«Cinema e arti, un ponte per connettere il mondo»

«Cinema e arti, un ponte per connettere il mondo»
di Francesco DI BELLA
8 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Settembre 2021, 05:00

Cooperazione è la parola d’ordine. “Performance & Performers, Connecting Worlds” il titolo. Ripartenza, invece, lo spirito che anima “Off 2021”, la nuova edizione (la XII) dell’Otranto Film Festival che da domenica prossima torna dopo un anno di sospensione con la grinta di sempre e la volontà di riprendere un discorso soltanto sospeso a causa della pandemia.
E sia l’uno che l’altra - lo spirito e la grinta - appaiono subito evidenti quando l’attrice Stefania Rocca, che dal 2018 è la direttrice artistica della rassegna, parla del nuovo programma e delle novità che lo caratterizzano.

Prima novità: l’Offf, Otranto Film Fund Festival, perde una f e non è più “fund”. Perché?

«Perché “fund” erano tutti i film sostenuti e finanziati dalla Commission, e invece ora non ci saranno più soltanto quelli bensì un più ampio spettro di cinema, quindi anche cinema con altro tipo di finanziamento, cinema indipendente. Seguendo una linea più legata al cinema come ponte tra le diverse arti, quest’anno ci saranno anche i visual effects e dei video, per esempio quelli di Adrian Paci, che non sono solamente cinema ma sono legati anche all’arte. E quindi di conseguenza non necessariamente “fund”».

Sarà un’edizione nel segno della cooperazione, dell’intersezione tra le arti, dell’incontro e del dialogo tra culture. Quella precedente, nel 2019, era all’insegna della diversità, quest’anno le parole d’ordine sono cooperazione e interazione. E’ lo stesso percorso che si sviluppa…

«Sì, ho cercato di mantenere un filo unico tra le varie edizioni del festival. Nel 2018 ero partita da un senso di community, dal creare comunità perché il cinema insegna una sorta di interazione, di integrazione. Che poi è il senso del cinema, del set cinematografico: tante persone che hanno ognuno una propria specificità ma che collaborano tutte insieme. Da lì siamo passati l’anno successivo alla diversità, cioè “diversity inclusion”, guardando come il cinema insegna a raccontare le diverse culture e quindi a renderci inclusivi. Quest’anno parliamo del cinema che fa da ponte tra tutto questo, il cinema e le arti in generale che possono essere davvero capaci di connettere il mondo. Soprattutto in questo anno di pandemia in cui tutti siamo stati un po’ bloccati e ognuno ha scoperto il proprio territorio, la propria area, il cinema ha fatto da ponte abbattendo le barriere. In più vogliamo anche dare un segnale positivo a tutti quei lavoratori dello spettacolo, dal teatro ai performers dell’arte, della musica e del cinema, che sono quelli di un settore che ha sofferto un po’ di più a causa della pandemia».

Cooperazione e intersezione sono anche le parole chiave che caratterizzano i film selezionati in concorso, film della regione ionico-adriatica ed europei che aprono riflessioni sui rapporti interpersonali e sociali, sulle diversità e sull’attualità della pandemia...

«La scelta dei film ho provato a legarla innanzitutto al tema di Otranto, come negli anni passati. L’idea è che Otranto essendo a Est fa un po’ da ponte verso diverse realtà. Il primo anno era la Community, l’idea di raccontare le diverse situazioni in diversi Paesi del Mediterraneo. Quest’anno c’è ancora il Mediterraneo ma siamo più focalizzati sulla regione jonico-adriatica perché c’è un programma di marketing, di incontri di produzione, la possibilità per alcuni giovani di trovare una collaborazione con questi Paesi; quindi la Puglia collegata con queste regioni per creare formazione e possibilità per quanti cercano finanziamenti per fare film, avendo però comunque già una base. E poi ho cercato di includere nella scelta dei film tutte le varie diversità, e comunque con ben presente il senso di “performance”. Alcuni sono quei film che io ritengo con una notevole performance, che può essere dell’attore, oppure legata alla fotografia o alla regia, altri che parlano di performance nel senso delle arti, o che raccontano storie di personaggi che hanno bisogno di sentirsi parte di un processo creativo. In tutti, comunque, il tema di base è: come avere nei film un’attitudine alla performance».
Tra gli artisti coinvolti c’è l’albanese Adrian Paci, a cui è dedicata una rassegna speciale che si sviluppa lungo tutto il corso della manifestazione. E il 22 settembre Paci sarà premiato per aver trasformato con la sua arte il concetto di migrazione in connessione.

E poi, come in passato, resta l’aspetto della “formazione”...

