Phase 2, nel Salento l'opera da "salvare": «Monumento alla storia musicale del territorio»

Il murales, realizzato nel 1997, si trova al Velodromo di Monteroni

Phase 2, nel Salento l'opera da "salvare": «Monumento alla storia musicale del territorio»
di Alessandra LUPO
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Sabato 4 Dicembre 2021, 05:05 - Ultimo aggiornamento: 12:39

Un graffito che scompare mangiato dal tempo e dai licheni. Ma a ben guardare non si tratta di un “pezzo” qualunque. È un’opera di Phase 2, tra i pionieri mondiali del writing, scomparso due anni fa. 
L’opera in questione si trova nel Salento, per l'esattezza al Velodromo degli ulivi di Monteroni, niente di più lontano dal Bronx in cui Phase 2 (nome d’arte di Lonny Wood) negli ‘80 inventò il carattere baloon, quello con le lettere gonfie come palloncini diventato un’icona anche grafica degli anni ‘80: chiunque abbia bazzicato la street art e il writing gli deve qualcosa. Ma l’artista fu molto di più e nel pieno dell’esplosione della scena Hip Hop in Italia, quando il Salento in estate diventava crocevia di influenze musicali e culturali impensabili per un posto così piccolo e lontano da tutto, fu tra gli ospiti di un’edizione particolarmente riuscita del Gusto Dopa al Sole, festival raggae e hip hop che ha visto sfilare tutti i grandi del periodo. E non certo come semplici ospiti ma piuttosto come sodali di una lunga stagione musicale, iniziata con le Posse. 
A distanza di 25 anni - era il 1997 - l’opera di Phase 2 è stata aggredita dalle intemperie e dai licheni e non tutti sono d’accordo nel lasciare che il tempo faccia il suo corso.


Tra i sostenitori del recupero, attraverso un restauro conservativo che le restituisca altri anni di vita, c’è il docente universitario Antonio Bonatesta. 39 anni, passato da writer messo da parte per lo studio e oggi una cattedra di Storia Contemporanea all’Università di Bari. Ma certe passioni, si sa, non finiscono mai. 
Professore, in tanti credono che la street art debba fare il suo corso degradandosi, lei crede che quest’opera faccia eccezione? Una sorta di documento?
«Io lo chiamerei monumento, un’opera che ci racconta la memoria storica di un movimento culturale, quello della scena hip hop - ragamuffin salentina e delle sue profonde connessioni con il contesto nazionale e internazionale».
Un momento d’oro, senza dubbio...
«Un lungo e fertile periodo che va dalla fine degli anni Ottanta e durerà per tutti i Novanta, in cui il Salento ebbe una centralità assoluta sulla scena hip hop all’interno di una sub cultura musicale che aveva delle sue roccaforti in città come Milano, Bologna, Roma e Torino accanto alle quali Lecce divenne una sede per nulla secondaria. Uno degli elementi caratterizzanti fu la circolazione di una migrazione studentesca e intellettuale che permetteva di raccogliere ed elaborare in modo originale una serie di stimoli che arrivavano dall’Estero. Il profondo legame delle Posse salentine con realtà musicali come l’Isola nel cantiere di Bologna e l’Isola Posse all stars. Dj War, Treble e Gopher furono i costruttori di quella scena da cui emersero ad esempio i Sud Sound System».
Insomma, il murales secondo lei conserva la memoria di tutto questo e va salvato?
«In altre città questo tipo di murales sono al centro di interventi di recupero, anche con raccolte di fondi. A Quattordio, in Piemonte (provincia di Alessandria) c’è un’opera di Phase 2 del 1984 sui cui nel 2017 è stato eseguito un intervento conservativo finanziato attraverso un crowfounding. Le istituzioni si sono agganciate dopo, affiancando le associazioni di writer e streetartist e ora è in corso un nuovo progetto di tutela del bene».
Phase 2 era ancora vivo, però. Fu interpellato?
«Sì, e si pronunciò a favore di un restauro che ripulisse e proteggesse il suo lavoro senza però aggiungere colore».

 


Salvare un murales non snatura quindi la sua filosofia estemporanea e in qualche modo “rubata”?
«Il graffito rappresenta sia il segno lasciato sullo spazio urbano sia un’opera e una volta che si storicizza diventa un bene culturale. In questo momento il pezzo di Phase 2 a Monteroni ha questa natura ibrida: è un’opera di street art ma anche un bene culturale che rappresenta un pezzo della storia culturale di questo territorio».
E allora lei cosa propone? 
«Certamente non di musealizzarlo. Io credo che la soluzione possa passare da un dibattito tra amministrazioni, associazioni del territorio e la comunità degli streetartist e dei writer per un confronto aperto sul destino di quest’opera e sulle eventuali prospettive di conservazione e recupero, partendo da una premessa irrinunciabile: il pezzo deve restare quello che è, come disse lo stesso autore nel caso di Quattordio nel 2017»
In che modo si potrebbe intervenire?
«Anzitutto ripulendolo e bloccando i processi di corrosione. Allungando in qualche modo il ciclo di vita del graffito. Ma come farlo e come valorizzare questo pezzo di storia che sta scomparendo dovrebbe essere deciso tutti insieme. La street art e il writing, così come altri aspetti della cultura legata all’hip hop hanno ormai una storia lunga e strutturata, che in questo caso chiama direttamente in ballo il nostro territorio che oggi è quello che è anche grazie a quello straordinario periodo. Sarebbe un peccato bollarli come fenomeni passeggeri e disinteressarsene».
D’altronde, come si legge nel manifesto del crowfunding della cittadina piemontese “è curioso pensare che a New York, dove la cultura del Writing è iniziata, non esista più un muro come quello che si può ammirare nel paese di Quattordio, dai giovani writer Phase 2, Delta 2 ed Ero, che sono diventati poi leggende in tutto il mondo. Questo ci fa capire l’importanza e l’unicità dell’opera che questa città custodisce, unica in tutto il mondo, che si è salvata proprio perché in un paese fuori dalle rotte della contemporaneità”.
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