Pavone: «Il canto d'amore dei miei scorpioni»

Intervista allo scrittore tarantino sul suo ultimo romanzo edito da Laurana

Pavone: «Il canto d'amore dei miei scorpioni»
di Claudia PRESICCE
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Mercoledì 5 Ottobre 2022, 05:20

“Di quell’ansia, a volte, sembra che tu abbia bisogno. Nella pancia hai un nido di scorpioni, e sotto sotto ci sei affezionata. Sono carini, a loro modo. Sono aggraziati e impietosi. Sono come te, in fondo. Si nutrono dell’interesse che riservi loro. Sei molto interessata a te stessa. Questo è il problema con le persone interessanti: che sanno di esserlo e difficilmente trovano persone altrettanto gradevoli da contemplare…”. 
Si intitola “Gli scorpioni” (Laurana editore; 113 pagine; 15 euro) il libro di Giuliano Pavone, scrittore classe 1970, tarantino che vive a Milano, critico letterario. Sarà presentato in un mini tour pugliese a partire da domani a Grottaglie alle 18.30 presso “Il giardino segreto”, in via Caravaggio 51/B, con Miriam Putignano. Venerdì sarà a Capurso alla Biblioteca Comunale, con Maria Teresa Stasolla e sabato 8 ottobre a Casamassima alle 18.30 presso Pianeta Libron al Parco Commerciale Casamassima, con Anna Puricella. Domenica 9 ottobre Pavone sarà a Manduria alle 19 al Museo Civico, via Omodei 28, con Giuse Alemanno. Il libro è una sorta di poesia sulla creazione e sulla malia che aleggia intorno alla scrittura, intrecciata ad una singolare storia d’amore di un’affascinante scrittrice settentrionale arrivata al Sud (altro non si può dire della trama senza ledere il piacere di scoprirla). 
Pavone spieghiamo che cos’è ‘Gli scorpioni’ ? 
«Mi piace pensare che sia un libro da meditazione, come alcuni distillati va assaporato lentamente per coglierne le sfumature, perché non si stringe sulla trama, ma è piuttosto un romanzo d’atmosfera, di sensazioni. I due grandi protagonisti sono da un lato i luoghi, un’ambientazione mediterranea, estiva e luminosa, ma a volte pure buia e inquietante, che mostra il potere che i paesaggi hanno sul carattere, sulle scelte, sugli stati d’animo delle persone, e poi dall’altro lato, che è la cosa più importante, è una celebrazione del racconto scritto. Questo è in sostanza un libro sui libri, sulla potenza evocatrice dell’atto di raccontare una storia».
E sul processo creativo: un suo protagonista dice “creare un libro vuol dire dare corpo” e anche creare un nuovo “oggetto”.
«Sì, un processo su due livelli. Quello più alto, la creazione della storia, e l’altro più feticista, che porta chi scrive ad attardarsi anche su un approccio sensoriale, più fisico con l’oggetto libro». 
La riflessione risulta profonda tra le pagine. Dove nasce un processo creativo? Di che cosa si nutre?
«Sono partito dal miracolo del dare corpo, evocare mondi e crearli scrivendoli. Questo processo ha due facce: da un lato c’è l’autore che inventa e racconta, ma dall’altro c’è il lettore che legge, o ascolta, che completa questo miracolo. Fino ad un certo punto un romanzo è visione di chi lo scrive, ma gli spazi bianchi li riempie chi legge. Il bello della scrittura è la sollecitazione dell’immaginario del lettore, a differenza del film in cui vedi già la faccia del protagonista. Nel libro la fantasia di chi legge disegna i protagonisti».
Una sorta di processo interattivo.
«Assolutamente». 
Qui si racconta anche una storia d’amore lirica, struggente, partecipata. Le chiedo: uno scrittore si può innamorare dei suoi personaggi?
«Sì, e penso che dovrebbe succedere sempre. Quando si creano dei personaggi si deve empatizzare con loro, anche se negativi o molto diversi dalla personalità di chi scrive. Non c’è niente di peggio di scrivere solo di se stessi e delle proprie aspirazioni. Detesto quella letteratura in cui si capisce che il protagonista è la proiezione che l’autore ha di sé, magari un po’ più figo. Lo sforzo di un autore è proprio riuscire a calarsi in personalità diverse dalla propria, conservando una forma di empatia e forse inevitabili tratti autobiografici, ma pochi. Nel mio caso la protagonista principale è una donna, è una scrittrice ok, ma l’ho dovuta guardare da fuori, da uomo, e cercare di renderla credibile».
Gli scrittori arrotolati su se stessi sembrano una moda. Ma se le chiedo tre nomi di scrittori contemporanei italiani preferiti?
«Penso che a volte manca più il mestiere del talento, manca l’ordine, la coerenza, il lavoro che sono invece cose che si possono imparare. I preferiti? La prima che mi viene in mente è Giuliana Altamura, barese, che è una vera ‘scrittrice’, non come tante ‘persone che scrivono’. C’è una differenza importante secondo me, tra chi è scrittore sempre, anche quando non scrive, e chi non lo è. Un altro bravo è certamente Carlo D’Amicis, uno scrittore spiazzante, sorprendente. Poi direi c’è Maurizio Cotrona, un tarantino da scoprire».
Scusi, ma tre su tre sono pugliesi. Vede una nuova fioritura in Puglia? 
«Per decenni del secondo ‘900 la Puglia non ha prodotto molti scrittori che si sono imposti a livello nazionale. Adesso veramente ci sono: basta guardare gli ultimi anni tra i premiati con lo Strega e troviamo Nicola Lagioia e Mario Desiati. Se parliamo degli scrittori più venduti in Italia rimbalzano nomi come Donato Carrisi, Giancarlo De Cataldo, Gianrico Carofiglio. Ma ce ne sono tanti che crescono…».
Sono tutti diversi però, e per fortuna non parlano solo di Puglia.
«Sarà una renaissance culturale, ma io credo molto al potere dei luoghi sulle sensibilità.

Per esempio Taranto è una città strana e così particolare che plasma l’anima, rimescola i geni: oltre ai citati Desiati, D’Amicis, Cotrona, c’è Cosimo Argentina, vero tarantino dentro, e altri ancora. L’aria, la luce, qualcosa in Puglia c’è». 

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