Guida, la metafisica del paesaggio umano: la mostra al castello di Copertino

Guida, la metafisica del paesaggio umano: la mostra al castello di Copertino
di Carmelo CIPRIANI
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Sabato 11 Luglio 2020, 13:39
Sarà per il sole del meriggio pugliese, per l'imponenza del castello di Copertino, per la leggiadra gravità delle sculture, per tutti questi fattori insieme, ma la nuova personale di Pietro Guida si dota di una suggestiva connotazione metafisica. Un risultato olistico non nuovo, per molti aspetti già presente nelle personali di Lecce nel 2008 e nel 2014, di Matera nel 2016 e di Manduria nel 2017, ma oggi rafforzato da almeno tre fattori: l'eliminazione delle basi, la scelta della sede e, non ultimo, il titolo, Piazza d'Italia, esplicito omaggio a Giorgio de Chirico, il grande metafisico.
L'inaugurazione è fissata a martedì 14 luglio (ore 18.30), giorno del novantanovesimo compleanno del Maestro. Per l'occasione la piazza d'armi rinuncia alla consueta aura belligerante per dotarsi di una funzione più elegante, quasi cortese. Una metafisica gentile dunque, quotidiana più che mitica, che non estranea ma coinvolge, che attira più che distanziare. Curata da Lorenzo Madaro e Maristella Margozzi, direttrice del Polo Museale della Puglia, con il coordinamento di Pietro Copani, direttore del Castello di Copertino, la mostra presenta l'ultimo venticinquennio di ricerca dell'artista, un ampio lasso di tempo durante il quale ha abbandonato la ricerca astratta di matrice costruttiva per recuperare la figurazione, tra quotidianità, ricordo e mito.
Per molti (critici compresi) una scelta audace, quasi un tradimento della fase precedente, eppure, a ben guardare, perfettamente contestualizzata sul principio degli anni Ottanta, epoca in cui sul piano internazionale si assiste a un generale recupero dei valori tecnico-formali. Quattordici sculture, tutte a grandezza naturale, datate tra il 1990 e il 2015, testimoniano l'ultima fase espressiva dello scultore che nella figurazione carica di rimandi al passato (specialmente ad Arturo Martini) ha incontrato la sua attualità.
Accusato di essere un figurativo, termine che inevitabilmente per gli avanguardisti ad oltranza - reali o presunti - collima con anacronistico, Guida ha trovato nell'indagine della realtà la sua peculiare ars vivendi, il modo di essere coerente con se stesso e eccentrico rispetto ai più. Una scelta che si nutre di paradossi, intanto perché alimenta con la figurazione la stessa ansia di ricerca che animava la precedente fase astratta, facendo apparire l'una la (in)naturale prosecuzione dell'altra, e poi perché ce lo rivela, come sottolineato in più occasioni, controcorrente nella tradizione.
Fedele alla materia Pietro Guida non ha mai disgiunto l'idea dalla tecnica, seguendo sempre l'iter canonico della creazione, dal progetto su carta, supporto su cui annotare l'idea con sorgiva immediatezza, all'esecuzione finale in cemento, passando per l'ipotesi realizzativa in terracotta, il più delle volte eseguita in molteplici versioni, con minimi eppur fondamentali cambiamenti. Consuetudine creativa a cui esplicitamente rimanda la sezione di disegni organizzata all'interno del castello, in cui la propensione scultorea dell'artista emerge con forza attraverso un segno nitido, netto e preciso. Come ogni scultore, Guida non ha bisogno del chiaroscuro per pensare ai volumi, li ha nella testa e sono già di materia viva e palpitante. Non è la prima volta che le sue opere si trovano a interagire con spazi carichi di storia, tuttavia ogni volta l'incantesimo si rinnova e negli occhi di chi osserva appaiono nuove angolazioni, nuovi particolari, nuovi dialoghi. Una vera scultura ha affermato l'artista - deve reggere lo spazio. In tal senso le sue opere non hanno mai tradito le aspettative. Aggirandosi tra le sculture quasi ci si aspetta che da un momento all'altro prendano vita trasformando in movimento la loro energia potenziale. Nell'ampio spazio quadrangolare del castello le opere colloquiano, danzano, trepidano, si arrestano. Sono scrutate e scrutano, coinvolgendo lo spettatore in un gioco di sguardi e gesti. Come già avvenuto nelle mostre precedentemente ricordate, specialmente in quelle al Rettorato dell'Università del Salento e nel chiostro dell'ex Convento delle Servite a Manduria, anche in quella attuale le sculture si diffondono tra il pubblico apparendo umanità cementata consegnata all'eternità. La solidità del cemento talvolta si stempera nelle leggere cromie, ancor più ingentilite dai bagliori solari che, pur conservando alla vista l'espressiva rudezza della materia, tendono a conferire all'insieme un'atmosfera soffusa, facendo apparire le figure non ospiti ma naturali inquiline del maniero. Le sculture, singole o in gruppo, sono istantanee sottratte alla quotidiana esistenza, informate da lucidità speculativa e probità della mano. Acrobati, musici, donne sensuali, talvolta molli, palesano un approccio lieve alla realtà e un'innata predisposizione alla grazia. Guida restituisce alla scultura il fascino tattile della materia e alla mente il pieno controllo della mano; non perde mai il filo della narrazione dipanandolo in un'atemporalità senza geografia.
Nelle sue opere si avverte il carico della tradizione, inteso non come dogma ma come humus da cui far sorgere creazioni autonome. Le sue sono vere sculture. «Il progetto espositivo precisano gli organizzatori è stato studiato per consentire ai visitatori di osservare le opere tenendo conto delle attuali norme di sicurezza nei musei nel post Covid ed anche per questo si è deciso di esporle all'aperto». Un'appendice della mostra è collocata anche al Castello svevo di Bari, dove è esposta l'opera Prigioni, già presentata nella sezione leccese della Biennale di Venezia del 2011: una riflessione sul desiderio dei carcerati di socialità, di contatto con il mondo esterno. La mostra, visitabile fino al 19 settembre, dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle 13.30, è accompagnata da un catalogo con contributi, oltre che dei curatori, di Francesco Abbate, presente con un testo inedito, di Brizia Minerva, Marina Pizzarelli e Michele Prisco, e con un ricco apparato fotografico di Beppe Gernone che documenta il work in progress dell'allestimento.
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