Visti da (molto) vicino/ Graziano Pellè
I sogni azzurri del bomber “orange”

Graziano Pellè
Graziano Pellè
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 8 Giugno 2014, 20:32 - Ultimo aggiornamento: 20:36
A mangiare pane e tulipani si rischia la fama. Con la “a”. Mettiamola cos. Una coincidenza. Forse un treno. Se s, carico di gol. Trenino no, troppo semplice. E rischioso. Con tutti quei pe pe pe pe pe pe, poi, e Brigitte Bardot (Bardot) Brigitte beijou (beijou), anche. Tra un colpo di tacco e uno di coscia, si sa dove si arriva, una strofa via l’altra: al nocciolo - e che nocciolo - così difficile da mandare giù. E insomma: Brasil, la la la la la la la la. Visto? Per una volta che potevamo andare lì con quel cognome sulla maglia, la nostra, raddoppiato a mo’ di rafforzativo e perciò di sfottò, per una volta che partecipare e va bene ma vuoi mettere anche vincere i Mondiali, e vincere lì, in casa dei maestri, ecco: per una volta niente. Pe pe pe pe pe pe. Pellè. Ma Pellè non c’è. È in vacanza.



Papà Roberto è il custode del museo che Graziano, il figlio, arricchisce a suon di gol. La gran parte del bottino è Made in Olanda. Lui, conquistatore in terra di conquistatori. La stanza del ragazzo, a Monteroni, è tappezzata di maglie, quelle azzurre indossate con la nazionale Under 20 e Under 21. E ritagli di giornale. E trofei vinti. L’altra stanza, quella delle sorelle più grandi, ormai spose e mamme, accoglie le casacche indossate in giro per l’Italia e l’Europa: Lecce innanzitutto, e poi Catania, Sampdoria, Crotone, Cesena, Parma, AZ Alkmaar e Feyenoord. Papà raccoglie, incornicia e accumula. «La più bella? Nessun dubbio: quella giallorossa». Bella forza. Lui, il grande, ci ha giocato, anni fa, in serie C. Attaccante, come sbagliarsi? La lingua batte dove il cuore vuole. In un angolo, un po’ defilato, la parentesi del padre, il proprio scatto d’orgoglio. È un quadretto, foto in bianco e nero. Lui con la maglia della Torres, a Sassari, e accanto un uomo vestito di bianco. No, non il Papa. È Gigi Riva con la casacca del Cagliari. «Un’amichevole. La loro prima uscita ufficiale dopo l’unico scudetto. 1970. Vincono due a zero. Segnano Virdis, ragazzino, 16 anni appena, e “rombo di tuono”, Riva. Un calcio di punizione tremendo. Io in barriera. Feci appena in tempo a schivare quel missile terra-aria. Ho visto solo un altro giocatore calciare con identica potenza, Agostino Di Bartolomei. Era nella Roma, venne a giocare per allenamento con i giallorossi a Civitavecchia; io ero lì. Scagliò di destro una saetta che bucò la rete, nel sette, tra palo e traversa». Un altro calciatore stile lanciarazzi se l’è ritrovato poi come allenatore proprio Graziano, negli ultimi due campionati a Rotterdam col Feyenoord, società blasonata tra campionati e coppe europee: Ronald Koeman. Con lui in panchina il ragazzo partito da tutti i Sud, d’Italia e d’Europa, ha totalizzato una sessantina di reti. Da quelle parti è Pellè-mania. Conclamata.



«Come padre sono orgoglioso. E mi ritengo fortunato. Ci sono due gigantografie di mio figlio al de Kuip, lo stadio della sua squadra. Le vedi già dall’autostrada. I ragazzini seguono il suo stile e il suo taglio di capelli. Graziano ci scherza: “Il mio parrucchiere ormai gira in Ferrari”. Per non dire delle ragazze, che impazziscono per lui. Ma da due anni è felicemente legato a una ragazza di Budapest, Viktoria. Guarda caso, i due anni in cui è esploso. I lunghi maturano sempre più tardi e lui è nel pieno della potenza: alle doti atletiche ha affiancato quelle tecniche. Può fare ancora molto. Certo, la nazionale...».



La nazionale. Ecco. Ci aveva sperato. Ventinove anni ancora da compiere, 1,93 di altezza, fisico possente, tocco di palla di qualità. E gol a grappoli. Da tutte le posizioni. Dal 2012 vice capocannoniere in casa degli Orange, che di calcio ne capiscono per antica sapienza. Cruyff, Van Basten, Gullit, Sneijder, mica bruscolini. A guardare le ultime due stagioni, in Europa solo un paio di nomi vantano migliore media gol: Messi e Ronaldo. Tutti gli altri dietro di lui. Da Ibrahimovic in giù. «Graziano si esalta con le partite difficili. Io avevo altre caratteristiche, certo non le sue doti tecniche. Ha migliorato il colpo di testa, aggiustato il sinistro portandolo ai livelli del destro. Ora è un vero centravanti. Completo. Immarcabile. Gli avversari gli rimbalzano. Quando salta svetta su tutti. Però...». C’è sempre qualcosa in sospeso. Il padre tentenna, non vuole affondare il colpo. In trasparenza vedi cosa gli si muove dentro. I genitori-tifosi sono categoria a parte. Ma lui di vita e di calcio ne ha masticati a sufficienza. Il tempo gioca sempre a favore della saggezza. Così Roberto trova la via d’uscita: «Graziano avrebbe meritato almeno una chance. Questo sì. Ora lui è sereno. Sa che le porte della Nazionale sono chiuse. Però non mi piace quando dicono che sì, bella forza, in Olanda le difese sono allegre e le squadre alte, come se in Italia fossimo davvero i migliori al mondo. Poi guardo la lista dei convocati e leggo che rimangono a casa fior di professionisti come Destro, come Rossi. E allora dico: tanto di cappello a mister Prandelli e ai giocatori della Nazionale. In bocca a lupo e avanti fino in fondo. Però...». Già, ecco: però? «Però Graziano la sua figura l’avrebbe fatta».



Il ragazzo è a Ibiza con gli amici di sempre, quelli con cui è cresciuto. Era piccolo, si divertiva con altro. Ballava. Con la sorella più grande, Fabiana, mieteva successi in coppia nel liscio, tacchi alti per essere all’altezza, in tutti i sensi. «Poi scelse il calcio. Suo cugino, Alessandro Camisa, giocava bene. Fu un ulteriore stimolo per Graziano. Insieme hanno vinto tutto con la Primavera del Lecce: campionato italiano, Coppa Italia e Supercoppa. Poi a 19 anni, con in tasca il diploma preso all’Industriale, mi disse che voleva andar via, a Catania, in serie B. Stava per partire, io ero al lavoro, rappresentante di zona per il Caffè Quarta. Tornai a casa per un ultimo tentativo. Lui fu chiaro: “Papà, devo andare”. Aveva ragione: la fortuna bisogna andare a prendersela. Ma per un genitore non è facile vedere un figlio andar via». Ha girato città, cambiato maglie, giocato in nazionale, per quanto formato Under. Ma è lì che Louis Van Gaal, ora alla guida della nazionale olandese, lo nota. L’avventura olandese parte da lì. Dai Mondiali 2005 Under 20. «Siamo eliminati nei quarti di finale dal Marocco ai calci di rigore. Graziano dal dischetto azzarda un cucchiaio. Grande freddezza. Va a segno, ma non basta. Fin lì aveva gli stessi gol di Messi con l’Argentina». Il resto è noto: campione d’Olanda con l’AZ Alkmaar, poi la gragnuola di gol. Per Frank De Boer, tecnico dell’Ajax, meglio Pellè di Balotelli. Così il mistero resta: perché tutto lì? L’esplosione, i gol, i successi? «Non c’è stress, hanno un modo diverso di intendere il calcio, gli stadi sono luoghi di festa e non di tensione. E poi anche il modulo di gioco: cross dalle fasce e lui al centro dell’attacco. In Italia le cose vanno diversamente. Lo ha anche detto. Ed è stato pure frainteso. Pazienza».



Questo è. Il futuro chissà. Forse Inghilterra, al seguito di Koeman. O Barcellona, come azzarda qualcuno. «Lui si schermisce: sì papà, mi dice, a Barcellona certo che mi vogliono. Hanno bisogno di un magazziniere». Intanto l’interesse cresce. Di pari passo con i gol. E con la quotazione di mercato. L’estate sarà decisiva. «Ogni tanto dice che vuol portarmi a Dubai, così smetto di lavorare. Ma va’, gli rispondo io. No, non so cosa farà da grande, ma so che metterà a frutto le sue qualità». Per il momento niente samba, niente Brasil, niente trenini. Niente pe pe pe pe pe pe. La musica va avanti solo a suon di gol. Se proprio serve un ritornello, eccone uno collaudato: “Sei venuto anche te, sei venuto anche te, per vedere segnare Pellè”. Olè.

















Visti da (molto) vicino: 31esima puntata.

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