Bonaparte, gli amori e la musica di Paisiello

Bonaparte, gli amori e la musica di Paisiello
di Anita PRETI
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Martedì 4 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 05:40

Ne avrà avute di cose da pensare. E di grandi. Tuttavia le minutaglie della vita si affacciano anche alla mente di un imperatore, di un uomo che, come Napoleone Bonaparte, è divenuto una leggenda. Per esempio una eventuale successione. “Intendo escludere per il momento dalla mia successione politica due dei miei fratelli: uno perché ha fatto, nonostante tutta la sua intelligenza, un matrimonio da burletta; l’altro perché si è permesso di sposare, senza il mio consenso, un’americana. Restituirò loro i diritti alla successione quando rinunceranno alle proprie mogli”. 

Nella raccolta di appunti, lettere, dispacci di Napoleone, opera dal grande scrittore francese André Malraux (pubblicata una trentina di anni fa da Mondadori), l’ormai prossimo imperatore “congeda” con queste parole due dei suoi sette fratelli: Giuseppe, il maggiore, amante del gioco, delle donne, della bella vita e Gerolamo, il minore, che sposa Betsy Patterson. E poi c’è Luciano, il più dotato, il più astuto tra i Bonaparte, colui che spiana la strada a Napoleone con il colpo di Stato del 18 brumaio (ovvero il 9 novembre 1799): “Luciano preferisce una donna disonorata, che gli ha dato un figlio prima di essere sua moglie, all’onore del proprio nome e della propria famiglia”. Tralasciando infine, nella cerchia dei parenti, gli spericolati affari di cuore che dominano la vita della sorella Paolina, la cui straordinaria bellezza è ancora lì impressa nel marmo dal Canova e custodita dalla Galleria Borghese di Roma. 

Mogli e amanti dell'Imperatore

E’ abbastanza singolare che il condottiero corso si occupi della pagliuzza altrui (secondo un frammento della parabola evangelica) e ignori le travi personali. Napoleone ha avuto due mogli, Giuseppina de Beauharnais e Maria Luisa d’Austria, e un bel numero di amanti storiche e stanziali (otto almeno quelle certificate), tralasciando i rapporti volatili. L’ultima, la polacca Maria Walewska, gli resta accanto sino alla fine, nell’esilio sull’isola d’Elba. Ma la prima? Ah, l’amore, l’amore. Sempre Malraux riporta le parole del Corso: “Giuseppina ha sempre paura che io mi innamori seriamente; non sa dunque che l’amore non è fatto per me”. E’ un appunto del 25 gennaio 1803, quindi un anno prima dell’incoronazione. Napoleone ha soltanto 34 anni, non ha tempo per legami seri, siano pure essi dettati dalla ragione di Stato e dalla necessità di un erede. Invece quando ne aveva 26, allora sì che si lasciava prendere dai sentimenti e forse, ora azzardando, in quel primo sconosciuto amore del generale si riflette Eugénie, la fanciulla che “non guardava mai direttamente un uomo” e della quale si è innamorato Clisson che “fin dalla nascita era sempre stato fortemente attratto dalla guerra”.

Il romanzo d'amore

Clisson ed Eugénie”, romanzo d’amore e di guerra (pubblicato in Italia da Sellerio nel 1980) è la prima e unica opera narrativa di Napoleone, un uomo che amava pazzamente i libri: gli piaceva leggerli ed evidentemente, per una volta, scriverli. “Le mie letture abituali, quando vado a letto, sono le vecchie cronache dei secoli, dal terzo al sesto; le leggo o me le faccio tradurre”. La sua biblioteca da viaggio era custodita da un bauletto in pelle, oggi conservato dal Museo del Risorgimento di Milano, la città tanto cara a Napoleone dove in questi giorni, nell’esatto bicentenario della scomparsa, viene anche esposto dalla Biblioteca Braidense il manoscritto manzoniano del “5 maggio”, per decenni mandato a memoria dagli studenti italiani: “chinati i rai fulminei/ le braccia al sen conserte/ stette, e dei dì che furono/ l’assalse il sovvenir!”. Mentre le ventidue pagine manoscritte di “Clisson ed Eugénie”, il romanzo d’amore scritto da Napoleone, hanno preso pochi anni fa un’altra strada, quella di un’asta pubblica, base circa 300mila euro (in un’altra tornata un solo foglio del libro fu battuto per 24mila euro), battuta a New York da Bonhams che sta preparando per la metà del prossimo ottobre una nuova asta di cimeli napoleonici e invita alla consegna.

