Negrita: «Cantavamo la speranza ma la gente non sogna più»

Negrita: «Cantavamo la speranza ma la gente non sogna più»
di Ilaria MARINACI
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Lunedì 27 Gennaio 2020, 20:31 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 20:19
«Siamo più che di casa nel Salento. Negli anni ci siamo fatti il nostro habitat con una marea di amici. Personalmente confessa Pau amo tanto questa terra e, appena possibile, vengo anche per rapide piccole vacanze».
I Negrita tornano a Lecce mercoledì sera per la prima volta al Teatro Apollo per una tappa del nuovo tour La Teatrale + Reset Celebration (inizio ore 21, biglietti Ticketone.it) che prosegue i festeggiamenti per i 25 anni di carriera della band toscana, iniziati sul palco di Sanremo 2018 con il brano I ragazzi stanno bene e prolungati, poi, per i vent'anni di Reset, album che ha segnato la svolta elettronica. Paolo Pau Bruni, Enrico Drigo Salvi e Cesare Mac Petricich, che formano uno dei gruppi rock più importanti in Italia, si fermeranno dopo tre anni consecutivi di live «per riposare e capire dice Pau cosa vogliamo fare da grandi».
Questa parte del tour tocca i teatri. Avete fatto un arrangiamento acustico ad hoc?
«Già sette anni fa, per il nostro primo tour acustico, anzi semi-acustico, perché i nostri concerti non sono mai completamente acustici, abbiamo lavorato su alcuni brani. Quell'esperienza ci è servita per farci le ossa, ma la nuova veste data alle nostre canzoni ci è piaciuta così tanto che, quando si è trattato di scegliere come festeggiare i 25 anni, abbiamo ripreso l'esperimento. Anche perché eravamo reduci dal tour elettrico dell'anno prima. Dopo Sanremo, quindi, siamo subito partiti nei teatri e poi, durante l'estiva, abbiamo fatto arene antiche e piazze storiche. Nel frattempo, i 25 anni di carriera sono finiti, ma le richieste per i concerti continuavano ad arrivare e abbiamo deciso di inaugurare questa terza tranche, prolungando i festeggiamenti con il ventennale di un nostro storico album come Reset».
Album del 1999, l'ultimo del vecchio millennio ma anche il primo del nuovo.
«Già, ecco perché continuiamo a celebrarlo anche nel 2020. È chiaro che questa ricorrenza ha cambiato un bel po' la scaletta rispetto alle altre due parti del tour. Alcuni pezzi che facciamo adesso non li presentavamo dal vivo da più di dieci anni tanto che i nostri fan che magari a lungo ce li avevano chiesti senza mai essere accontentati fino a perdere le speranze si ritrovano piacevolmente spiazzati».
Facciamo un salto a 26 anni fa. Nel '94 esce Cambio, un inno all'inizio di una nuova era. Quella voglia di cambiamento è stata soddisfatta o tradita?
«Il pezzo è stato scritto sul finire del '92, nel periodo di Mani pulite. Il cambio di mentalità che cantavamo era legato alla speranza che la società civile e politica subisse una metamorfosi dopo quell'evento. In effetti, l'ha subita ma, secondo me, in negativo perché abbiamo peggiorato anziché migliorare. Pensavo che l'inchiesta sarebbe stata una lezione di vita per l'Italia tutta, invece è iniziato un ventennio di politica per nulla vicina al cittadino. Le grandi aspettative per il nuovo millennio, quindi, sono state ampiamente tradite. Anzi, ci troviamo ora a pagare lo scotto di una cattiva gestione del Paese sotto tutti i punti di vista, incluso quello ambientale e quello dell'istruzione».
La gente ha smesso di sognare?
«Purtroppo sì, forse spera ancora un po', ma guardando, secondo me, nella direzione sbagliata. È sempre meno paziente, meno disposta ad ascoltare gli altri, più incattivita, si ribella sui social, spesso dietro pseudonimi falsi, prendendosela con i più deboli e dimenticando l'accoglienza che da sempre caratterizza il nostro popolo. Sono contento che almeno le sardine si stiano opponendo a tutto questo».
Essere amici oltre il palco vi ha aiutati in questi 25 anni?
«Per noi è stato importante, come pure essere una band di provincia. Restare ad Arezzo ci ha fatto da collante. Credo che se i Negrita fossero nati a Milano o a Roma, si sarebbero sciolti anni fa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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