Nel nuovo libro di Carrisi un lago di solitudine all'origine del male

Nel nuovo libro di Carrisi un lago di solitudine all'origine del male
di Claudia PRESICCE
4 Minuti di Lettura
Domenica 29 Novembre 2020, 17:27

Gli abissi. Profondi, neri. I più incavati sono quelli interiori, gli abissi della mente, incistati su cicatrici oscure graffiate sull'anima e destinate a scavare, scavare, scavare verso il baratro di nuove voragini, rigogliose tane di nuovi sprofondati volatori. Gli abissi sono sorsate d'acqua sporca da deglutire, e si ingoiano pure, ma poi a volte si trasformano in bocconi intossicati da regalare ad altri. Diventa una sorta di gioco di una spirale maledetta che non si può fermare.
Ma chi può dire poi come finisce davvero... L'acqua sporca c'è, l'inquietudine e le ombre pure: Io sono l'abisso (Longanesi; 22 euro; 384 pagine) è l'ultimo inquietante thriller di Donato Carrisi. Che sia una storia mozzafiato lo si intuisce dalle prime pagine. Non ha fatto sconti lo scrittore, sceneggiatore e pure regista, martinese (ci piace ricordare sempre che Carrisi, autore tradotto in tutto il mondo e considerato uno dei più grandi scrittori internazionali di thriller, è pugliese, anche se pochi tributi gli ha regalato finora la sua Regione), il viaggio oscuro comincia dall'inizio. Niente edulcorazioni, né gradazioni di grigio che preannunciano il nero. Qui il total black invade il palcoscenico fin dalle prime sbalordenti pagine di una scena letteraria, terribile, destinata a restare. La giovane mamma Vera annuncia al figlioletto che lo porta a fare un tuffo in piscina. Così dice, ma arrivati sul luogo si capisce che è una verità parziale (nessuno spoiler, solo poche righe). Succede che si ritrovano in uno scenario a dir poco solitario (omettiamo tanto) e il bambino si ritrova a calarsi in un'acqua non proprio blu che sembra ingoiarlo.
La scena che gli appare dura un istante e lo sgomenta. Vera ha raccolto il telo da terra e lo sta infilando nella grande borsa. La paura lo assale. Si irrigidisce e finisce sotto. Riemerge a fatica. Brancola. Guarda di nuovo. Vera leggiamo ancora si sta allontanando di spalle, i suoi fianchi ondeggiano mentre cammina tranquilla sugli zoccoli con la fibbia luccicosa. Il suo cuore di bambino gli dice che non sta accadendo veramente. È solo l'inizio. La storia, estremamente cinematografica, è tutta raccontata fin nei minimi dettagli e così, nella scrittura insistente e precisa, segnala già l'esplicitarsi di un'ossessione. Se ne sente l'eco, ma l'autore duetta con il lettore, non gli dà tregua e, finchè non vuole lui (e ad un certo punto lo vuole), non lascia capire l'intreccio (di cui non faremo qui minimo accenno). Basterà dire che è diverso lo scrittore qui, imprevedibilmente non sarà solo un thriller puro il suo: compariranno, tra le onde nere, sentimenti nuovi e una sorta di riscatto delle figure femminili.
In ogni caso in queste pagine, come in altri precedenti lavori, si scandaglia il buio, quello interiore che spinge a creare mostri. Carrisi è lo stesso che ha trascinato gli spettatori al cinema del suo recente L'uomo del labirinto spezzandogli il fiato, sconvolgendo le idee anche di chi aveva letto anni prima il libro. L'uomo vestito da coniglio con occhi di brace rossa ha perseguitato a lungo anche il pubblico più corazzato. L'uomo con la sua mente crea labirinti e mostri peggiori di quelli che si ritrovano in natura. Anzi, certamente l'uomo, con gli abissi interiori che si ritrova dentro, è il più spregevole. Se il più recente libro di Carrisi La casa delle voci ha creato un senso d'ipnosi tra i lettori, questo nuovo racconto colpisce duro in faccia, per poi rallentare. Ma si capisce subito che la calma nella vita dell' uomo che puliva, protagonista (senza nome) che compare dopo la scena iniziale, è pura distinguibile apparenza.
Lui umilmente sembra fare il suo lavoro solo, trasparente, sembra non lasciare impronta di sé nel mondo. Anche la sua storia parla di acqua, ma è un lago che sembra disegnato a matita nera con tocchi di pastello argento. È il lago di Como, intorno all'isola Comacina, Carrisi ha scelto il lago più profondo d'Europa per raccontare il suo abisso. Ha spesso riferito di preferire le atmosfere settentrionali perché più idonee al thriller. Il sole del Sud è troppo caloroso, fa abbracciare e sudare tutti insieme, quindi stride con le ombre e le cancella. Così ha deciso anche con La ragazza nella nebbia, l'ha fatta sparire tra le Alpi solitarie e crepuscolari. Anche lì un film libero, volutamente senza troppa luce, ha elogiato il suo racconto. Quest'ultimo, Io sono l'abisso, pensato per tre anni, è stato scritto durante il lockdown in cui per caso lo scrittore si è trovato a Martina Franca. Ma ambientarlo nella solarità dei trulli o davanti ad un litorale marino non avrebbe avuto lo stesso effetto. Però l'essere mediterraneo di Carrisi emerge sempre, forte, dalla passionalità della sua scrittura, dalla danza ritmata che crea tra le pagine, dal suo essere empatico con il lettore sempre: è come se lo invitasse al suo banchetto, accogliente come fa la gente del Sud. Salvo poi regalargli i suoi migliori piatti che, si sa, non sono mai dolci. Il suo ingrediente principale è però sempre un segreto. I misteri che mette nel libro (in questo caso ce ne sono molti di segreti, alcuni indicibili) e la capacità di svelarli, uno ad uno, perfezionano sempre un minuetto con chi legge (e con i suoi rompicapo). In questo banchetto a danzare con l'uomo che puliva ci sono anche una ragazza col ciuffo viola, qualcuno che si nasconde dietro una porta verde e una cacciatrice di mosche. E poi c'è l'abisso pronto ad accogliere tutti, loro e i lettori.
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