Quando l'Italia sognava al ritmo dei “musicarelli”

Quando l'Italia sognava al ritmo dei “musicarelli”
di Eraldo MARTUCCI
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Domenica 8 Novembre 2020, 16:28 - Ultimo aggiornamento: 17:29

Il Festival di Sanremo del 1967, tragicamente ricordato per il suicidio di Luigi Tenco, si chiuse con la quarta vittoria di Claudio Villa grazie a “Non pensare ame”. Ma il trono del “Reuccio” della canzone italiana iniziava a essere insidiato dai nuovi e spumeggianti talenti con le loro prime perentorie affermazioni, amplificate dai cosiddetti “musicarelli”, ovvero il film musicale di quel periodo il cui titolo era quasi sempre tratto da una canzone di successo. Come accadde proprio nel 1967 al giovane Al Bano, arrivato a Milano dalla natia Cellino San Marco cinque anni prima con grandi speranze, e che nei momenti bui si era adattato a fare parecchi mestieri. Nel mondo della canzone era già entrato e aveva pure fatto parte del Clan di Adriano Celentano, che all’inizio se lo era coccolato ma poi lo mandò via. E fu la sua vera fortuna, perché dopo questo episodio arrivò l’exploit clamoroso, soprattutto di vendite, della canzone “Nel sole”, che accumulò un premio dopo l’altro, tra cui la Gondola d’Argento a Venezia. Ma il meglio doveva ancora venire.

Sul set dell’omonima pellicola girata da Aldo Grimaldi, il cantante pugliese conobbe la giovanissima Romina Power, che sposò tre anni dopo. Anche il film ebbe un grandissimo successo con un incasso record di oltre 700 milioni. Dato, quest’ultimo, contenuto nell’interessantissimo “Cinema, sorrisi e canzoni – Il film musicale italiano degli anni Sessanta”, il nuovo saggio di Claudio Bisoni, docente Dams e studioso della nostra cinematografia, che indaga appunto il fenomeno dei “musicarelli”.

Un genere che lo stesso autore definisce “minore tra i minori”, ma che è stato capace di raccontare un capitolo della storia dei giovani, in un decennio di trasformazione dei costumi. Titoli come “Urlatori alla sbarra” (con Celentano eMina fra gli altri), “I ragazzi del juke-box”, “Rita la zanzara” (con Rita Pavone e la regia di Lina Wertmüller che si firmò con lo pseudonimo di George Brown), “Perdono” e tanti altri meno conosciuti hanno avuto il merito di restituire sul grande schermo i cambiamenti sociali ai tempi del boom economico stabilendo un dialogo con le nuove generazioni di spettatori. Lo stesso Al Bano ne girò diversi altri, tra cui nel 1968 “L’oro del mondo”, che andò molto bene al botteghino con 562 milioni di incasso; e nel 1969 “Il ragazzo che sorride”, con un incasso di 304 milioni. I musicarelli furono il trampolino di lancio per Gianni Morandi, che con “In ginocchio da te” del 1964 e “Non son degno di te” del ‘65 inaugurò sul grande schermo la sua immensa fortuna. E come sarebbe accaduto per Al Bano e Romina, anche in questo caso galeotto fu il set. Il grande amore fra Morandi e Laura Efrikian scoppiò infatti durante le riprese del primo film. Due anni dopo il matrimonio e la nascita dei tre figli, con il grande dolore della perdita della primogenita Serena nove ore dopo il parto, mentre suo padre era in finale con Claudio Villa nel programma Scala Reale. Fra gli aspetti più interessanti del libro c’è sicuramente il percorso che Bisoni propone delle tappe più rilevanti del filone: dalle routine produttive dei film a basso costo alle dinamiche economiche che ne spiegano il successo fino all’analisi delle forme espressive e narrative. «Il film musicale nasce e si sviluppa all’interno delle politiche del basso costo – scrive l’autore - ricavandosi una nicchia in cui si possono osservare gli elementi caratterizzanti l’artigianato industriale cinematografico italiano: squadre di lavoro compatte con professionisti che passano da un team all’altro creando legami professionali articolati e stabili; messa a punto di modelli produttivi e formali costruiti su esperienze pregresse che hanno radici negli anni Quaranta e Cinquanta (il melodramma, il primo film musicale, il cinema comico, ecc.); capacità di utilizzo “creativo” dei meccanismi di finanziamento statale».

Particolarmente rilevante è l’osservazione sulle radici del genere, ad iniziare dalla stretta parentela con quello comico: «nella maggior parte dei casi il film musicale è un cinema comico, affidato ad attori di provata esperienza (come Gino Bramieri, Aldo Carotenuto, Franco e Ciccio, solo per citarne qualcuno) a cui vengono aggiunte le canzoni». E l’altro aspetto da sottolineare è che la stagione del musicarello si sviluppa in continuità con il cinema musicale precedente, a partire da quello più vicino, il film–canzone degli anni ’50 che poteva contare sulla presenza di artisti di grande successo come Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, Achille Togliani e lo stesso Claudio Villa. Il sentimento musicale diffuso era fortemente legato all’opera lirica e ai filoni musicali melodici italiani storici più noti, su cui primeggiavano la tradizione napoletana e lo stornello romano. Ma le origini del film musicale coincidono con il primo film sonoro italiano, “La canzone dell’amore” del 1930, che si avvalse del contributo fondamentale di Cesare Andrea Bixio. Il grande compositore napoletano scrisse infatti la canzone che dette poi il titolo al film (in realtà si chiamava “Solo per te Lucia”), e che grazie alla voce di Beniamino Gigli, che ne fu il primo interprete, si impose subito nella hit parade dell’epoca. Canzoni che trovarono una cassa di risonanza eccezionale attraverso le più celebri voci liriche che capirono l’importanza del cinema sonoro e si buttarono a capofitto in quella nuova avventura. Tito Schipa e Beniamino Gigli fra i tenori, Gino Bechi e Tito Gobbi tra i baritoni, furono quelli che girarono il maggior numero di film il cui titolo era quasi sempre quello omonimo di una delle canzoni composte da Bixio.

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