Inguscio (Cnr): «La ricerca illumina, la politica sceglie. E ora la Puglia ha un'occasione irripetibile per svoltare»

Inguscio (Cnr): «La ricerca illumina, la politica sceglie. E ora la Puglia ha un'occasione irripetibile per svoltare»
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Domenica 14 Giugno 2020, 17:03 - Ultimo aggiornamento: 15 Giugno, 16:35
La ricerca illumina, la scienza orienta. Ma la decisione spetta alla politica, se si sottrae alla fascinazione facile, e perciò comoda, di illusionisti e stregoni. Il concetto di base è racchiuso in queste poche parole. Semplice. La premessa, però, è accidentata: pensi di non riuscire ad arrivare a bersaglio con il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, perché la comunicazione risente molto dei rumori di fondo, perché è sabato, perché è giorno da riservare a sé, alla famiglia, alle incombenze e ai piaceri della vita. Ma l’argomento deve essere stimolante, e considerevole anche la voglia di dire e raccontare, passato il lockdown. Alla fine saranno un’ora di chiacchierata e quattro cartelle di appunti. La ricerca illumina, la scienza orienta. Il povero giornalista sintetizza. Quanta responsabilità in una sola pagina.
Professor Massimo Inguscio, come va?
«Bene. Sono a Firenze, nella mia città. In questo periodo si sta poco a Roma per via dello smart working».
Una grande opportunità ma anche una tagliola, diciamolo...
«Lavoro decuplicato, non c’è dubbio. Ma è una rivoluzione benefica: risolve molti problemi».
Lei è un vanto per la Puglia e il Salento.
«Troppo generoso. Mio nonno, mio padre e diversi zii sono originari di Galatone, comune di cui con orgoglio sono cittadino onorario. Io sono nato e cresciuto a Lecce, ho studiato a Bari, mi sono diplomato a Brindisi. Poi a 18 anni il salto a Pisa per l’Università».
Una formazione itinerante.
«Papà era ferroviere. Ci si sente sempre parte di una rete estesa di comunicazione. I canali informatici ricalcano la struttura concettuale dei binari. I ferrovieri girano. E così io».
Lei è presidente del Cnr. E questo è il tempo sommo della ricerca elevata a sistema. Finalmente, si direbbe.
«La ricerca è sempre il motore del progresso e dello sviluppo. Senza, non si fa nulla. Illumina, con tutto quel che significa: evita gli oscurantismi, alimenta la democrazia, stimola l’informazione. E chiarisce concetti fondamentali: le cause dell’inquinamento, l’importanza dell’energia pulita, i pericoli del cambiamento climatico».
La pandemia ha svelato tutta la nostra fragilità. Abbiamo peccato di presunzione o di superficialità?
«La scienza è sempre chiara su tutto, ma spesso non è ascoltata: così i comportamenti sono consequenziali. Facciamo i conti con i nostri errori».
Tanti?
«Basti pensare ai morti da inquinamento, alle tragedie della fame causate dalla desertificazione, effetto del riscaldamento globale. Eppure sono evidenti a tutti i risultati positivi della ricerca: i progressi della medicina, la diagnostica per immagini, l’impiego dei laser, le vite salvate, per fare degli esempi. Il “Decreto Rilancio” del governo, col miliardo e 400 milioni stanziati per il comparto, ne riconosce il ruolo strategico».
C’è voluta una sberla epocale, però.
«Le decisioni politiche prese senza affidarsi alle certezze fornite dalla scienza portano a conseguenze molto pericolose per la salute del pianeta e dell’uomo. Se ne è preso atto».
La stagione dei no-vax, emblema di una contrapposizione ideologica e nefasta, dovrebbe essere tramontata.
«Il coronavirus ha reso manifeste molte cose. Uno scossone ancor più tragico dell’11 Settembre. I decessi, la paura: abbiamo preso consapevolezza del ruolo insostituibile della scienza. E tutti ora vogliono il vaccino».
Però ne abbiamo sentite di cotte e di crude.
«Le contrapposizioni tra virologi, per restare al caso Covid, sono solo apparenti, al netto delle singole suggestioni da primadonna. La scienza è chiamata a fornire sicurezze, ma su fenomeni nuovi è difficile muoversi con certezze assolute. I punti di vista individuali arricchiscono il confronto. Al di fuori ci sono solo santoni».
Di cosa ci siamo scoperti capaci?
«Di nuove modalità lavorative, intanto».
La trappola di cui all’inizio?
«Vediamola nel suo complesso: abbiamo vissuto una straordinaria accelerazione nelle competenze digitali, da affinare e implementare. Lo smart working, ma anche la didattica a distanza e la telemedicina. Una rivoluzione necessaria: eravamo indietro rispetto a molti paesi europei».
Le controindicazioni non sono da trascurare.
«Sono modalità nuove, sia chiaro, ma non sostitutive. Pensiamo alla scuola: niente e nessuno potrà mai surrogare il valore pedagogico del contatto umano, soprattutto con i più piccoli: il futuro si costruisce con loro, il valore formativo della socializzazione è insostituibile. La scuola non è solo trasferimento di nozioni».
Qual è il ruolo del Cnr in questo processo?
«Un mese fa abbiamo lanciato la piattaforma “Outreach.cnr.it” di orientamento, formazione, informazione e discussione, molto utile per docenti e studenti. C’è anche una rubrica dedicata alle fake news. Una per tutte: che il coronavirus viaggi con la tecnologia 5G».
Ci ricorderemo di tutto questo?
«Dobbiamo! Non dimenticare è un imperativo. Soprattutto come metodo: non solo perché la gente continui ad affidarsi a persone competenti ed esperte, ma nello specifico affinché i decisori politici possano essere supportati nelle loro scelte dalle conoscenze fornite da organismi tecnico-scientifici. Una straordinaria responsabilità. Viviamo una crisi paragonabile a quella del primo dopoguerra. Sa come si chiamava all’epoca il Cnr?».
Azzardo: Cnr?
«Sì, ma l’acronimo aveva diverso significato: Comitato nazionale per la ricostruzione. La erre di ricerca era riferita alla ricostruzione. Ora torniamo a rivestire anche quel ruolo: abbiamo appena licenziato il nostro piano operativo strategico per la ripartenza».
Quali le linee guida?
«Innanzitutto, la raccolta dati. Speriamo non accada, ma tra qualche anno potrebbe ripetersi una pandemia: sarà importante avere delle basi di raffronto. Ora sarebbero stati molto utili i dati sull’emergenza Sars del 2002, ma non esistono. Gli altri progetti vanno nel senso della resilienza: contenuti i danni, occorre ripartire col piede giusto».
In quale direzione i primi passi?
«La transizione delle imprese verso la piena digitalizzazione e l’utilizzo di energie alternative; il rafforzamento della filiera agroalimentare per non dipendere dall’estero; l’impiego dell’intelligenza artificiale, a partire dal comparto sanitario. La ricerca per ricostruire, appunto».
La Regione Puglia l’ha inserita nel Gruppo strategico per la ripartenza.
«Ne sono orgoglioso. Da sempre la Puglia è sensibile al tema della ricerca. Le interazioni col Cnr hanno portato a notevoli investimenti. La conoscenza è un processo interdisciplinare. A Lecce si esplorano settori innovativi con le nanotecnologie. Non solo: con Eni è stato avviato un laboratorio sui cambiamenti climatici e ora con Ri.Med, importante fondazione di ricerca per il Mediterraneo, uno sulla genetica. A Bari sono concentrate le attività dedicate alla filiera agraria e alla costruzione della fabbrica intelligente, mentre Foggia opera sull’agroalimentare: la nutrizione come prevenzione».
Avete riunito la Puglia, in pratica.
«E non è finita: a Taranto Cnr e mondo universitario guidano l’azione del governo per la decarbonizzazione e la diagnostica ambientale a tutto campo, con implicazioni anche di carattere culturale. La crisi come opportunità di rilancio».
Dicevamo del Gruppo strategico per la ripartenza...
«Abbiamo appena svolto il primo incontro, molto stimolante. E questo ha confermato una mia idea: i pugliesi sono persone concrete».
Dice sul serio?
«Certamente. Tra l’altro, avendo appena stilato il piano strategico del Cnr per la ripartenza, mi viene facile declinare su scala regionale quanto pensato a livello nazionale. Dalla ricerca all’innovazione, dall’agricoltura all’aerospazio, qui si possono realizzare cose incredibili. Non solo turismo: la bellezza del paesaggio è una precondizione necessaria, da salvaguardare e valorizzare. La nuova idea di impresa ha l’ambiente e la salute al centro. Una marcia in più: non attireremo solo turisti, ma anche cervelli e intelligenze».
Intanto arrivare qui è una scommessa: trasporti insufficienti, infrastrutture carenti.
«Nei piani di rilancio del governo un posto centrale è riservato proprio ai collegamenti. Non basta creare dei poli di eccellenza, occorre metterli materialmente in rete. Non c’è dubbio che l’alta velocità fino a Lecce sarebbe un punto di svolta, così come per lo scalo di Taranto un sistema retroportuale all’avanguardia. Ho ancora in testa il rumore del convoglio ferroviario di ritorno in Puglia, veloce fino a Bari e lentissimo dopo. Un’odissea. Qui possiamo sperimentare forme diverse di mobilità, efficienti e innovative».
Presidente, non sarà un altro libro dei sogni?
«Dipende solo da noi. Ma l’imprinting è quello giusto: c’è un pugliese doc dietro la formulazione dell’articolo 9 della Costituzione, Aldo Moro. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Nella Costituente sedeva anche Gustavo Colonnetti, all’epoca presidente del Cnr. Un articolo di straordinaria lungimiranza: la cultura, l’arte, la storia e il paesaggio coniugati con la ricerca e la tecnica. Cos’altro è la nostra regione? Non inventiamo nulla: se Moro fosse vivo, sarebbe contento di quest’idea di Puglia. Non più periferica ma centrale in una visione mediterranea dell’Europa».
Ottimista?
«Sì. La Puglia è una grande sintesi. Ma qui come altrove bisogna recuperare fiducia nella ricerca e nelle competenze per attivare lo sviluppo. La cultura e la scienza illuminano e guidano, non è più tempo di untori e stregoni. Ricordiamo le parole di Alessandro Manzoni, rievocate ora, nel tempo infausto della pandemia, quando nei “Promessi sposi” parla della peste di Milano: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”. Ecco: non dobbiamo più avere paura. Col buon senso apriamo insieme al futuro».

 
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