La lingua italiana e l’invasione delle parole “di plastica”: ecco quali sono

La lingua italiana e l’invasione delle parole “di plastica”: ecco quali sono
di Rosario COLUCCIA
6 Minuti di Lettura
Domenica 28 Maggio 2023, 19:40

Nella lingua italiana esistono molte parole di plastica (altrimenti definite plastismi). Si intitola «La lingua di plastica: vezzi e malvezzi dell’italiano contemporaneo» un volume di Ornella Castellani Pollidori, che ha insegnato Storia della lingua italiana all’università di Firenze. Sono di plastica (linguisticamente) parole, espressioni, traslati che diventano man mano sempre più ricorrenti, assumendo infine la funzione di parole passe-partout buone per tutte le circostanze, in un uso meccanico, stereotipato e ripetitivo della lingua. I plastismi presentano una caratteristica preoccupante, fanno terra bruciata intorno a sé. A furia di usare sempre le stesse formule preconfezionate, si disimpara a cercare di volta in volta la soluzione adeguata a rendere in maniera efficace il nostro pensiero, in tutte le sue sfumature. Si disimpara a usare la lingua. Sfruttata poco e male, la lingua appare povera, noiosa, desolatamente gregaria.

I plastismi


Il meccanismo che caratterizza l’uso dei plastismi è grosso modo questo. In una trasmissione televisiva, in un giornale, in un libro, nella rete, qualcuno usa un’espressione o una parola che appare seducente, o inconsueta, o anche strana, o a volte sottolineando con enfasi la propria scelta linguistica. Se piace, se incontra il favore di chi ascolta o legge, quella scelta viene riprodotta e diffusa dai media, adattata ai contesti più diversi, ripetuta senza riflettere a qualsiasi livello di formalità e in svariati tipo di argomento. Così entra (spesso già usurata) nella lingua comune di tutti noi.

I più diffusi


Provo a fare una lista di plastismi molto diffusi (fastidiosi, a parer mio) e invito i lettori a fare un giochino. Badino alla lingua che ascolteranno o leggeranno nei prossimi due o tre giorni (telegiornali, notiziari, trasmissioni televisive e radiofoniche, quotidiani e settimanali, rete, chat, dialoghi con parenti o amici, ecc.), verifichino quante volte appare uno dei plastismi che seguono: avranno così un’idea tangibile della diffusione inavvertita della lingua di plastica nella quotidianità.
Ecco alcune frasi “incriminate”: 1 - il blitz è scattato alle prime luci dell’alba, 2 - bomba d’acqua, 3 - braccio destro, 4 - braccio di ferro (in riferimento ad una situazione di contrasto tra due persone, due soggetti politici, due istituzioni), 5 - brancolare nel buio, 6 - caccia all’uomo (/ al biglietto, / all’ultimo posto, ecc.), 7 - emergenza (seguita da un sostantivo che indica il problema di cui si parla: emergenza-acqua, emergenza-alluvione, emergenza-siccità, emergenza-smog, emergenza-immigrati), 8 - emorragia (uso metaforico: emorragia di voti, emorragia di consensi, ecc.), 9 - a gamba tesa, 10 - in ginocchio (paese in ginocchio, regione in ginocchio), 11 - luci ed ombre, 12 - massimo riserbo, 13 - (dire) no a… (no alla guerra in Ucraina, no ai rave-party, ecc.), 14 - parlare alla pancia, 15 - scendere in campo, 16 - di serie A, di serie B, 17 - tolleranza zero, 18 - a trecentosessanta gradi, 19 - virale (detto di un video, di una foto che si è diffusa nel web in modo pervasivo e incontrollato).

