Luisa e Angelo: «Parmigiana e tennis»
Roberta Vinci "vista" dai genitori

Luisa e Angelo: «Parmigiana e tennis» Roberta Vinci "vista" dai genitori
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 10 Novembre 2013, 19:36 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 14:52
La coppa pi buona spunta alla fine. Il sapore del successo torrone e cioccolato. Duro. E dolcissimo. Mamma Luisa la porta in trionfo prima dei saluti. Come un trofeo. Le altre, quelle pi belle, sono invece dappertutto. In salotto, nella cameretta da letto, sul mobile, sul tavolino, sui ripiani.


Un tripudio che senti ancora gli applausi, il sudore, la fatica. L’emozione. Muoversi in casa Vinci è un po’ calcare i campi da tennis per interposta persona. Wimbledon, Parigi, Dallas, Tokyo, Bogotà, Melbourne, New York, per dire. Più tutto il resto, l’altrove che viene facile immaginare. L’affaccio da un sesto piano di via Dante, a Taranto, è prospettiva sufficiente per capire da dove è partita questa ragazza di un metro e 63, tutta forza e determinazione. E dove è arrivata. Lei, intanto, si gode la quarta Fed Cup, traduzione in rosa della Coppa Davis maschile, sempre presente con i colori azzurri assieme a Flavia Pennetta, esempi di forza e stile con cui la Terra d’Otranto omaggia il tennis tricolore e delizia gli appassionati. In più, si prepara alle inevitabili passerelle tv. Non vorrebbe, un po’ le tocca. Fabio Fazio, Milly Carlucci... Ma se scrutare le nubi è cautela del mestiere, ballare con le stelle lo è meno, decisamente meno. Sicché inutile dire dove Roberta andrà - se andrà - con maggior piacere. Lei così schiva, così misurata. Così antidiva.



Che tempo che fa. Luisa Maisano e il marito Angelo Vinci aprono la porta che già sorridono. Coppia collaudata. Doppio misto da scintille. Personaggi anche loro del circuito tennistico, ormai. Al Foro Italico, per gli Internazionali d’Italia, aspettano sempre che dal Sud arrivino i genitori di Roberta per assaggiare una parmigiana come arte comanda. Lei – 71 anni – gigioneggia e schizza rapida in casa con gli infradito. È nata a Napoli. A un anno il trasferimento a Taranto a seguito del padre, militare. Da un Golfo all’altro: dodici mesi all’ombra del Vesuvio le sono bastati per conservare intatto l’imprinting cromosomico dell’esuberanza solare, contagiosa, irrefrenabile. Lui – 75 – filosofeggia: matricola numero 15 dell’Italsider; ci è entrato nel 1960, da ragioniere. Ne deve aver viste tante, capo del personale, responsabile delle cause di lavoro eccetera eccetera. Sulla strada casa-lavoro un giorno ha ritrovato Luisa. S’erano conosciuti al Commerciale “Pitagora”. I passaggi in 600 hanno fatto il resto. Ostenta disincanto: è uscito dall’Italsider 30 anni dopo. Ha fatto altro: il dottore commercialista, ora il giudice tributario. «L’Ilva non può chiudere – dice –. Va bonificata, risanata, controllata, ma chiusa no, mai: i Riva andrebbero via senza più mettere un soldo e qui rimarrebbe un mostro che divora il suolo, occlude il panorama, uccide il futuro». Dovevamo parlare d’altro. Ma a Taranto è impossibile prescindere. Comunque, Roberta.



