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«Taranta, 25 anni di successo, ma ora capiamo cosa cambiare»

di Leda CESARI
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 5 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo agg. : 10:14 | 3 Minuti di Lettura

E’ uno dei sacerdoti del Verbo della Pizzica, uno che ha iniziato a fare attività di ricerca nel campo delle tradizioni popolari del Salento in tempi arcaici - diciamo così - e che può srotolare con grande autorevolezza scientifica, in tutta la sua interessa, la tela tessuta dal Ragno, dai giorni della sua nascita ad oggi: Luigi Chiriatti, direttore artistico dell’istituto “Diego Carpitella” e della Notte della Taranta. Venticinque anni di storia, è tempo di bilanci.

Com’è il suo giudizio sulla Notte della Taranta dopo cinque lustri di spettacolo?

«E’ un giudizio estremamente positivo, nel senso che venticinque anni di storia sia del festival itinerante che del concertone finale ci hanno dato la possibilità di accendere un riflettore importante su questo lembo di terra d’Italia, dapprima valorizzando alcune parti fondamentali della cultura del territorio, ovvero la musica di tradizione, prima rivalutata e fatta conoscere al pubblico salentino, poi esportata in tutto il mondo. Per sottolineare non solo l’aspetto musicale, ma anche la bellezza, la natura, la capacità di ospitalità di questa terra. Sono dati oggettivi: siamo riusciti a coniugare cultura ed economia, ed è un gran bel risultato».

Ma siete riusciti anche a trasformare in risorsa ciò che un tempo veniva considerato un fenomeno minoritario e deteriore.

«E questo è stato uno dei motivi fondamentali di questo successo: siamo riusciti a superare il concetto di una cultura legata alla sofferenza e a farla diventare un momento gioioso di condivisione e di affermazione del sé. Fino agli anni ‘70-‘80 quella della Taranta era una musica minoritaria legata appunto al concetto del dolore: il tarantato veniva in genere trattato con il ricovero in ospedale psichiatrico e l’elettroshock. Poi, nell’89, il grande dibattito culturale che ci ha consentito di dare una visione diversa del fenomeno e di questa terra».

Venticinque anni sono però anche il tempo delle ri-considerazioni, ha detto lei nella conferenza stampa dell’altro giorno.

«Sì: a questo punto, secondo me, alla fine dell’edizione di quest’anno bisognerà sedersi e capire se la visione dell’inizio è ancora attuale o va modificata. Se dobbiamo a questo punto andare verso un consumo più controllato del territorio, magari verso la nascita di una comunità ospitante vera e propria: ragionando per esempio su quattro eventi da 50mila persone invece che su uno da 200mila, giusto per dire. Per cominciare a capire come approdare ai prossimi cinquanta, cento anni».

Com’è ritrovare la gente dopo due anni di restrizioni?

«Fondamentale. Il successo - o anche l’insuccesso - lo misuri sulla faccia delle persone. Speriamo di poter continuare così».

Dopo 25 anni di danze la Taranta è un po’ stanca o morde ancora con la stessa forza creativa dei primi tempi?

«Morde anche di più, secondo me: io parto dal presupposto che questa musica sia non soltanto una risorsa del territorio, ma anche uno strumento grazie al quale la gente risolve problemi personali di varia natura».

Una musica liberatoria...

«Liberatoria, liberatrice e catartica. Poi ognuno entra nella sua dimensione come meglio crede, ma sono convinto che quel ritmo sia un rimedio a molti bisogni».

Ma la pizzica è una musica troppo ripetitiva, come dice chi non la ama, o la ripetitività è proprio il segreto della sua efficacia?

«E’ proprio la circolarità di questa musica, come nel Bolero di Ravel, nel reggae e nelle musica primarie, tipo il blues, a fare di te una preda, prima o poi, ma in maniera positiva: liberandoti e mettendoti in uno stato di gioia e socializzazione felice».

In che direzione guarderà la Taranta per il suo 26esimo anno?

«Come già detto, bisognerà riflettere e capire quali istanze soddisfare: se assecondare per esempio una visione più “lenta” del territorio oppure no. E poi sarà necessario fare il punto sui bisogni ai quali non siamo ancora stati capaci di dare una risposta».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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