La politica e il linguaggio metaforico


Commentiamo un esempio. La politica si avvale spesso di un linguaggio metaforico. Ha un successo crescente ed è usato in varie combinazioni il termine «pancia». Chi è in una posizione di potere si rivolge alle persone con un linguaggio ritenuto accessibile, cercando di convincerle con ragionamenti pratici e tentando di far leva sul coinvolgimento emotivo. È ormai diffusissimo «parlare alla pancia della gente», per indicare la capacità di saper captare le emozioni delle persone. A volte l’interessato obietta di saper parlare anche alla «testa» delle persone, rivendicando la propria capacità di essere anche razionale, oltre a saper coinvolgere con toni populistici. Il termine «pancia» nell’ambito della comunicazione politica viene contrapposto a «testa»: il primo termine si identifica con la sfera emozionale, il secondo con quella razionale. Si registra in alcuni casi la variante sul “proprietario” della pancia (può essere il «paese» invece della «gente»), il che conferma la versatilità dell’espressione. 
Il termine «pancia» ricorre in altri contesti e in altre formule. Chi comincia a dare segni di insofferenza nei confronti di alcune decisioni dei compagni di partito o di persone o di gruppi a lui vicini ha «il mal di pancia» (per indicare amarezza o distacco): «Tutti uniti contro l’avversario. Ma qua e là serpeggia il mal di pancia». La produttività della parola è confermata e arricchita dai sostantivi «malpancista» e «malpancismo», entrambi monitorati dall’Onli (Osservatorio Neologico Lingua Italiana, https://www.iliesi.cnr.it/onli/), attestati nei quotidiani fin dagli anni novanta del secolo scorso ma non ancora presenti in tutti i vocabolari dell’italiano contemporaneo (vuole dire che i due neologismi non sono ancora entrati stabilmente nell’uso).
Ci sono formule capaci di sconfinare da un ambito all’altro, perdendo specificità e diventando trasversali. Uno degli esempi più inflazionati è «brancolare nel buio». Ha origine nel linguaggio della cronaca nera, vale a indicare una fase di scarso successo delle indagini, in cui c’è totale incertezza riguardo alle iniziative da intraprendere. Da quest’ambito, la formula si ritrova anche, ad esempio, in notizie di politica interna: «Riforma delle pensioni al palo. Il governo brancola nel buio» (sulla confusione, vera o presunta, del governo sulla nuova riforma delle pensioni). Un discreto acclimatamento di «brancolare nel buio» è dimostrato da casi di uso ironico: «Incapaci di fronteggiare il problema della mancanza di acqua, gli amministratori brancolano nel buio e danzano per la pioggia» (scriveva un giornale prima delle terribili recenti alluvioni). Il plastismo veicolava in forma mordace la drammaticità della situazione, insistendo sulla gravità della stessa e sull’assenza di lucidità in chi dovrebbe affrontarla adeguatamente. 
Sono molte le espressioni da cui stare alla larga, evitando i luoghi comuni: la parola «terremoto» va usata quando la terra trema o anche (con opportuno traslato) se l’alluvione provoca morti e danni incalcolabili in Emilia-Romagna, non se un allenatore cambia all’improvviso la formazione della sua squadra.

Uno dei tratti più deludenti e mediocri della scrittura (anche di professionisti come giornalisti, professori, magistrati, avvocati) è il ricorrere a frasi fatte. Gli scritti sono pieni di parole consunte, che hanno margini minimi di aderenza alla realtà sfaccettata delle cose. Usare luoghi comuni e espressioni meccaniche (approssimazioni incerte in luogo di definizioni esatte) produce una “lingua di plastica” paradossalmente veicolata proprio da coloro che dovrebbero essere modelli di lingua e promotori di espressioni efficaci e raffinate. Perché avviene questo? Sbadataggine? Pigrizia mentale? Moda? Adattamento irriflesso alle espressioni più in uso? Imitazione passiva del linguaggio corrente e quotidiano?

Hanno "vita" breve


Per fortuna i plastismi a volte vivono poco: affiorano, piacciono, vengono esibiti, per un po’ li ritrovi dappertutto, poi muoiono. Il terribile «attimino» ha funestato per anni la nostra lingua, veniva usato di continuo, non solo con riferimento al tempo, ma anche per indicare una misura minima applicata a qualsiasi cosa: «quel vestito è un attimino troppo caro», «ho un attimino di fame». Negli ultimi tempi sembra in regresso, l’arretramento mi consola, i parlanti hanno reagito. In altri casi è più difficile contrastare la lingua di plastica: l’imitazione, anche inconsapevole, è vissuta come autopromozione. Insomma, «tutti insieme appassionatamente», «alla grande», sia pure «per una manciata di secondi», «così va il mondo».
Ma possiamo reagire. Abbasso il conformismo, usiamo intelligenza e creatività (non solo nella lingua, anche nella vita)!

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