Amori comunisti, quelle passioni nel segno della lotta

Amori comunisti, quelle passioni nel segno della lotta
di Antonio MANIGLIO
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Martedì 20 Agosto 2019, 07:27 - Ultimo aggiornamento: 12:41
Non l'amore per l'uomo di Feuerbach, per il metabolismo di Moleschott, per il proletariato, bensì l'amore per te, fa dell'uomo nuovamente un uomo. Può apparire paradossale che ad aprire una breccia dissacrante nella dottrina comunista, che considerava un vezzo piccolo borghese manifestare i propri sentimenti, sia stato proprio lui, Karl Marx. Ma evidentemente anche sotto la corazza d'acciaio può spuntare inaspettatamente la tenerezza. Arrivarono comunque tempi duri. Chi aveva scelto di dedicare, e sacrificare, la propria vita a una missione superiore -l'edificazione del comunismo- non poteva cedere a sentimentalismi di sorta e smarrire la retta via della Rivoluzione.
Naturalmente è il mondo del Novecento, quello che bruciava in un sanguinoso conflitto mondiale con il suo carico di morti, di tragedie, di fame, ma anche di grandi passioni rivoluzionarie e di utopie liberatorie che dovevano costruire un mondo nuovo. E dentro i meandri della Grande Storia ci riporta Luciana Castellina, che sceglie però un'angolazione particolare per raccontare tre storie di lotta politica e di passioni (Amori comunisti, ed. Nottetempo). Dalla Turchia fino agli Stati Uniti, e passando da Otranto e Lecce, i diversi protagonisti sono accumunati dall'impossibilità di vivere rinunciando ai valori in cui credono, e per questo vivono vite straordinarie segnate dalla totale coincidenza tra impegno politico e dimensione privata, tra lotta rivoluzionaria e ricerca della felicità.
La storia del grande poeta turco Nazim Hikmet e Munevver Andac si dipana per decenni in questo clima drammatico. Hikmet viene perseguitato, imprigionato e torturato sin dal 1925 per le parole che scrive. Sono i suoi versi che compaiono, incriminati, negli atti giudiziari. Forse l'unico caso di un'accusa fondata solo sulla poesia. Eppure Hikmet non cede, resta fedele agli ideali comunisti e, mentre subisce torture indicibili, si prende gioco dei suoi aguzzini cominciando a cantare, prima piano, poi sempre più forte. Cantò tutte le canzoni che sapeva, quelle d'amore, quelle tratte dalle sue poesie, le ballate dei contadini, gli inni delle lotte popolari. E così vinse lo schifo e i torturatori, (Neruda).
Nel 1951 Hikmet riesce a fuggire a Mosca dove viene accolto come un eroe, ma la sua compagna Munevver rimane reclusa in Turchia, sorvegliata a vista proprio in quanto moglie di Hikmet. Quando nel 1961 Munnever, con il figlio Mehmet, riesce a fuggire da Istanbul, grazie a Joyce Lussu che trent'anni prima aveva liberato suo marito Emilio e Carlo Rosselli dal confino di Lipari, quello che doveva il ricongiungimento di una vita diventa una tempesta di dolore. Nazim in Urss si è risposato e l'incontro con Munevver è segnato da una pena infinita. Parlammo solo di poesia, dirà Munevver che nonostante tutto, però, non gli serberà rancore, e dedicherà tutta la sua vita, fino alla morte (1998) alla cura e alla traduzione delle opere di Hikmet.
Con Robert Thompson e Sylvia Berman si va dall'altra parte dell'Atlantico. Robert, leader del partito comunista a New York è stato un combattente -insieme ad altri 3000 giovani americani- della Repubblica in Spagna, nel 37; nel '43, sergente dell'esercito in Nuova Guinea, riceve la più alta onorificenza militare degli Stati Uniti. Ma ciò non basta a metterlo a riparo, insieme a Sylvia, impegnata in Alabama contro la segregazione razziale, e a cui la CIA dedicherà 32mila pagine di schedatura, dalle persecuzioni maccartiste. E troveranno pace, lottando sempre insieme, solo nell'imminenza della loro scomparsa.