Assomiglia al padre. Lei, la mamma, tifa per il maschietto: Francesco, classe ’81, due anni più grande della campionessa. S’è laureato alla Luiss, vive a Roma. «È espansivo. Si diverte, gioca, racconta barzellette. Come me», sottolinea la padrona di casa. «Un giorno, erano insieme in casa nella Capitale, lui studente, lei atleta della federazione, le fece uno scherzo: un cartello sulla porta della cameretta. “Attenti al gatto”. Lei lo desiderava tanto: entrò raggiante, ma non c’era alcuna bestiola. Per Francesco, il gatto era lei. La chiama sempre così». Lui invece, il papà, inutile dirlo: «Roberta ha il mio carattere. Concreto, pratico. Per forza: non ha il tempo di entrare in confidenza con chicchessia che è già in un’altra nazione, per un’altra partita, in un altro torneo». Le coppie si incrociano, il primo match è in famiglia. Doppio. Roberta, al confine della top ten del ranking mondiale donne, è la numero uno al mondo della specialità in coppia con Sara Errani. Non deve essere un caso. Si capisce dove, e quando, ha iniziato a far pratica.



L’avventura comincia presto. E l’avverbio diventa motivo di sottofondo in questa storia accelerata, dove tutto accade a ritmi sostenuti, semplicemente “prima”. La prima volta (appunto) sul campetto a sette anni, col papà, al Canneto Beach. «Io di tennis me ne intendo», prova a spiegare Angelo. Un’impresa: dalla cucina, in attesa del caffè, la voce di Luisa è uno sberleffo: «Uhe’, sì, ma quanto te ne intendi?». Lui fa spallucce e procede, forte della convivenza ultratrentennale. «Si vedeva la naturalezza dei movimenti, quel correre verso la palla senza aspettarla». Si cresce al Circolo Tennis Taranto, passando per i campi dell’Italsider. Qualcosa di buono, da quelle parti, si è fatto. Acciaio temprato.



Non c’è stata infanzia. «Roberta forse neppure se ne è accorta: non aveva un metro di paragone possibile», raccontano i genitori. Usciva da scuola e papà era fuori ad attenderla in auto. Con un panino. Il suo pranzo. Suo di lei. Via sui campi ad allenarsi e poi a casa per i compiti. Troppo brava, troppo forte. La Federazione la chiama a Roma. Ci va con i genitori. Tredici anni, subito dopo la licenza Media. Niente infanzia. E niente adolescenza. «Per tre mesi nessuna visita dei genitori, la Federazione fu perentoria. Assisteva in tutto i ragazzi, li accudiva, li allevava, ma era rigorosa su alcuni principi. Tre mesi per capire il carattere di ciascuno di loro. La nostra preoccupazione era che fosse serena. E alla fine era lei a darci tranquillità. Ha saputo gestire da sola, lontana da casa, momenti cruciali. E solo di recente abbiamo saputo, senza che mai ci abbia detto nulla, di qualche lacrima scappata oltre la sua ferrea volontà di resistere». Il passaggio a professionista. Il diploma di ragioniera. Tutti lì, a Roma. Lontana. «Qualche volta, in viaggio per lavoro, passavo dai campi delle Tre Fontane, all’Eur, per vederla - ricorda il papà -. Non potevo avvicinarmi, ordini tassativi. E così, da una collinetta, la guardavo allenarsi. Bravissima, col suo cappellino rosso. La riconoscevo da quello». Cosa vi è mancato di più, di quegli anni? «Lei. Ci è mancata lei. Ci è mancata la ragazza che stava diventando».



Roberta è in cima al mondo. Più forte ancora, più sicura di sé. Nuova guida tecnica, nuovo preparatore atletico. Il presidente della Repubblica l’ha nominata cavaliere del lavoro per meriti sportivi; la Federazione le ha conferito la corona d’oro e l’aspetta per un futuro da dirigente, lei così corretta, modesta, competente. Papà sa che non sarà mai la numero uno: «Il gioco c’è, la testa pure, ma in campo si scende molto anche col fisico e se madre natura dona forme minute non c’è molto da opporre a certe sventole che arrivano dall’Est o dall’Ovest». Mamma pensa ad altro: «È una così bella ragazza. Ha gli occhi di mio nonno; un sorriso delizioso. Dovrebbe valorizzarsi di più. Invece si ostina a essere poco femminile. Solo acqua e sapone».



Per ora va bene così, poi si vedrà. In campo per vincere. Senza trucco. E senza inganno. Gioco, partita, incontro.
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