inizia la verità, che non sono mai in un rapporto coerente. Nella verità, oltre quello che per noi è nei parametri del bene e del male di un giudizio morale, c’è l’evidenza di una richiesta imposta dal destino... Si vede anche nella fatica del deus ex machina della storia che è Carlo Delacroix, che mette in un certo ordine il caos generato dai destini in gioco».

Leonforte, il luogo della Sicilia in cui si svolge la storia è la città in cui lei è cresciuto. Quanto è qui trasfigurato?

«Forse è nella sua vera essenza. Tutti i protagonisti da me convocati in questa divertentissima tragedia penso che direbbero che l’invenzione letteraria è coerente all’essenza di quel posto. Leonforte è un luogo evocativo già nel suo nome ed è un pretesto per raccontare un luogo letterario universale. Racconti qui un cortile, e in quel cortile contemporaneamente si apparecchia il cosmo per essere allo stesso tempo spettatore e protagonista della scena».

In questo è un po’ simile a tutto il nostro Sud, tra contraddizioni e bellezze.

«Assolutamente, lo è».

Che cosa significa il titolo “Sono cose che passano”: è un monito per un presente dove tutto scivola via?

«Quello che passa è un preludio di ciò che resta. È tutto incardinato. Per questo ho costruito due finali in questo libro, uno è destinato alla caducità di ciò che passa e l’altro descrive ciò che passa e si incardina nell’eterno. Quel che veramente ami, rimane».

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