Quegli antichi messapi che giocavano a Vaste

Quegli antichi messapi che giocavano a Vaste
di Ilaria MARINACI
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Martedì 7 Maggio 2019, 12:25 - Ultimo aggiornamento: 12:26

A Vaste, sono state trovate 17 tesserae lusoriae di età repubblicana. Un record perché, in tutto il mondo romano, un gruppo così numeroso non era mai stato rinvenuto prima di questa scoperta avvenuta durante la campagna di scavi del 1990. «Si tratta di un gioco che facevano i romani nelle tabernae racconta l'archeologo Francesco D'Andria, professore emerito dell'Università del Salento in cui ci sono le lettere e le cifre. Una specie di gioco dell'oca di 2000 anni fa che prevedeva di procedere con i dadi e poi con l'estrazione di queste tessere. A chi capitava un numero basso, toccava un brutto punteggio e il malcapitato si beccava un insulto, in alcuni casi, anche appellativi sessuali pesanti, come pederasta o mantenuto dalle prostitute (l'equivalente di un moderno protettore), tanto che non di rado questi giochi finivano con una coltellata. Il numero più basso corrispondeva al nugo, l'impostore, mentre quello più alto al rex, il re».
Questa è solo una delle curiosità che si possono trovare leggendo il volume Messapia Illustrata, uscito poche settimane fa per Congedo Editore, a cura proprio di D'Andria, che sarà presentato oggi (martedì 7 maggio alle 19) nell'aula consiliare del Comune di Trepuzzi. A introdurre l'incontro sarà il cavalier Michele Caldarola, dell'Accademia del Santino.
Il volume di D'Andria propone un racconto per immagini sulle antiche genti della Messapia, presentate nei loro contesti di vita così come sono state ricostruite sulla base dei dati provenienti dagli scavi archeologici. Tante le tavole a colori che evocano ambienti, costumi e riti dei Messapi, accompagnate da testi che offrono informazioni sulle pratiche quotidiane. Per esempio, su come veniva raccolta e canalizzata l'acqua piovana, su come funzionavano i sacrifici e i pasti rituali, sulla produzione e la conservazione di vino e olio.
«L'obiettivo spiega l'archeologo è far conoscere ad un pubblico più vasto la realtà bellissima dell'archeologia del Salento anche attraverso le immagini».
La maggior parte di quelle pubblicate nel volume sono state realizzate dallo studio fiorentino InkLink di Simone Boni, il team più esperto nella produzione di illustrazioni per l'archeologia «che ha lavorato continua D'Andria anche al nuovo allestimento museale dei Mercati Traianei».
Altre immagini sono dell'illustratore francese Jean Claude Golvin, che ha pubblicato su tutti i giornali d'Oltralpe le ricostruzioni delle città della Provenza e ha all'attivo un libro sui grandi centri del Mediterraneo. Quattro tavole su Cavallino, invece, sono firmate da altrettanti studenti dell'Accademia di Belle Arti di Lecce. Tutte queste professionalità sono state coinvolte, nel corso degli anni, nei progetti promossi dall'Università del Salento che prevedevano, a conclusione dell'attività archeologica, la divulgazione dei risultati con un metodo che risultasse al massimo comunicativo. E cosa è meglio, in questo senso, dei disegni che, già prima dell'avvento della fotografia e delle ricostruzioni digitali, aiutavano la fantasia nell'immaginare come fosse il nostro territorio in un tempo ormai remoto?
«È una tecnica tradizionale aggiunge l'autore tant'è vero che il titolo è un richiamo alla storica illustrazione italiana che risale all'Ottocento e agli architetti dell'école de Rome. Quindi, si tratta dell'aggiornamento di una grande tradizione e dell'applicazione alla realtà della Messapia. In ogni caso, l'immagine è un potente elemento di comunicazione e di formazione. Ma abbiamo utilizzato anche le tecniche più innovative come la ricostruzione virtuale al computer, per esempio in alcune tavole sull'anfiteatro di Rudiae».
Tradizione e innovazione, insomma, viaggiano di pari passo in questo libro che ha anche il merito di far capire al pubblico le reali dimensioni dell'opera d'arte più importante ritrovata nel Salento. «L'immagine dello Zeus di Ugento, la statua in bronzo conservata al MarTa di Taranto, mostra spiega l'autore che era collocata su una colonna con un capitello decorato di rosette e abbiamo cercato di rendere la giusta proporzione fra la statua e il contesto in cui veniva venerata per far capire che non si trovava all'interno di un tempio ma in uno spazio aperto, dove i messapi onoravano le loro divinità, anche se la statua ha fattezze greche».
Tante le curiosità. Oltre a quella del gioco delle tessere, c'è la storia di Otacilia Secundilla, la matrona romana che finanziò la costruzione dell'anfiteatro di Rudiae. «La racconto per mettere in evidenza sottolinea D'Andria la funzione delle donne anche nel mondo antico come promotrici della cultura e delle attività sociali». Lo stile narrativo, però, non deve trarre in inganno. «Ogni immagine si basa su contesti che abbiamo scavato scientificamente», dichiara l'archeologo, che ha diretto tutte le più importanti campagne avviate da Unisalento negli ultimi decenni, oltre alla missione estera a Hierapolis, in Turchia: da Roca, che ha rivoluzionato per l'età preistorica le conoscenze sul Mediterraneo, a Castro, dove è stato portato alla luce l'Athenaion, il tempio di Atena citato da Virgilio, che si stava cercando dal 1500, fino all'anfiteatro di Rudiae.
«Dobbiamo essere contenti che in questi 40 anni conclude il Salento da zona molto periferica dell'archeologia italiana sia diventata uno snodo centrale».

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