Petruzzelli, 30 anni fa in fumo teatro e sogni

Petruzzelli, 30 anni fa in fumo teatro e sogni
di Anita PRETI
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Martedì 26 Ottobre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:18

Nella notte, questa, che sta per cominciare, ma trent’anni fa, un incendio distrusse una parte della storia di Bari e le fiamme si portarono via l’anima del teatro Petruzzelli che è stato ricostruito 18 anni dopo ma, pur essendo quasi identico, non è più lo stesso. Oggi è un bellissimo teatro, l’altro trent’anni fa era tra i più belli d’Europa. Oggi lavora a pieno ritmo ma allora era un faro per la cultura intercontinentale. Oggi ha una storia giovane, ieri aveva alle spalle una storia secolare. E l’anima volata via, come un fuoco fatuo, era costituita da sogni speranze ambizioni di uomini e donne che avevano faticato non poco per mettere insieme risultati spettacolari. 

A Bari tutti i più grandi nomi dello spettacolo

Li aveva riuniti intorno a sé (una decina, non di più) Ferdinando Pinto un giovane imprenditore dello spettacolo che proveniva da una famiglia che con questo settore aveva sempre avuto rapporti privilegiati (dal cinema al giornalismo). In soli dieci anni Pinto aveva portato il già celebre politeama barese a livelli inimmaginabili: uno partiva e l’altro arrivava, Frank Sinatra e Riccardo Muti, Maurice Bejart e Tadeusz Kantor, Peter Brook e Martha Graham, Roland Petit e Zizi Jeanmaire, Dario Fo e Mikhail Baryshnikov, Victoria Chaplin e Daniele Gatti, Luciano Pavarotti e Katia Ricciarelli, Raina Kabaivanska Jean Fabre e Liza Minnelli, Eduardo De Filippo e Carmelo Bene, il Piccolo Teatro di Milano e Gabriele Lavia e Luca Ronconi e Maurizio Scaparro e Pier Luigi Pizzi e Moni Ovadia.
E poi Luciana Savignano. La danza sì, perché proprio quest’arte era diventata il punto di forza dei cartelloni: da quella dei grandi nomi, Carla Fracci, Rudolf Nureyev, a quella moderna grintosa di gruppi come La La La Human Steps o di coreografi come Angeline Preljocaj. Un delirio insomma, solo a rileggere l’elenco adesso qui sulla carta. 

La fama di quel grande teatro, rosso come il fuoco che l’avrebbe inghiottito e con una grande cupola che crollando si sarebbe seduta sulle macerie come una chiara d’uovo, dal 1981 al 1991, in quegli ultimi dieci anni strepitosi, aveva valicato confini di terra e di mare e non c’era artista al mondo che non volesse mettervi piede, venire scritturato da Ferdinando Pinto. Il quale aveva alcuni punti di forza, nel suo fare: Guido Pagliaro che era il suo braccio destro, Pierfranco Moliterni e Giandomenico Vaccari al quale era stata delegata (e non sarebbe stato possibile diversamente vista la sua passione) tutta la lirica. Fermandosi a questa voce allora bisognerebbe ricordare le coraggiose grandi produzioni del teatro (come, in prima mondiale, “I Puritani” di Bellini nell’edizione di Napoli) molte delle quali legate a memorabili tournée di artisti, coro e orchestra. Così nascono “Il barbiere di Siviglia” che va anche a San Pietroburgo, dove è stato composto da Giovanni Paisiello e “Il Barbiere” del suo rivale, Rossini, che va in Brasile; “Ifigenia in Tauride” di Piccinni che va a Parigi; e ancor “Aida” interamente realizzata dinanzi alle Piramidi, a Giza, in Egitto.

Set per Herbert Ross e Franco Zeffirelli

Se l’invito da parte del teatro non arriva o tarda i grandi artisti si autoinvitano: interminabile l’elenco dei nomi che prendono parte ad Azzurro, la manifestazione canora organizzata da Vittorio Salvetti, ed ecco poi il Petruzzelli diventare un set per registi come Herbert Ross e come Franco Zeffirelli che vi ambienta alcune sequenze de “Il giovane Toscanini” con Liz Taylor che si trova a suo agio a Bari e che gradisce molto l’adorato pollo immancabile sulla mensa dei suoi frugali pasti. Zeffirelli, tra l’altro, era reduce da un “Otello” girato non molto lontano, a Barletta, con Placido Domingo e Katia Ricciarelli protagonisti principali; il tenore messicano, poiché la sua terra è stata scossa da un terribile terremoto nel settembre 1985, vuole tenere al Petruzzelli un concerto in onore della sua gente. 

