Paisiello, la musica da Taranto a Napoli

Paisiello, la musica da Taranto a Napoli
di Eraldo MARTUCCI e Pierlugi PORTALURI
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Venerdì 10 Giugno 2016, 21:16 - Ultimo aggiornamento: 21:18
Tra gli anniversari più importanti del 2016 spicca quello di Giovanni Paisiello, il sommo compositore tarantino che scompariva esattamente duecento anni fa, il 5 giugno 1816, e che sarà celebrato con un'iniziativa a cura delle associazioni LecceLegge e Nireo in collaborazione con il Comune di Lecce.
“Da Taranto a Napoli passando per Pietroburgo. Giovanni Paisiello, duecento anni dopo” è il titolo della conferenza che terrà Paolo Isotta, firma storica del Corriere della Sera e ora de Il Fatto Quotidiano e tra i massimi musicologi contemporanei. L'appuntamento è per domani alle 19.30 nel Cortile del Must.
Nel campo della sua ricerca Isotta ha sempre messo in primo piano la “scuola napoletana”, che vide proprio in Giovanni Paisiello uno dei più importanti esponenti. Ed ora per Isotta si è aperta una nuova strada, quella di eccellente scrittore. Dopo “La virtù dell'elefante” (Marsilio 2014), il grande studioso ritorna con “Altri canti di Marte”, sempre edito da Marsilio, a mettere insieme vicende personali e fatti legati alla grande musica.
Maestro Isotta, ne “La virtù dell'elefante” lei parla con ironia divertita della cosiddetta “Cultura”, cioè di un'ipoteca di pensiero che ha gravato anche sulla musica italiana. Possiamo ritenere che questo peso sia per essere ormai cancellato dal “tramonto delle ideologie”?
«La “Cultura” è un basso ricatto che ha fatto danni nel mondo dell'arte oltre che dell'ideologia. Nella musica ha sostenuto la cosiddetta “Avanguardia” (l'avanguardia vera è altra cosa) fatta da un analfabeta musicale, il compositore Luigi Nono, il mediocre direttore d'orchestra Claudio Abbado e l'ex grande pianista Maurizio Pollini. All'estero il mediocre direttore d'orchestra Pierre Boulez, compositore solo a tratti buono. Le ideologie saranno tramontate ma “vulgus vult decipi”, “il volgo vuol essere ingannato”; e Tacito parla dell'eterna cupiditas serviendi, la cupidigia del servire onde l'essere umano è affetto».
Il panorama italiano offre oggi alla scena mondiale compositori e interpreti di livello assoluto?
«Ricordiamo un compositore milanese di altissima arte, Giampaolo Testoni, cultore d'una poetica alessandrina. Anche il più giovane Guido Mario Scappucci è notevole. Fra i direttori d'orchestra il più grande vivente è italiano, l'ottantatreenne ragazzo Elio Boncompagni, che non ha pari per autorità, cultura e vastità di repertorio: tutta la musica sinfonica, l'Opera italiana e tedesca, l'Operetta. Italiani sono altri Mammasantissima della bacchetta, Nello Santi, Gabriele Ferro, Riccardo Muti, Gianluigi Gelmetti, il mio coetaneo Donato Renzetti; è prossimo a diventare un Mammasantissima il milanese Giuseppe Grazioli, cinquantenne. Nessuno straniero può esser loro paragonato: anche perché Bellini, Donizetti e Verdi, insieme con Beethoven, sono in assoluto le cose più difficili da dirigere e lo stesso Beethoven (come pure Wagner) senza la scuola italiana sarebbe ancora in mano ai dilettanti. Fra i più giovani troppi talenti mi hanno deluso. Nel pianoforte abbiamo altri Mammasantissima: Francesco Nicolosi, Vittorio Bresciani, Francesco Caramiello (tutti e tre della Scuola Napoletana), Orazio Maione (idem), Nazzareno Carusi e il genio salentino Francesco Libetta, che proprio nei giorni scorsi a Milano ha di nuovo lasciato tutti a bocca aperta. A Milano vi sono altri due bravissimi pianisti, Luca Schieppati e Luca Ciammarughi. Fra i Mammasantissima v'è anche il trentenne genio beneventano Vincenzo Maltempo. E sempre da pochissimo tempo ho conosciuto un altro genio salentino, Gilberto Scordari da Martano: organista e musicologo di altissimo livello, scrittore magistrale, latinista e grecista…».
Parlando ora di Paisiello, lei ha più volte sottolineato che il compositore tarantino sia forse, dopo Haydn e Mozart, il più grande operista della seconda metà del Settecento…
«Paisiello è un sommo autore nel teatro comico e tragico, nella musica sacra, nell'Oratorio, nella musica strumentale. Circoscriverlo all'Opera buffa e di mezzo carattere è un grave errore. Se si pensa che ha composto la musica per il sacre d'incoronazione imperiale di Napoleone».
Quali altri compositori italiani, anche del '900, meriterebbero un maggior approfondimento?
«Franco Alfano, Ottorino Respighi, Gino Marinuzzi, sommi, Giovanni Salviucci, che sommo sarebbe diventato se non fosse molto a trent'anni, Alfredo Casella, grandissimo. Nel dopoguerra tre grandissimi, Bruno Maderna, Camillo Togni, Francesco d'Avalos. Di tutti i temi di quest'intervista si parla nel mio recentissimo libro “Altri canti di Marte”, che spero trovi buona accoglienza nel Salento: visto che a Martina Franca, il cui festival ho sostenuto per decenni, dei miei libri è vietato parlare…. Lì e a Bari la cupiditas serviendi esiste; per quanto concerne l'accoglienza che mi viene fatta, solo in queste due città al mondo».
 
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