Quando la periferia non è solo degrado

Quando la periferia non è solo degrado
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Settembre 2021, 05:00

La periferia è un posto dell’umanità. Accanto ai racconti convenzionali del degrado e dell’abbandono (che corrispondono al reale in molti, moltissimi agglomerati periferici) esiste un altrove. Proprio quei luoghi considerati marginali infatti, a volte restituiscono narrazioni di baluardi resistenti di moderna umanità. Spuntano così, tra spiazzi e vicoli dimenticati delle città italiane, virtuose cornucopie di iniziative laboriose, di associazioni spesso spontanee, che danno lezioni di collettività bella, di coesione sociale e che potrebbero diventare le fondamenta su cui costruire quel cambiamento dal “basso” di cui il nostro Paese, e la società occidentale contemporanea tutta, ha tanto bisogno. E non è un classico modo di dire “ripartire dal basso”, affatto: diventa provvidenziale giuntura laddove “dall’alto” non arriva nulla e le istituzioni latitano.

È in realtà proprio questo il necessario contraltare di una politica svuotata e smarrita, poco rappresentativa e poco fattiva rispetto a progettualità e ricostruzione necessaria. E proprio dagli echi di “certe” esperienze arrivati da queste lontane e sperdute periferie, dove accoglienza e solidarietà e cittadinanza attiva non sono parole vuote, si dovrebbe prendere nutriente esempio. C’è insomma una rivoluzione felice e semplice, a portata di mano, come quando ad un figlio un genitore insegna le cose con l’esempio di vita, senza bisogno di dettare troppe regole. 

Esempi inaspettati di "attivismo virtuoso"

È questo, insieme a tanti altri, il sapore che lascia un libro che sembra aver ingoiato forme di futuro possibili e ne stia spiegando nuovi aromi e fragranze, cominciando dal dimostrare che le utopie esistono. È il libro del giornalista Francesco Erbani, “Dove ricomincia la città”, un viaggio tra le periferie del ‘900 nate attorno a sedi politiche e sociali, alle Vele e ai caseggiati ad alta densità di popolazione dove si nascondono esempi di attivismo virtuoso inaspettati, scuole “aperte” ai quartieri oltre i loro ruoli, ed embrionali piccole società organizzate che, molto più di forme istituzionali deputate a questo, sopperiscono alle carenze delle “periferie”, a problematiche legate a difficoltà abitative e sociali in zone dove sono spesso solo concepiti (per conoscere poi un precoce aborto) coloriti programmi elettorali, mai realizzati nei fatti. E non c’è differenza, da Nord a Sud, questo è il Belpaese in una fotografia contemporanea, come recita il sottotitolo, “L’Italia delle periferie. Reportage dai luoghi in cui si costruisce”. 

Erbani, osservatore attento soprattutto di storie di sviluppo delle città, si aggira “con gli attrezzi del cronista, quelli antichi e quelli nuovi, in ciò che si muove, persino si agita, nelle periferie di alcune città italiane o nelle aree afflitte da una condizione periferica”. Infatti, come accaduto per Catania, la periferia indagata seguendo la storia di Franchina, meravigliosa persona che sembra uscita da una favola contemporanea (in cui limitare il discorso chiudendo una figura umana in un “genere” soltanto, diventa riduttivo) e della più nota Goliarda Sapienza, è San Berillo zona geograficamente nient’affatto “periferica” rispetto alla pianta cittadina. 

Spesso la periferia non è più tale

Se un tempo infatti si parlava di quartieri periferici misurando la distanza dal centro, oggi che le città hanno subito lunghe trasformazioni “frutto di decisioni occasionali, maturate nel convergere o nel confliggere di interessi particolari”, non sempre si parla di zone decentrate. Peraltro aree un tempo “periferiche” non lo sono più oggi, perché, spiega Erbani se “il centro era un elemento topograficamente certo, stabile e riconosciuto, individuabile al solo pronunciarne la parola, la periferia indicava un avamposto mobile, slittava con il trascorrere dei decenni e denotava parti diverse della città – e quindi, conclude – periferia diventavano le ultime case costruite ai bordi della città prima che questa finisse”.

Ma via via venivano inglobate.

È il caso della Balduina a Roma dove abita l’autore e da dove inizia il viaggio del libro, che poi prosegue, nella prima parte, tra le tante “periferie” romane tra storia, abusivismo e problematiche urbanistiche mai affrontate, ma anche tra esperienze virtuose che possono rappresentare un esempio contagioso per altre aree. Il libro dimostra che oggi per conoscere questi avamposti dell’umanità e superare quella “cortina di significati immobili, che designano un luogo dove non è immaginabile possa avvenire un cambiamento positivo”, bisogna andarci e guardare. 

È così che Erbani ha visitato da dentro un Paese diverso da quello solitamente raccontato, facendo già un’operazione positiva perché costruttiva, piuttosto che consolatoria. “In questo libro – scrive – tento di raccogliere l’esperienza di chi, in contesti urbani difficili, bollati da un marchio d’irreparabile sventura, dà vita a iniziative diverse, solitamente organizzate dal basso e prova a riscrivere la storia di questi luoghi, convinto che il finale non sia inesorabile. Ed anzi si fa forza di un’ipotesi quotidianamente sottoposta a verifica, secondo la quale in quei contesti si possano costruire occasioni di socialità, di cultura, di espressione artistica…”. 

Così presidi di legalità e di bella umanità si incontrano da Torino a Catania, da Corviale a Venezia zona Marghera, arrivando infine a Scampia, dove tra associazionismo e puntigliosità di persone tenaci si è riuscito a recuperare un grande spazio di verde pubblico. Ognuna di queste articolate esperienze dimostra che, se si vuole, si possono fare piccoli passi per conquistare scampoli di umanità solidale che poi cuciti assieme possono regalare spazi nuovi di cui godere tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA