John Lennon, parole acrobatiche per un mondo nuovo: chiamatemi genio

John Lennon, parole acrobatiche per un mondo nuovo: chiamatemi genio
di Stefano CRISTANTE
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Domenica 8 Ottobre 2017, 07:20 - Ultimo aggiornamento: 19:14
Intervistatore: Posso offrirle un caffè?
Lennon: No, grazie. Ne ho appena bevuto uno con la mia amica Helen Mirren. Ci conoscemmo a Londra tanti anni fa. All’epoca era molto pungente. “Coffee with ice”, mi ha suggerito. Come col ghiaccio? E cos’è quell’altra cosa bianca e dolce che viene aggiunta?
I: Latte di mandorle, almond milk.
L: Ah sì, ecco: almond milk. Sembra il titolo di un album dei Pink Floyd. Comunque sia: non è affatto male sentire in bocca quel piccolo brivido gelido di caffè che fino a un attimo prima era un fluido bollente. E che alla fine si trasforma in dolcezza. Happiness is a warm sweet home.
I: Qui a Lecce dicono di averlo inventato, il caffè con ghiaccio.
L: Beh, mettere insieme cose diverse è una forma di talento, sia degli artisti che dei popoli. Noi lo abbiamo sempre fatto.
I: Che cosa intende quando dice “noi”? I Beatles o gli inglesi?
L: Gli inglesi non hanno mescolato: hanno piuttosto colonizzato e dominato, e questo non migliora l’arte. Mi riferivo invece ai Beatles, ma anche ai gruppi che ho fondato dopo. Penso che la mia utilità relativa – o la mia utile relatività – sia consistita soprattutto nel mescolare cose diverse.
I: Per esempio?
L: Beh, sai… Ho piazzato l’acido lisergico nell’organo Hammond di Tomorrow Never Knows, ho infilato ballate scozzesi nei pezzi più rock, ho buttato l’inferno nel finale di un pezzo mieloso come Hey Jude…
I: Ehi, quello era Paul!
L: No, Paul era il tricheco. Anyway: si lavora con quello che si ha, e, soprattutto, si sperimenta.
I: Eppure in alcuni suoi pezzi celeberrimi lei mantiene un’unità stilistica molto semplice, quasi essenziale: Imagine sembra uscita da un concetto meravigliosamente elementare, che la musica sottolinea e rende indelebile come un ricordo infantile.
L: Indelebilmente stucchevole, direi.
I: Mi spiace, ma con me non attacca. Ho letto almeno due sue biografie più vari testi del musicologo Gianfranco Salvatore e ho discusso con Luca Bandirali per ore e quindi so che è sempre stato un gran divertimento per lei spiazzare gli interlocutori con provocazioni e depistaggi.
L: Beh, sai com’è, quando si è più popolari di Gesù Cristo bisogna trovare continue distrazioni per non soffocare nella noia e nello stress.
I: In verità c’è chi ha detto che John Lennon sia stato anche un grande pubblicitario. Dopo che lei ebbe dichiarato alla stampa che i Beatles erano più famosi di Gesù Cristo i reazionari cristiani americani bruciarono i vostri vinili in pubblica piazza. Ma nel resto del mondo da quel momento esatto i Beatles passarono da icona a mito.
L: Sei un lettore di Roland Barthes?
I: Come tutti.
L: Ah, ah.
I: Perché ride?
L: Preferirei che mi dessi del tu. Tu sembri sopra la cinquantina, io ho solo 40 anni.
I: D’accordo, ci proverò. Ma perché hai riso?
L: Io non rido quasi mai, propriamente. I would prefer not to laugh.
I: E perché?
L: Proprio dopo il tour in America nel 1966 mi sono accorto che non ridevo più. Era stata una tournée massacrante, i fan ci davano la caccia. In più c’era stata quella dichiarazione su Cristo, e poi ci hanno tenuti bloccati nelle Filippine perché non accettammo l’invito di Imelda Marcos a un ricevimento governativo. Bella strizza. La vita era diventata un film in cui va tutto sempre più rapido, ma di cui resta traccia di tutto, perché tutto è registrato, documentato… Non puoi permetterti una sciocchezza, un gioco di parole, una cazzata qualsiasi, che te lo ritrovi in prima pagina.
I: Va bene, ma che c’entra la risata in tutto questo?
L: Ridere vuol dire essere, anzi, esserci. Partecipare, emozionarsi, essere felici.
I: Vuoi dire che la felicità è una pistola calda?
L: Calma fratello, un passaggio alla volta!
I: Beh, guarda che non sei l’unico impaziente del mondo.
L: Brian Epstein era impaziente. Non gli è andata molto bene.
I: Sì ma la risata?
L: Un giorno ho sentito che i miei muscoli facciali erano fermi. Ero evidentemente spaventato durante e dopo la tournée americana. Gestire il successo è più difficile che ottenerlo. Ho sentito un comando del cervello sul corpo: l’ordine era di abbassare il livello di partecipazione. Essere ironico, mai diretto, a volte acido.
I: Credo di aver capito il messaggio.
L: The medium is the message!
I: Hai letto McLuhan?
L: Come tutti.
I: Ah, ah.
L: Non mi chiedi di Paul?
I: Non volevo sembrare banale.
L: Lo sei stato con questa risposta. Ma andiamo avanti, che tra poco mi aspettano a Londra e devo partire da Brindisi con Ryan Air.
I: Buona fortuna in questo caso.
L: I’m a lucky guy, tranquillo.
I: Mica tanto.
L: A cosa ti riferisci?
I: Niente. E Paul?
L: Paul cosa?
I: Rideva o sorrideva?
L: Paul è Apollo. Apollo può ridere fino a scompisciarsi, ma tutti gli altri vedono sulle sue labbra il più perfetto dei sorrisi. Paul ha sempre amato il contatto diretto con gli uomini, direi anzi il legame diretto con la Storia. Paul ama gli esseri umani, come un dio armonioso può amare le ninfe. Paul ride, ma agli altri arriva solo un sorriso.
I: Quindi tu saresti Dioniso?
L: Secondo Yoko sì. Ma lei concettualizza tutto, io invece sono per le libere associazioni. Io sono anche Dioniso, secondo me, ma sono anche tanti altri. Come tutti, d’altronde.
I: O non piuttosto Orfeo?
L: No mio caro, casomai io sono Euridice. Ma ora scappo, Ryan Air mi aspetta.
I: Complimenti per la bella montatura dei tuoi occhiali. Sei un mito.
L: Grazie. Salutami Helen per favore.
I: Certo, chiederò a Edoardo Winspeare di farlo, buon viaggio.
L: Un’ultima cosa: sai chi rideva davvero tra noi, ma proprio sganasciandosi?
I: Chi: Ringo?
L: No, l’altro. With a little help from my sweet lord, ricordi?
I: Ah ah. Eravate in quattro, ma tu sei unico.
 
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