La terra di mezzo e i suoi mille colori nell'arte di Vittorio Tapparini

La terra di mezzo e i suoi mille colori nell'arte di Vittorio Tapparini
di Marinilde GIANNANDREA
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Giovedì 21 Dicembre 2017, 22:21 - Ultimo aggiornamento: 22:25

C’è sempre un attraversamento nell’universo pittorico di Vittorio Tapparini che alla Fondazione Palmieri di Lecce presenta da oggi “La terra di mezzo”, una serie di opere allineate alla produzione più recente in cui sceglie di tornare alla figurazione e di costruire un piccolo cosmo perfettamente coerente, fatto di frammenti legati fra loro da una linea stilistica, volutamente ingenua, e da uno stato di sognante felicità.
Sono figure che viaggiano spesso in coppia, visibilmente innamorate, tra paesaggi luminosi e colorati e, quando si raccolgono in gruppo, sembrano allegre brigate in transito su piccoli autobus o dentro fragili barche. In questo caso si avverte l’omaggio alle iconografie care al padre Ugo – tra i più conosciuti artisti leccesi – ma sicuramente Vittorio preferisce non condividerne il tratto grottesco, la visione irriverente e la satira sociale.
I suoi personaggi potrebbero andare verso un altrove o percorrere semplicemente la vita con un bagaglio leggero, fatto solo di sentimenti, perché in questa pittura caratterizzata da una “flânerie” pacifica e spensierata, che ricorda i disegni dei bambini, ogni conflitto sembra essere annullato. 
 

 

La “Terra di mezzo” è anche il Salento dove «non ci si può fermare troppo – racconta Tapparini – ma bisogna andare oltre perché qui è inutile sostare in attesa», ma è soprattutto l’estensione metaforica di un momento di passaggio, poiché è «il luogo in cui ho riscoperto le mie origini, perché a volte cercare lontano non serve se le cose le hai già dentro di te. E credo sia anche, artisticamente parlando, una visione molto contemporanea della realtà».

Gli uomini e le donne che animano questo scenario sono “figli dell’ottimismo”, inseguono un registro favolistico e surreale, felici di essere insieme in una narrazione dalle possibilità aperte in cui la meta del viaggio è ignota, mentre si avverte il dinamismo costante della vita. Tapparini sceglie una linea figurativa caratterizzata dalla leggerezza e un mondo a colori dove i cieli sono senza nuvole e gli oggetti non proiettano ombre, mettendo consapevolmente in atto un piano contro il dolore dell’esistenza con strumenti utili ad affrontare le difficoltà, applicare la resilienza e cercare la gioia di vivere.

«“La terra di mezzo” è la sua zona franca, – scrive Claudia Presicce nel catalogo che accompagna la mostra – il luogo di passaggio in cui coltivare il cambiamento di un mondo che non gli piace, la terra del coraggio in cui conoscere la parte più vera di noi, sgangherata e imperfetta ma libera». Frammenti temporali in cui il peso della realtà sembra essersi preso una vacanza, mentre si apre lo spazio di un universo simbolico punteggiato da mari, cuori e stelle. In questo modo la realtà cessa di essere oggetto e si trasforma in pura immagine, in una disposizione dello spirito che dona duttilità e libertà. 
Anche il colore è al servizio della narrazione con una tavolozza vivace e satura che accentua il senso di una fantasiosa familiarità. Sono opere di piccole dimensioni, che spingono a cercare antecedenti in una pittura di stampo naif, favolistico e surreale, che si lascia alle spalle il passato più concettuale, la ricerca materica, condotta per alcuni anni con il Gruppo “Tracce”, la monumentalità eroica delle figure “Hidalgo”, presentate al Must di Lecce nel 2013 e le azioni di intervento nel dibattito artistico cittadino.

Pittore, scultore, Vittorio Tapparini, ha al suo attivo un’intensa carriera espositiva e, come animatore e operatore culturale, ha ideato e curato una serie di eventi tra cui, tra il 2010 e il 2014, le tre edizioni della Biennale del Salento al Castello Carlo V di Lecce.
In quest’ultima produzione, che ha preso l’avvio con una serie di personali tra Roma e Lecce, abbandona il suo “lato oscuro”, sceglie una narrazione intellegibile e spinge lo spettatore ad abbandonarsi alla sua stessa gioia. Una gioia ritrovata anche nell’uso della tela e dei pennelli che sembrano essere i suoi rinnovati strumenti di libertà.

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