Il cuore del libro però è una storia mediterranea, che si svolge proprio di fronte al Salento e ha il suo centro nella tragica guerra civile greca. Sugli scogli e nelle grotte di Badisco, dove un secolo dopo avrebbero trovato rifugio migliaia di albanesi, accolti con umanità dagli splendidi otrantini, approdarono nel 1962 sei resistenti greci. Erano ricercati, sulla loro testa c'era una taglia, erano condannati a morte. Erano i superstiti di gruppi partigiani che dopo aver liberato la Grecia dai tedeschi- non accettarono la smobilitazione diseguale imposta da inglesi (e americani) che decisero di disarmare i nuclei partigiani di sinistra e di mantenere armati quelli di destra che, impuniti, si macchiarono di stragi efferate di lavoratori (oltre cento morti solo durante uno sciopero generale del dicembre '44). Da qui la scelta di riorganizzare la lotta armata e di riparare sulle montagne cretesi. E qui, nel 1948, iniziò la storia d'amore tra Nikos Kokovlis e Arghirò Polichronaki.
Per quindici anni braccati, affamati, costretti a succhiare un po' di liquido dal fango o a bere le proprie urine, a mangiare radici, assediati e colpiti dall'esercito greco solo in otto riuscirono a sopravvivere nella clandestinità e tra questi c'erano Nikos e Arghirò. Naturalmente scriveranno nel loro memoir - Non avevamo altra scelta: la lotta rimaneva sempre al primo posto. Sapevamo che tutto era subordinato al comune dovere, ma tra di noi ci facemmo una promessa solenne: che avremmo marciato insieme nella vita e nella morte. E insieme, nel 1962, arrivarono a Badisco e lì assaporarono per la prima volta la bellezza della libertà. Mettersi in contatto con la sezione comunista di Otranto, che trovarono chiusa, e con la federazione provinciale di Lecce non fu facile. Ma quando ci riuscirono, dopo un comprensibile clima iniziale di diffidenza e di sospetti, visto che Mosca non aveva avvertito Roma e nel Salento erano all'oscuro di tutto. Una volta accertata l'identità dei partigiani greci scattò la solidarietà politica. E furono accolti, nascosti, nutriti con grande affetto e umanità dai comunisti salentini. Gegge Chironi, Donato Carbone e Gino Politi, insieme a Mario Foscarini, furono gli uomini del mitico apparato del Pci che garantirono la sicurezza e l'assistenza solidale ai sei fuggiaschi che, clandestinamente, riuscirono ad attraversare l'Italia e giungere infine a Taskent in Unione Sovietica, dove finalmente Nikos e Arghirò si sposano. Ma la storia non finisce qui. Nel 2007, dopo 45 anni, i partigiani greci tornano nel Salento e insieme ai compagni salentini ripercorrono le strade che avevano solcato mezzo secolo prima. Tornano nella grotta di Badisco, nelle masserie e nella case coloniche dove erano stati nascosti e fino a Lecce. Una delle cose più commoventi che abbia vissuto, scrive Castellina. Un'esplosione di ricordi, emozioni che i vecchi combattenti vivono intensamente e che anche Mario Toma ricorda nel suo libro Il pane e le pietre con il comandante Leonakis le cui prime parole in italiano sono Donato, Carmela, parmigiana. Era il pranzo che Carmela (moglie di Donato Carbone) preparava e che con Donato, portarono tutti giorni per due mesi ai loro amici in pericolo, nel rifugio che il partito aveva messo a disposizione.
Forse non c'è alcun insegnamento da trarre per l'oggi. Il presente assorda il passato e lo nasconde dietro alte muraglie. Forse sono solo microstorie che non dicono nulla all'Homo Selfie imperante. Forse. Ma sono vite vere, schegge preziose di memoria, di utopie, di umanità, di passioni vissute pienamente in tempi in cui si cercava di dare un senso al proprio stare al mondo come recita un verso di Hikmet- per non vivere su questa Terra come un inquilino/ o come un villeggiante nella natura.
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