“Mondocane”, a Venezia Taranto e il suo dialetto

“Mondocane”, a Venezia Taranto e il suo dialetto
di Francesca RANA
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Domenica 12 Settembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 09:50

“Tarantinizzare” il film “Mondocane” di Alessandro Celli è stata la missione di Pierfrancesco Nacca, tarantino, dialogue coach ufficiale, preparatore di dialoghi, nella co-produzione di Groenlandia e Minerva Pictures realizzata insieme a Rai Cinema con il contributo di Apulia Film Fund, di Apulia Film Commission e Regione Puglia. Alla sua prima volta nel cinema, in regia e davanti alla cinepresa, per 8 settimane del 2020 ha lavorato a tavolino, in lezioni personali “one to one” e sul set, con Josafat Vagni (Tiradritto), Barbara Ronchi (Katia), Ludovica Nasti (Sabrina) Federica Torchetti (Sanghe), Francesco Simon (il poliziotto), tarantino ed emigrato a Roma negli anni ‘80.

In scena una Taranto futura, disgraziata e criminale

Presentata in anteprima mondiale il 3 settembre in concorso alla 36ª Settimana Internazionale della Critica di Venezia che si è conclusa ieri, e già in distribuzione nelle sale cinematografiche con 01 Distribution, al 9° posto al Box Office Italia, l’opera prima è ambientata in una Taranto futura distopica, disgraziata, esasperata, criminale e deprimente, ispirata ai classici di letteratura o fantascienza e alle cronache, suddivisa tra Taranto nuova e i Tamburi, evacuati dopo un misterioso incidente, invivibili e contaminati. Gli adulti sono decimati, gli orfani vivono tra l’orfanotrofio e le attività didattiche consentite, sono impiegati in lavori forzati o vittime di pedofili, non esiste speranza e ogni giorno scelgono tra sopravvivere, essere ingranaggi di un’acciaieria alienante, rimasta in funzione perfino dopo la catastrofe, o resistere al destino nel formicaio nella città proibita, trovare il modo di bonificare le zone inquinate e tornare alla pesca, metafora politica di un invito contemporaneo alla ribellione mentale. Davanti ad un bivio, alcuni sceglieranno le armi e la violenza, altri l’amore e l’amicizia. 

Per il film sono state selezionate 15 unità lavorative pugliesi, è stato girato tra le provincie di Taranto, Brindisi e Roma, riprese chiave sono state fatte sulla Circummarpiccolo e a Marina di Leporano, e la parlata tarantina è stata ritenuta essenziale. «Ricordo - racconta Nacca - quando in pausa al bar negli Studios sulla Tiburtina ripetevamo battute con Barbara Ronchi, bevendo tè freddo, o studiavamo il linguaggio con Josafat Vagni davanti a una carbonara, o sorseggiavo il caffè con Federica Torchetti, al lavoro o a casa. Utilizzavamo audio messaggi, botta e risposta, ricordavo cadenza e pronuncia esatta o insegnavo a trascinare le frasi e spiegare che il nostro “averamènde?” (veramente) è musica, cantilena. Dopo la preparazione, ero al monitor con le cuffie, sentivo i dialoghi, li controllavo, intervenivo su suono e parole, correggevo, suggerivo».

«Insieme con Danilo Sarappa, l’acting coach - prosegue - abbiamo lavorato sulla recitazione di Dennis Protopapa e Giuliano Soprano (nei panni di Pietro e Christian, i due orfani protagonisti, ribattezzati Mondocane e Pisciasotto).

Se studieranno, potranno fare questo mestiere». 

Tutto iniziò ai provini, negli Studios, grazie a uno scambio di vedute sulla questione tarantina con il regista. «Si è intavolata una discussione - continua a raccontare Nacca - usciva fuori la tarantinità. L’attore spesso fa proprio il dialogo di un monologo, lo modifica. Io ci avevo messo battute in dialetto tarantino. Sono state apprezzate, abbiamo fatto un discorso sul linguaggio singolare. Il tarantino si parla solo a Taranto, c’è tutto un mondo dietro la cadenza, non è solo chiudere le vocali. Il regista mi ha affidato il ruolo di dialogue coach. Nell’immaginario, quando giri in Puglia tu parli il barese. Noi dobbiamo riprenderci la nostra identità. Non si può girare un film su Taranto e parlare in barese. A Lecce si parla il salentino, a Bari il barese, a Taranto ‘u tarandìne. Spesso, dicevo “Tarantinizziamoci un attimo”. Avevo l’esigenza di restituire a Taranto qualcosa, linguaggio, modo di muoversi, la nostra cifra, e il regista ha voluto una forte impronta tarantina».

Si coglie quanto sia fiero e convinto di aver svolto bene il suo lavoro, uniformato linguaggi e cadenze, portato il suo territorio in un film di livello e colto l’esigenza registica di rendere comprensibile il dialetto a un pubblico non solo tarantino. «Parliamo di dialogue coach quando fanno bene - ribadisce - non solo quando vengono meno, in lavori recenti in Puglia, e riconosciamo l’intuizione di un regista».

Un cameo come "cattivo" nel film

Pierfrancesco Nacca ha anche partecipato al film, in un cameo nel ruolo di capo sterilizzatore. «Sono stato un’ora al trucco con Roberto Pastore. Ha creato una cicatrice sul mio volto e dato valore aggiunto al mio personaggio e alla sua cattiveria. Il costumista Andrea Cavalletto ha realizzato la divisa mixando un pompiere futuristico e un SS nazista. Questi professionisti non compaiono sullo schermo. Dietro un film, tanta gente alimenta un mondo splendido». 

Il co-protagonista, Alessandro Borghi, interpreta il capo (Testacalda), non cambia la dizione e solo quando s’arrabbia o si emoziona pronuncia frasi dialettali tarantine, scelte dopo aver consultato regista e dialogue coach. Un’espressione riguarda le sue radici: “Ije hàgghie náte acquá” (Io sono nato qua), quando sbarca tra la sua gente, rimasta nella sua terra, nonostante l’evacuazione.

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