Strehler, il genio a teatro dal Piccolo al Valle d’Itria

Strehler, il genio a teatro dal Piccolo al Valle d’Itria
di Anita PRETI
6 Minuti di Lettura
Martedì 20 Luglio 2021, 05:00

Si parla di lui, del “mago”, questa sera a Martina Franca. Giorgio Strehler, nel centenario della nascita (che cade il 14 agosto) viene ricordato dalla Fondazione Paolo Grassi diretta da Rino Carrieri che, già da mesi impegnata in una serie di iniziative per ricordare il regista, propone adesso di incontrare e ascoltare Cristina Battocletti, autrice di uno dei più bei libri che siano stati recentemente pubblicati, “Il ragazzo di Trieste”, fulminante biografia di Strehler pubblicata da La Nave di Teseo. Ed è noto che la casa fondata da Elisabetta Sgarbi, quella nave, sia solita solcare mari dove l’inusuale e la bellezza siano solo onde carezzevoli.

L'incontro

Nell’incontro, che inizierà alle 18 nella Sala degli Uccelli del Palazzo Ducale, affiancherà la giornalista friulana non nuova alla scrittura narrativa (che alterna alla passione per la critica cinematografica) Giovanni Soresi, per lunghissimo tempo responsabile della comunicazione del Piccolo Teatro di Milano ed è assolutamente superfluo ricordare che Giorgio Strehler, Paolo Grassi e con loro Nina Vinchi lo abbiano fondato nel 1947. Quindi Soresi, unico tra i presenti, ha conosciuto e lavorato con Strehler. Battocletti no, ma si stenta a crederlo calandosi nel suo racconto della vita di un genio, una narrazione che vola sulle 436 pagine tanto appassionante è la scrittura.

Il libro

Battocletti parte in flashback, il funerale nel dicembre 1997, per poi ritornare alla nascita e risalire la vita di Strehler fino alle soglie di declino che la morte gli ha risparmiato. “Ho sacrificato tutto a quella bestia che è il teatro e lui mi sta divorando”. Data la mole del soggetto, nel mettere insieme “Vita, morte e miracoli” di un uomo comunque “da amare nelle sue terribili imperfezioni”, Cristina Battocletti si è lanciata in un’impresa straordinaria: «Ho cercato nei limiti dell’umano di leggere tutto quello che potevo e di ascoltare chiunque potesse essermi utile per comprenderlo meglio». E così riunisce le testimonianze di attori, registi, tecnici citati ad ogni inizio di capitolo come se fossero personaggi e interpreti di una grande commedia o di una grande tragedia.

Benché la Fondazione abbia messo in cantiere da mesi il denso programma “Grassi& Strehler, l’arte di fare teatro” (curato proprio da Giovanni Soresi) per ricordare e illustrare il lavoro di due grandi amici, separati solo dalla morte del primo, Giorgio Strehler non ha mai messo piede a Martina Franca a differenza di Nina Vinchi più volte ospite del Festival della Valle d’Itria e di Paolo Grassi che, in virtù del fatto di avere il ramo paterno radicato in quella bellissima terra, avocava il diritto di essere un martimilanese o un milamartinese con tutta quella ricchezza di fantasia che è propria degli oriundi. Tra l’altro Grassi è stato il primo e più convinto sostenitore della necessità di questa manifestazione musicale, il Festival, che sta per tagliare il traguardo del primo mezzo secolo. E chissà, se gli fosse stato dato di vivere una vita meno breve di quella bellissima e intensa che ha vissuto, chissà davvero se non ce l’avrebbe fatta a convincere Strehler ad arrivare da queste parti, al suo festival o meglio al festival che considerava un po’ suo. Chissà, scrivendolo per la terza volta, dal momento che Giorgio era un ribelle, un anarchico, una testa dura e bene lo illustra Cristina Battocletti nei primi capitoli del libro che polarizzano l’attenzione del lettore in quanto se di Strehler, il regista (parola che in Italia nasce con lui) tutto è noto, meno lo è invece il suo privato se non per le porzioni pubblicamente dispensate dalle compagne di turno.

La vita del regista

Tutto ignoto tranne il brutto anzi il pessimo carattere. “Vorrei pregarti di limitare se non abolire il turpiloquio”, lo ammonisce Paolo Grassi.

E non finisce qui. Paolo, di colpo burbero quando si trattava delle forme più apparenti della civiltà (per esempio: “Il tu è punto di arrivo, non di partenza”), torna alla carica con Giorgio: “Se poi, entrando in teatro, invece di arrivare funebre, con gli occhiali neri e il disgusto dipinto sulle labbra, tu arriverai non dico giocondo, ma più vivo e più cordiale, non sarà male”.

Oh quante et quante volte, ormai nei racconti che se ne fanno ha acquistato il sapore di una leggenda, la povera Nina (l’aggettivo è solo una carezza affettuosa del ricordo, in realtà lei, tra quei giganti, si mostrava d’acciaio, doveva farlo, “oportet” dicevano gli antichi) era stata costretta a intervenire per sedare i litigi tra quei due pazzi in libera uscita che dalle parole potevano arrivare anche ai fatti. Ma che il cielo, mandando in giro le cicogne, ne distribuisca a pioggia di quella gente, il Paolo, la Nina, e Giorgio che hanno lasciato all’Italia una testimonianza di cultura, un esempio tangibile di cosa essa: il Piccolo Teatro di Milano. Uno degli atti concreti di quel processo di ricostruzione morale prima ancora che materiale che l’Italia aveva avviato dopo gli orrori di una guerra fratricida. Primo esempio, internazionale si potrebbe quasi azzardare, di una concezione etica della parola fare teatro. Un miracolo laico al quale è sempre possibile fare ancora riferimento.

L'autrice

Battocletti (lo sa chi ne è un fedele lettore) racconta benissimo le vite altrui, lo ha fatto anche con Bobi Bazlan, tra i più importanti intellettuali italiani, tra i fondatori dell’Adelphi. Anche Bazlan era di Trieste come Giorgio ed essere nati in una terra di confine ti regala una marcia in più. Come la storia dell’oriundo pugliese Paolo Grassi. Strehler nasce nella luce di Trieste figlio di Albertina Lovric in arte Ferrari, apprezzata violinista (a sua volta figlia di Olimpio, musicista, suona il corno, e direttore artistico del Teatro Verdi). Albertina ha sposato Bruno, amministratore unico del cinema Fenice che muore giovanissimo, quando Giorgio ha appena tre anni. Allora Albertina e il piccolo orfano raggiungono a Milano la bizzarra nonna materna Marie Aline che ha il vezzo di parlare solo in francese ed è anarchica più del nipote. Giorgio ora diventerà “il ragazzo di Milano” costruendo quella carriera, meglio quella storia artistica che tutti conoscono. Il mago dai capelli azzurrini (un’intuizione di Benito, il barbiere che ha il negozio accanto alla sede del Piccolo, in via Rovello a Milano) è lo stesso mago delle luci qualità che il teatro internazionale riconosce solo a lui, questo per dire delle grandezze e delle debolezze che rendono più umana l’inarrivabile figura del regista triestino. Regie, trionfi sì, ma lui “era mangiato dall’insicurezza, originata dall’angoscia e dal vuoto vissuti in un’infanzia sempre piena di scomparse improvvise, separazioni, partenze, affanni economici, dove nulla era sicuro”. 

Allora in questo libro c’è l’uomo, prima ancora che il regista, ed è quello che il lettore voleva sentirsi raccontare. La bibliografia su Strehler è vasta e ricchissima, ma questo bel libro, “Il ragazzo di Trieste”, è quello che mancava.

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