Quel tesoro perduto dei libri “dimenticati”

Quel tesoro perduto dei libri “dimenticati”
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Venerdì 31 Dicembre 2021, 05:00

“La ricerca delle cose perdute è intorpidita dai gesti consuetudinari, ed è per questo che costa tanta fatica trovarle” ci ha spiegato Gabriel García Márquez. È questo un ottimo punto di partenza per entrare in un delicato discorso, per inseguire parole disperse in quel vento che ricopre di polvere le cose che non rientrano nella consuetudine, e per questo rischiano di restare sepolte dal tempo. Se delle cose che ci lasciamo dietro, quelle più importanti rientrano nel calderone di un patrimonio che potremmo definire “immateriale”, quelle narrazioni letterarie che hanno il potere di catturare per sempre un luogo, nei territori dell’attenzione dei lettori, sono in qualche modo a metà strada tra beni e idee, tra pagine scritte reali e ricordi della sensazione che nel profondo di noi hanno generato. Si può iniziare così a parlare di “Gli introvabili” di Giorgio Gizzi, dapprima reporter e poi libraio per caso. 

La libreria è già un luogo di cose perdute, nel senso che la sensazione che ci lascia quando andiamo via, e le volgiamo le spalle, è sempre quella di lasciare andare qualcosa di inarrivabile perché non si potrà mai soddisfare il desiderio di leggere tutto quello che si vorrebbe e che resta lì dietro. E se invece si pensa ai tanti libri “perduti”, quelli che non si trovano più in libreria, all’impossibilità reale di raggiungere protagonisti e narrazioni rimasti senza più uno scaffale su cui annidarsi, a quegli sforzi di chi li ha progettati ormai polverizzati nell’assenza del vuoto, lo sgomento per un amante dei libri sale notevolmente. Ecco perché l’operazione compiuta da Gizzi in queste pagine, ricordando vecchie edizioni di libri sperduti (non più pubblicati dopo essere andati esauriti nei depositi degli editori) incoraggia anche l’idea che ognuno potrebbe, prima o poi, tracciare una mappa dei suoi personali “introvabili”, dei libri entrati nella testa e poi smarriti per strada per sempre... 

La speranza nutrita da cui si parte (e a cui si arriva) è quella che sia una cosa possibile per altri volumi quella che è accaduta a “Viaggio con Charley” di John Steinbeck (tradotto nientedimeno che da Luciano Bianciardi, altro autore geniale che rischia la dimenticanza) che Gizzi segnala in apertura del suo libro: la notizia è che, dopo l’oblio, Bompiani ha deciso di ripubblicarlo. “È un fuori catalogo – spiega – tornato disponibile: lo stesso destino che mi auguro possano avere i libri di cui parlerò nelle pagine che seguiranno, che una chance in questo strambo e volubile mondo la meriterebbero”. Ecco qua. E non a caso questo volume si apre con un libro cui la letteratura di viaggi deve molto. Gizzi, romano classe ’64 (anche se i riferimenti di alcuni libri vintage qui citati lo farebbero pensare meno “giovane”), sboccia come viaggiatore, nel mondo e nei libri.

Anche la romanità dell’autore segna un capitolo di questo strano libro costruito su storie private e pubbliche. 

“Succede che della città in cui si vive non si voglia leggere - scrive - uno snobismo forse dovuto alla presunzione che nessuno conosce la tua città meglio di te”. Così lui, rileggendo di Roma quando ne è stato lontano, ha riscoperto “lo scrittore romano per eccellenza del Novecento, anche se molti non sono disposti a riconoscergli nella nostra letteratura il posto che merita”, tra i rifondatori del romanzo in Italia, tra i primi lettori attenti di Italo Svevo e tante altre cose. Si tratta di Alberto Moravia di cui qui si ricorda il volume “Viaggi. Articoli 1939-1990”; e il viaggiare torna sempre, dimostrando la sua stretta connessione con l’azione del leggere. 

Vecchie storie da riscoprire

Gizzi entra ed esce con le sue letture e note personali tra le pagine di libri pubblicati soprattutto negli anni Sessanta, tra storie del Giappone recuperate da Melville a quelle di Aldo Capitini (Le tecniche della nonviolenza) considerato una sorta di Gandhi italiano, ma introvabile in libreria, fino ad opere più recenti da “ricercatore” di rare prelibatezze. La sua biografia conferma che oggi si occupa di formazione di nuovi librai, è consulente per alcune case editrici e organizza rassegne culturali. Ma, oltre che leggerli, cacciarli come un segugio nelle bancarelle, venderli e promuoverli, lui qui dimostra anche che i libri li scrive. Ma non libri “classici”, pieni di fatti di persone e luoghi: questo è un libro fatto tutto di libri. Di libri dimenticati, rimasti tra quelle cose perdute che nessuno cerca più, “pepite” che hanno perso i loro cercatori d’oro.

Un passato che ritorna

“Al passato bisogna guardare e tornare – scrive – e questi ‘fuori catalogo’ sono un passato che torna”.
“Gizzi mi ricorda come ci sia, in tutta questa affezione all’introvabile, anche un po’ di malattia, e sia benedetta questa malattia – vogliamo chiamarla più correttamente ‘ossessione’? – che ci dà febbre, sensibilità, passione” scrive Alberto Rollo nella sua introduzione, che sa più di dibattito intorno ai libri. Leggendola si ha la sensazione che è come se il volume di Gizzi creasse intorno a sé dei prolungamenti tentacolari intorno ai quali il discorso dei libri perduti possa continuare e trovare un’isola tutta per sé che può ingrandirsi sempre di più (come quella della plastica nell’oceano, ma molto molto più salutare).
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA