Patience, la visionaria che amò il Salento rurale

Patience, la visionaria che amò il Salento rurale
di Aldo MAGAGNINO
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Martedì 11 Luglio 2017, 11:48 - Ultimo aggiornamento: 18 Luglio, 14:11
Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Patience Gray, scrittrice, giornalista e artista inglese che per trentacinque anni fece del Salento la propria patria elettiva. Patience era nata a Londra nel 1917, ma all’inizio degli anni Settanta aveva scelto di vivere sulla serra di Spigolizzi, in agro di Salve, in una masseria spartanamente restaurata, senza elettricità, assieme al suo compagno, lo scultore di origine fiamminga Norman Mommens.
Con sincronismo perfetto è appena uscita la biografia di questa donna fuori dal comune, “Fasting and Feasting, the life of visionary food writer Patience Gray”, di Adam Federman, pubblicata negli Stati Uniti dalla Chelsea Green Publishing e che è stata presentata a Londra lunedì.
Recensendo il volume sul Sunday Times, Bee Wilson scrive che l’influenza di Patience Gray ha “creato significativi cambiamenti per ben due volte” nella mentalità di coloro che si accostano ai libri di cucina, la prima volta nel 1957, quando il suo libro “Plats du Jour” fece accostare il pubblico anglosassone a una serie di semplici piatti della cucina straniera. La seconda volta, con quello che è considerato da tutti il suo capolavoro, “Honey from a Weed” (Prospect Books, Londra 1986). Adam Federman, giornalista d’indagine che si occupa di energia e ambiente per l’Investigative Fund of the Nation Insitute di New York, ha condotto una scrupolosa ricerca sulla vita della scrittrice, attingendo informazioni e dettagli dai suoi diari, dalla fitta corrispondenza con scrittori, artisti, amici e parenti, e anche parlando con tanti che, qui nel Salento e altrove, l’hanno conosciuta. Federman segue le orme della Gray, dalla fanciullezza e dall’adolescenza, vissute secondo le regole rigide dell’educazione edoardiana, ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, alla sua carriera come disegnatrice e poi giornalista nel dopoguerra, all’incontro con Norman che cambierà per sempre la sua vita (“Norman mi ha dato non solo una vita nuova, ma una vita sempre nuova”), ai viaggi e le avventure degli anni successivi, fino all’approdo pugliese, dopo lungo peregrinare in Toscana, Catalogna e Naxos, sempre sospinti dalla fame di pietra dello scultore.
L’esperienza di Naxos ispirerà a Patience il romanzo autobiografico “Ringdoves and Snakes”, pubblicato da Macmillan nel 1989. Nella loro nuova dimora salentina continuarono a coltivare ognuno la propria arte, ma si trasformarono ben presto in cultori e difensori della macchia mediterranea, delle vestigia archeologiche e dei paesaggi del Salento, che cominciavano ad essere stravolti dall’ondata di speculazione edilizia degli anni Settanta. Esperta botanica, Patience raccoglieva anche funghi e verdure selvatiche nelle vicinanze della masseria, che preparava secondo le ricette della tradizione locale che, già in quegli anni, rischiavano di cadere in disuso perché associate a tempi di povertà e privazioni. Sotto questo punto di vista, il contributo della Gray alla preservazione dell’antica cultura culinaria del Salento è stato straordinario.
Patience e Norman cominciarono da subito a coltivare la terra della masseria. Un contadino del posto, “dal nome appropriato di Salvatore”, insegnò loro i metodi ancestrali per la coltivazione di pomodori, piselli, ortaggi e verdure locali. Nel corso della lunga “odissea del marmo”, Patience aveva raccolto centinaia di ricette dalle massaie e dei cuochi delle trattorie. “Sono stati i contadini e i pescatori”, diceva, “a creare le ricette piuttosto che i cuochi degli alti prelati e dei principi. Questi ultimi si erano solo limitati a raffinarle”.
Annotava non solo le ricette, ma anche il significato profondo che esse rivestivano nella vita quotidiana delle persone e il loro valore culturale per quella comunità. Così ha continuato a fare nel Salento. La masseria di Spigolizzi diventò, negli anni, meta di visitatori ed estimatori da ogni angolo del Salento e del mondo. Un folto gruppo di giovani del luogo fu da loro ispirato a impegnarsi in campagne per la protezione del patrimonio archeologico e ambientale del Salento. A questo gruppo di giovani volenterosi, il regista tedesco Klaus Voswinckel dedicò il film documentario “I Ragazzi nel 1989”.
Troupe televisive e giornalisti inglesi e americani sono scesi nel Salento a intervistare Patience. Tra gli altri, Derek Cooper, conduttore per oltre un ventennio del Food Programme della Bbc, nel 1988 realizzò a Spigolizzi un’intervista alla scrittrice, trasmessa poi su Radio 4.
Patience è stata l’antesignana dello slow food prima ancora che quest’espressione fosse coniata e diventasse moneta corrente sulle riviste patinate e nei talk-show. La sua idea di dieta mediterranea era, però, ben diversa da quella presentata in tanti programmi televisivi in Italia e, soprattutto in Europa e in America, spesso a base di leggeri piatti di pesce con un filo d’olio d’oliva. Per Patience, la dieta mediterranea era calorica, ricca di amidi e verdure, ma anche di proteine, destinata a soddisfare il sano appetito dei lavoratori della terra e del mare. Non condivideva le ossessioni salutiste e la paura del colesterolo che, secondo lei “aveva sostituito il concetto di peccato”.
Lo stile di vita semplice e appartato che Patience ha condotto nel Salento può spiegare la sua fama relativamente minore rispetto ad altri famosi scrittori di cucina del suo tempo, come M.F.K. Fisher, Elizabeth David e Julia Child, per cui non sorprende che alla sua morte, il 10 marzo 2005, la Bbc l’abbia definita “una stella quasi dimenticata dell’arte culinaria”.
 
Nella quiete di Spigolizzi, pigiando i tasti di una Olivetti Lettera 22, nel suo essenziale studio affacciato su un “lago di pietra” di abbaglianti rocce calcaree salentine, Patience completò, riscrivendolo e ampliandolo in quella che sarà la sua versione definitiva, “Honey from a Weed”. L’idea di raccogliere in un volume la mole di ricette accumulate nel corso degli anni e dei viaggi era già stata concepita attorno al 1968. Il libro reca un sottotitolo “Fasting and Feasting in Tuscany, Catalonia, The Cyclades and Apulia”, che indica non solo i luoghi di origine delle ricette, ma anche la filosofia che sottintende l’intera opera e ci rimanda alle antiche consuetudini di vita, quando la disponibilità di cibo era legata alle stagioni, al decorso dell’annata, alla clemenza o all’inclemenza del tempo.
“Fasting and Feasting”, il digiuno rituale e la celebrazione conviviale, hanno da sempre scandito i tempi della vita delle comunità contadine. Il digiuno imposto dalla scarsità delle risorse in certi periodi dell’anno, permette di apprezzare appieno i doni della natura e della Provvidenza, e rende sacra e memorabile la convivialità nei periodi di abbondanza. Nel 1991, Patience scrisse un interessante articolo sul Salento per The Sophisticated Traveler, il supplemento del New York Times dedicato ai viaggi. Riecheggiando Carlo Levi, scriveva che “il Salento è sempre stato esposto alle invasioni di popoli provenienti dal mare che vi si sono stanziati” e ipotizzava che proprio questa vulnerabilità abbia dato vita a una cultura basata sull’autosufficienza e la conservazione che ha protetto molte delle tradizioni della regione.
Tra gli ultimi lavori della scrittrice, morta nella sua masseria il 10 marzo del 2005, ci sono un volume di note autobiografiche, “Work Adventures Childhood Dreams” (Edizioni Leucasia, Presicce 1999) e “The Centaur’s Kitchen”, pubblicato postumo da Prospect Books nel 2005. Patience e Norman riposano ora nel cimitero di Salve.
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