La lunga storia del Pci sotto l’occhio del Sud

La lunga storia del Pci sotto l’occhio del Sud
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 5 Luglio 2021, 05:00

“Non si poteva far passare sotto silenzio il centenario del Pci…”. Comincia così, con queste parole un viaggio nella memoria straordinaria di uno dei partiti che hanno fatto la storia italiana del Novecento, dal 1921 al ‘91, dissodando quei territori in cui si è andata seminando la modernità. È un viaggio corale qui disegnato su tanti fatti e profili con un taglio prospettico orientato da Mezzogiorno in su. Tra le tante riflessioni, alla fine fa anche notare che, piaccia o meno, oggi quella “vecchia” idea sottesa al comunismo italiano della difesa dei diritti dei lavoratori e di una efficiente macchina del welfare (che non si debba calibrare obbligatoriamente sull’accettazione di tutte le conseguenze nefaste del capitalismo), sarebbe bene rispolverarla nella contemporaneità, qualunque colore politico si voglia darle…

Ma, tornando al viaggio storico cui si accennava, si tratta del nucleo centrale del volume “Il Pci, l’Italia e il Salento. Democrazia, diritti e lavoro nel secolo breve” a cura di Mario Spedicato e Salvatore Coppola, che sarà presentato domani a Lecce in una serata organizzata dalla Società di Storia Patria sezione di Lecce al Convitto Palmieri.

Le dense pagine del volume, ricche di documenti, testimonianze, ricostruzioni riprendono sguardi prismatici a più voci sulla lunga cavalcata storica di un pensiero innestatosi diversamente, con proposte alternative alle politiche imperanti, nelle varie realtà sociali e politiche incontrate nei vari decenni del Novecento. Come ben spiega nel primo saggio Egidio Zacheo, raccontano intanto di “un partito diverso dagli altri partiti comunisti d’Europa”. Diverso principalmente perché, spiega sempre lo storico politico dell’Università del Salento, si è orientato soprattutto a “coniugare democrazia politica e trasformazione sociale, socialismo e garanzie formali di tutte le libertà moderne”, e non è stato mai nella sua storia né socialdemocratico né insurrezionalista, rivendicando una storica “terza via” nella soluzione di Enrico Berlinguer

Quella scelta significò il totale distacco da Mosca e anche il rifiuto di pratiche che andavano incistandosi sul non rispetto delle regole democratiche, rivelatesi altrove legate a soluzioni dette “comuniste”. E ripartire da questo assunto è oggi doveroso, perché tanti stereotipi e pregiudizi (sbandierati soprattutto da certa propaganda destrorsa nostalgica che rispolvera il tempo dei proclami e degli slogan) vanno in qualche modo corretti alla luce di una visione storica concreta. Il comunismo italiano non ha inseguito ideologie antidemocratiche, né mai prospettato o teorizzato apocalittiche rivolte sociali violente. Ha semmai costruito l’idea di un partito che coniugasse socialismo e libertà moderne, un’idea forte e “spaventosa” per le società rigide borghesi novecentesche che è resistita praticamente fino al crollo del muro di Berlino, in sostanza.
Le condizioni storiche mutate intorno, una sorta di denuncia ideologica sottesa di antistoricismo, che in realtà non riguardava espressamente il comunismo italiano, hanno portato poi a cambiare pelle: con l’impatto neoliberista, in nome di una nuova via governista degli eredi di Berlinguer, si sterzò verso una cultura più rispettosa delle dinamiche economiche e sociali così com’erano dettate dal capitalismo (fino ad allora politicamente contrastate). 

“La prospettiva della terza via fra socialdemocrazia e comunismo ortodosso, fortemente perseguita dagli anni ’70 in poi del Novecento, è venuta meno con il suo rapido e, per certi aspetti, inatteso scioglimento, che si è tradotto nel repentino oscuramento di un patrimonio culturale e politico, su cui ancora non si è riflettuto abbastanza” scrive Mario Spedicato, storico Unisalento, segnalando il punto focale del discorso. 
Allora, proprio per entrare in una più grande tavola storiografica di ricostruzione in cui immaginare i tanti tasselli di quell’avventura, il libro propone anche una sorta di taglio ambientale, partendo da una ricerca concentrata sulla storia del Salento, sulle tracce di un movimento operaio che ha incontrato le istanze bracciantili divenendone voce e corpo sostanziale. A questo proposito emergono tra le pagine studi, figure di protagonisti e ricostruzioni storiche preziose, grandi pagine di una possibile storia comunista dei territori che potrebbero offrire (come sempre la storia fa) grandi lezioni al presente. “Giuseppe Calasso è stato il testimone più fedele, combattivo e appassionato del mondo contadino, leader riconosciuto del bracciantato e delle masse rurali salentine, l’interprete più autentico delle istanze di emancipazione, dei bisogni e dei diritti del proletariato nel secondo dopoguerra” racconta in un saggio denso e profondo Remigio Morelli, storico del movimento operaio contadino, di questo esponente della sinistra meridionale antifascista che ha attraversato la storia del Partito comunista salentino e che oggi è troppo poco ricordato. 

È la direzione anche seguita da Sebastian Mattei, della Fondazione Gramsci di Roma, che recupera “le carte” dei comunisti leccesi negli archivi del PCI, documentando i passaggi storici dalla nascita fino all’antifascismo, alla ricostruzione e alle lotte contadine che in quel partito hanno trovato una sponda sicura. E in questa stessa scia lo studioso Salvatore Coppola in particolare concentra la sua lunga e articolata ricerca, ospitata in questo volume, che indaga il comunismo nel Salento fino al 1945.

Lo studio dimostra documenti alla mano l’esistenza durante il fascismo di “un’organizzazione clandestina del Partito comunista che ha messo in campo una serie di iniziative illegali, utili e necessarie a mantenere viva la fiamma della libertà” spiega, ricostruendo “la storia dei dirigenti e dei militanti che hanno avuto la forza e il coraggio di tenere fede ai propri ideali negli anni duri della dittatura”. 

Tra gli altri saggi, di partigiani e fondatori del Partito comunista italiano della prima ora parla anche Maurizio Nocera, ricordando tante figure fondamentali della nostra storia, tra cui Enzo Sozzo partigiano leccese membro della segreteria nazionale dell’Anpi: “Il suo pensiero andava spesso alle giovani generazioni, le quali dovevano conoscere le lotte partigiane per capire il presente – scrive – diceva spesso che in passato si era lottato contro i nazifascisti, oggi invece si doveva continuare a lottare contro il terrorismo, la mafia, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

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