«Certo. Pur non potendo coinvolgere ancora gli studenti, per una questione legata alle normative anti-covid, ho cercato comunque di mantenere l’aspetto della formazione allargando il tema del visivo, con le arti visive; ho creato delle partnership innanzitutto con una piattaforma solo di artisti di ogni genere di performance, dalla street art ai ballerini, ai cantanti, in maniera da dare una possibilità a molti, già professionisti, di candidarsi come presentatori dei film, quindi di stare sul palco con noi al festival, ottenendo peraltro un riscontro economico, una sorta di “gettone” o di premio.

Questo da un lato per dare l’idea che le piattaforme sono ormai un mezzo di comunicazione, dall’altro per dimostrare che possono essere sviluppate da un punto di vista di connessione tra professionisti e lavoro. Di fatto dando a tutti la possibilità di esprimersi anche attraverso quei mezzi di comunicazione che comunque si sono sviluppati in questo periodo. Poi c’è un’altra partnership che riguarda gli effetti speciali, in cui racconteremo quali sono i visual effects nel cinema, come si comportano e a cosa servono. Ci sarà una specie di masterclass sul palco, la presentazione di quelli che sono i visual effects al cinema».

A giudicare i film in concorso sarà, come nel 2019, una giuria di sole donne, da Serra Yilmaz, pluripremiata attrice musa di Ferzan Otpetek, a Eulàlia Ramon, attrice protagonista di film iconici della cinematografia spagnola e non solo; dall’attrice Eleonora De Luca, Talent Award alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia, alla scrittrice Anilda Ibrahimi, Premio Rapallo 2017 per il romanzo “Il tuo nome è promessa”, alla regista Laura Bispuri, autrice del pluripremiato “Vergine giurata”. Ogni sera, prima delle proiezioni, le giurate a turno si racconteranno al pubblico.

Nel 2019 però c’era il regista Ferzan Ozpetek come presidente, quest’anno il presidente non c’è proprio...

«La giuria è composta di sole donne per dare un segnale di parità di genere, per dimostrare che le donne collaborano, che non è vero che siano una contro l’altra. Ed è senza presidente perché non c’è bisogno di avere sempre qualcuno che metta a tacere le voci degli altri; bisogna invece cooperare, ascoltare le voci di ognuno e poi prendere insieme una decisione. E’ l’idea di dimostrare che si può fare sinergia tra donne, senza aver per forza bisogno di un elemento “ultimo” che dica la sua. Nel 2019 poi c’erano due giurie, una femminile e una maschile composta da scrittori, e Ferzan faceva da ponte tra la diversità delle due giurie. Quest’anno invece avendo un’unica giuria, e poi forse una di studenti del Dams di Lecce, sarà senza presidente. Mi piacerebbe vedere queste donne che collaborano e che tutte abbiano una sorta di parità nel dire la propria opinione. Perché questo è l’anno della cooperazione, della connessione».

In tutte le “tue” edizioni hai sempre cercato di coinvolgere in Offf l’intera città di Otranto, non solo la spiaggia dove avvengono le proiezioni...

«E quest’anno, per una questione di sicurezza, l’ho fatto attraverso l’arte; ho cercato di portare delle installazioni in diverse location della città, con la possibilità per la gente di andare a vederle secondo le regole di non assembramento, mascherine, accessi controllati, ecc. Ho utilizzato gli altri spazi di Otranto, dal Castello alle piazze, fino alla spiaggia, per farla vivere da un punto di vista del “colore dell’arte”. Non posso portare la socialità delle persone perché in questo momento ancora è rischioso, ma accendo la città di vari colori in alcuni punti, secondo un itinerario da scoprire piano piano e in sicurezza».

E per quel che riguarda la “zona proiezioni”? Problemi di tutela anti-covid anche lì?

«Purtroppo sì, anche se le proiezioni avvengono in uno spazio all’aperto. Si entrerà con il green pass o tampone effettuato nelle ultime 48 ore, si manterrà comunque una distanza. I posti a sedere saranno necessariamente limitati, anche se poi essendo uno spazio all’aperto, si potrà assistere da più punti, la roccia, lo scoglio. Ma non vale la pena correre rischi, l’importante è dare un segnale che il cinema c’è, che il cinema fa da ponte, che è quello che ancora mantiene alta la creatività di ognuno di noi e forse anche a livello emotivo ci ha aiutato molto in quest’ultimo periodo. È fondamentale che ci sia una ripartenza, per dire che siamo ritornati e ricominciamo, però non stupidamente, ma mantenendo tutte le dovute sicurezze. Poi io sono la prima a dire che tutte le sale del cinema e del teatro possono essere riaperte con una capienza non ridotta, perché comunque abbiamo la mascherina e il green pass che all’interno di un cinema sono una tutela. Ma per adesso è ancora così e quindi noi rispettiamo le regole, finché non ce le cambiano».

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