Bene, quaranta anni da genio mediatico nel libro di Buoncristiano e Primosig

Bene, quaranta anni da genio mediatico nel libro di Buoncristiano e Primosig
di Alessandra LUPO
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Giovedì 5 Gennaio 2023, 11:01 - Ultimo aggiornamento: 11:21

Controverso, provocatorio, talvolta brutalmente franco: il rapporto tra Carmelo Bene e la stampa (ma in altra sede anche quello non meno impattante con la tv) trova finalmente la sua sistematizzazione, entrando a pieno titolo nel corpus della produzione del drammaturgo. Un contributo intellettuale e ovviamente artistico strappato alla terra di mezzo del suo sconfinato patrimonio archivistico oggi custodito nel Fondo Carmelo Bene, allestito a Lecce.
Ed ecco allora che il collaboratore della ormai disciolta fondazione L'immemoriale, Luca Buoncristiano, ha deciso di raccogliere in un libro dal titolo Si può solo dire nulla, 1744 pagine appena uscite per Il Saggiatore, tutte le interviste reperibili del maestro. Un lavoro durato anni e svolto a quattro mani con Federico Primosig, un compendio necessario e per quanto possibile onnicomprensivo che si dipana in quarant'anni di carriera, dal tono sbeffeggiante e spadaccino degli esordi a quello più ieratico degli ultimi anni, ma senza mai rinunciare alla necessità di dire, spiazzando l'interlocutore e spesso ribaltandone la prospettiva.
Buoncristiano, il volume raccoglie le interviste a Carmelo Bene rilasciate tra il 1963 e il 2001 e divise in quattro macro-insiemi che corrispondono ad altrettanti decenni. Un lavoro abnorme, enciclopedico, potremmo dire definitivo.
«Quando si parla di Bene il termine definitivo va sempre maneggiato con cautela ma l'opera ha la pretesa di essere esaustiva anche se non era possibile rintracciare tutte le interviste rilasciate siamo certi che ci sia sfuggito molto poco».
Che lavoro avete fatto?
«Il lavoro parte da lontano, la casa di Carmelo Bene conteneva anche la rassegna stampa tanto che diversi anni fa curai un numero monografico della rivista Panta, della Bompiani, che raccoglieva le migliori interviste ai giornali. Quella sorta di best of è stato poi ampliato e nell'ultimo anno c'è stata un'accelerata nel recupero dei materiali, il 90% era già in mio possesso. Il resto lo abbiamo trovato ma non senza difficoltà. Il lavoro di Federico è stato fondamentale per la ricerca dei titoli mancanti».

La maggiore difficoltà?
«Le interviste degli esordi, capire quali sono state le prime rilasciate in assoluto».
Si parte dal Messaggero, giornale con cui collaborava nella sezione Sport.
«Sì, ritengo che sia la prima, quella sul Cristo '63 segna l'inizio del rapporto conflittuale con la stampa, ma anche con il teatro e con le istituzioni, visto che Bene venne arrestato con la famosa accusa di avere orinato sul pubblico e a seguito dell'arresto fece la sua prima conferenza stampa».
Nel libro lei dice che Bene nasce e muore enfant terribile, un'etichetta scomoda?
«In qualche modo sì, perché utilizza la provocazione per portar a sé il discorso ma poi in qualche modo gli resta addosso come una macchia nera».
Ritiene azzardato definire questo dialogo con la stampa come una sua ulteriore forma d'arte?
«Lo è, perché Bene fu il primo artista italiano a capire l'importanza del media trasportandolo anche in tv, ossia sul medium che in quegli anni arriva a tutti».
C'è una tecnica codificabile?
«Di certo, c'è un sottrarsi al dialogo: Bene non risponde mai all'intervistatore costringendolo a seguirlo nel suo discorso, ad andare dove vuole».
Non con tutte le firme però...
«No, è vero, ci sono firme con cui ha un rapporto di preferenza, Giancarlo Dotto è colui che lo ha intervistato di più e che poi scrisse Vita di Carmelo Bene. Ma ci sono stati anche Busi, Arbasino, Cordelli, Franco Quadri, Goffredo Fofi, Maurizio Grande, Sandro Veronesi».
Veronesi, cui è legato il suo primo incontro con Bene, come racconta in prefazione.
«Devo a Veronesi il mio primo e unico incontro con Bene da vivo, poi iniziò il mio rapporto con il suo fantasma. Andammo a vedere l'anteprima per la stampa di Pinocchio. Lui uscì dicendo «Vi invidio» . In camerino gli strinsi la mano e dissi emozionato «maestro, non so cosa dire». Lui rispose «nemmeno io». Poi iniziò quello con lui dopo la morte. Mi occupai della catalogazione per la fondazione Immemoriale, fu un rapporto intimo e privilegiato ma senza di lui».
Ha contatti con il fondo Bene di Lecce?
«Non diretti, ho contatti con la figlia di Salomè con cui quest'anno abbiamo realizzato la raccolta di interventi sportivi editi da Messaggero e la trascrizione degli interventi per Zona, in onda su Tele+. Il volume di chiama In ginocchio da te (Gog Edizioni).
Un'operazione preziosa...
«Sì, anche se molti materiali purtroppo sono svaniti. Ci sono sempre dei buchi negli archivi».
Nel libro ci sono vari articoli pubblicati dal nostro giornale, che testimoniano meglio di altri il rapporto di odio e amore con la sua terra, il Salento.
«Ci sono varie interviste al vostro Antonio Maglio, ad esempio, con cui si nota che Carmelo ha simpatia. Disse che l'ultima intervista sarebbe stata per lui. Ma anche a Vito Luperto e poi Enzo Mansueto del Corriere del Mezzogiorno, i colleghi della Gazzetta. Il suo rapporto con il territorio era comunque conflittuale».
Il ritorno alla Puglia comunque ci fu. Penso al lavoro su Dante a Otranto.
«Sì, a mio avviso però questo legame tra Bene e il Salento non è stato del tutto indagato. Lui ne scappa ma ne è intriso».
Il libro ha avuto due diverse edizioni. La prima è stata ritirata dal mercato. Il clima attorno alla memoria di Bene è stato spesso un po' litigioso o sbaglio?
«In realtà si è trattato di un problema con delle interviste, che inspiegabilmente non hanno ottenuto la liberatoria dell'autore. E quindi abbiamo dovuto escluderle. Un fatto molto increscioso».
Questo non vi han impedito di completare quattro grandi ere artistiche e biografiche .
«Il libro è diviso in quattro decenni e quattro macro tappe della sua lunga carriera. L'ultima fase è il suo avvicinamento al classico».
Lui amava dire di esserlo diventato già in vita...
«L'opera d'arte di Carmelo Bene è Carmelo Bene: spettacoli, testi, cinema, articoli e tv sono residui ed espulsioni dell'opera d'arte centrale che è se stesso. Questo lui lo sapeva e di fatto - come per ogni classico che si rispetti - la sua opera continua a parlare al pubblico».
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