Alla pagina 11 della più recente ristampa di “Clisson ed Eugénie” (Laurana editore, 2014) compare ad opera dell’autore, il ventiseienne Napoleone, il nome di Taranto. Sia pure per interposta persona: “Eugénie era come un’aria di Paisiello che incanta e rapisce solo le anime nate per intenderlo, lasciando la gente qualunque indifferente”.

Nel 1797, due anni dopo quello sfortunato esordio letterario, Napoleone avrebbe incaricato Giovanni Paisiello di comporre la “Marche funèbre à l’occasion de la mort du général Hoche” vinto dalla tubercolosi e non caduto sul campo di una delle tante battaglie condotte per la causa rivoluzionaria.

Paisiello scrive la musica per l'incoronazione

Napoleone è rimasto molto colpito dalla vicenda di Lazare Hoche e altrettanto impressionato dalla bellezza della “musique funebre” di Paisiello (che il Festival della Valle d’Itria ha riproposto in una delle trascorse edizioni). Ha il suo peso poi quel contendersi il compositore tarantino da parte delle corti europee (il musicista è soprattutto nelle grazie di Caterina di Russia). Così quando si tratta, per l’incoronazione, di indossare il pesante manto bordato di ermellino e cingersi il capo con la corona (una copia di quella di Carlo Magno e di certo più pesante del serto di lauro con cui a volte è ritratto) Napoleone non ci pensa più di un secondo. Così nascono la “Messe pour le sacre de Napoléon” e il relativo “Te Deum” di Paisiello eseguiti durante la cerimonia del 2 dicembre 1804 a Parigi nella cattedrale di Notre-Dame.

E’ da escludersi che, in quei giorni, nei “conversari” (come direbbero gli antichi poeti) tra il committente e l’incaricato sia balzato fuori il nome della perla della Jonio. Ma certamente Taranto è già presente, e fin troppo, nei pensieri e negli affanni di Napoleone. Almeno dalla prima campagna d’Egitto, nel 1798. Per esserne certi basta riprendere tra le mani un libro edito negli anni Trenta dalla Giuseppe Laterza & Figli, “Storia militare di Taranto negli ultimi cinque secoli” scritto da Giuseppe Carlo Speziale. Da sempre subalterna a Lecce, con la quale è difficile entrare in competizione, la città jonica per una volta, nell’albo della Storia, si prende la rivincita. L’appassionante fluire della narrazione di Speziale mostra la città seduta alla destra di Napoleone (Lecce viene nominata solo poche volte, avanzano le dita di una mano). 

L'interesse su Taranto

Il generale (come risulta dalle “Correspondance de Napoleon Premier”, fatte stampare dal nipote Napoleone III e conservate a Parigi) è convinto che Taranto per la sua morfologia possa essere un’ottima testa di ponte per le campagne d’Oriente. “Est indispensable que l’on occupe principalement Tarente ed que l’on fortifie le port de manière que nostre escadre d’y trouve à l’abri d’une escadre supérieure”. Strategie militari e navali per consegnare alla flotta francese (“nostre escadre”) il primato nella griglia di partenza. Taranto è soprattutto il luogo dove accentrare, scrive ancora Speziale, “il traffico dell’armata d’Egitto”: uomini, scorte, cannoni, armi, munizioni. Così, dispaccio dopo dispaccio, Napoleone raccomanda di decuplicare le fortificazioni, dispone l’invio di truppe, ne consiglia la distribuzione. Controlla tutto, sia pure a distanza, ma spedisce un fratello, a controllare tutto, vestito da Re di Napoli: è il solito Giuseppe che intanto si è precipitato a ringraziare San Gennaro per l’insperata nomina e gli ha portato in dono una pesante e vistosa collana. “I miei complimenti per la tua riconciliazione con san Gennaro”, lo stuzzica Napoleone, ma cerca piuttosto di occuparti delle cose militari. 

Taranto ormai è invasa da decine di migliaia di fanti francesi, con tutte le intemperanze reciproche che una coabitazione di questo genere comporta. Non durerà molto ma comunque abbastanza, poco più di un decennio. Finché, dopo tante vittorie, la sconfitta in Belgio, sul campo di battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815, segna il declino dell’uomo. Napoli torna nelle mani dei Borbone. Addio Taranto, addio tutto. La polvere al posto dell’altare. Meno di due mesi dopo una nave porta Napoleone a Sant’Elena per il primo dei sei anni di esilio.

“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, ma che domande fa signor Manzoni. I posteri non conoscono il dubbio. Duecento anni dopo sono ancora qui ad ammirare Napoleone o Nabuliò come lo avevano soprannominato i suoi, perché anche lui è stato bambino e, quando giocava con Giuseppe alla guerra tra Romani e Cartaginesi, a lui piaceva stare tra i Romani. Tra i vincenti. A volte la realtà supera la fantasia.
 

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