Insomma si trovi ancora oggi al mondo un teatro privato che abbia potuto o possa agire in questo modo. Una specie di miracolo e proprio tale era stata la sua nascita con il racconto che sembra ormai una fola dei fratelli Antonio ed Onofrio Petruzzelli, due commercianti baresi, che mettono via soldino dopo soldino per costruire nella loro città un teatro ancora più bello del già esistente Piccinni. Cosa che puntualmente avviene. Dopo un accordo con il Comune, per la concessione perpetua del suolo, il progetto redatto dal cognato dei Petruzzelli, l’ingegnere Antonio Cicciomessere (poi abbreviato in Messeni) arriva a compimento e il 14 febbraio 1903 il teatro viene inaugurato con “Gli Ugonotti” di Meyerbeer, un’opera che fa ancora battere le vene ai polsi di sovrintendenti e direttori artistici dei più blasonati enti lirici tali e tante difficoltà di rappresentazione si porta dietro. 

Era evidentemente segnato il destino del Petruzzelli: “ad maiora”, sempre di più, in alto verso un firmamento di stelle. La famiglia proprietaria di quello scrigno di bellezze non intende gestire direttamente la sala e inizia allora a srotolarsi una sorta di emakimono, un rotolo per dirla alla giapponese, di nomi di impresari. Tra i tanti vanno isolati il primo, Antonio Quaranta, il fautore di quegli “Ugonotti”, e Carlo Vitale che guida con sua moglie Maria il teatro fino alla soglia degli anni Ottanta scritturando tutti i maggiori nomi della scena internazionale (solo la Callas non ha mai messo piede a Bari).

L'era di Ferdinando Pinto

Poi nel 1981 arriva Ferdinando Pinto. Lui è in sala quella sera del 26 ottobre 1991 quando si spengono le ultime note della “Norma” di Bellini. Vi ha assistito anche Carlo Azeglio Ciampi di lì a poco presidente della Repubblica e intanto Governatore della Banca d’Italia. Benché sia l’ultima replica dell’opera, diretta da Roberto Abbado e firmata per la regia da Federico Tiezzi, c’è ancora la stampa nazionale in platea e Rita Sala, prima firma per “Il Messaggero”, ignora di doversi trovare a raccontare di lì a poche ore un fatto che riguarderebbe di più i suoi colleghi della nera. 

Il mistero sulla matrice del rogo

Perché sembra subito chiaro, pur essendo solo una sensazione, che le fiamme non sono partite da un corto circuito (le maestranze, quasi tutte presenti, stanno già smontando le scene) ma sono invece l’atto finale di un crimine pensato altrove. Dove e da chi nessuno lo scoprirà mai. A un anno da quella notte, Sandro Curzi, direttore del Tg3 della Rai, dedicherà la copertina al Petruzzelli e alla sua fine così dicendo: “La vicenda del Petruzzelli è uno dei grandi misteri italiani”. Uno di quei nodi inespugnabili anche per le mani più esperte: debiti, fallimenti, un atto eversivo per mettere le mani sull’assicurazione (mai stipulata) e poi trame oscure ed oscure figure dell’est, tutto viene detto e smentito e detto di nuovo. Mancano solo i veggenti ma già, per questo, basta “Norma” che si conclude con un rogo. 

Alle prime luci dell’alba l’incendio (fiamme oltre la cupola alte più di venti metri), grazie al lavoro dei Vigili del Fuoco, è domato. Ci sono solo cenere, polvere, ferraglie. E tante lacrime, tutt’intorno. Ogni cosa è perduta, persi anche oggetti altrui, il pianoforte della Camerata musicale barese che teneva al Petruzzelli i suoi concerti, le opere dell’artista Gianni Aricò che erano in mostra nel foyer.

E persi tutti i piccoli segni quotidiani del lavoro di quei dieci piccoli indiani che avevano seguito Ferdinando Pinto nella riserva dei sogni. 

Lui viene scelto come capro espiatorio. Ha tutte le carte in regola per esserlo: aristocratico nell’essere e nei modi, alto, bello, felice, conteso da teatri e istituzioni come sovrintendente, commissario o direttore (faccia un po’ lui quel che gli va), socialista di Dio come avrebbe detto Zavoli, designato persino alla poltrona di sindaco. Un processo durato sedici anni lo scagiona da ogni accusa.

Quanto agli altri, gli indiani, alcuni da quel fattaccio ne ebbero la vita distrutta, altri invece da quel momento iniziarono la scalata o la rimonta, secondo i casi. Purtroppo la compattezza del gruppo venne meno. C’era da metterlo in conto, non sempre le tragedie (un evento di quel genere come altri ancora in corso) rendono migliori. 

Si fermò anche lo spettacolo in Puglia, certamente a Bari: a buoi scappati e stalla vuota fu chiaro a tutti che la prima cosa da fare fosse a quel punto l’obbligo di misure antincendio. Ma era venuta meno per quei tutti anche la voglia di fare perché il Petruzzelli era la locomotiva di Puglia, su quei binari, in quel settore. Ci vollero molti anni per ripartire (il 6 dicembre 2009 l’inaugurazione del teatro ricostruito, già da sei anni indicato come ente lirico) ma senza poter più raggiungere i risultati di una volta. Anche perché un’intera generazione di artisti, nello scorrere lento di quel tempo, era stata spazzata via dalla vita. Restano allora i ricordi: quelli sono intatti e consolano ancora.

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