Odifreddi: «Racconto Lucrezio perché scienza e poesia sono una cosa sola»

Odifreddi: «Racconto Lucrezio perché scienza e poesia sono una cosa sola»
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Venerdì 28 Settembre 2018, 21:12
Buttato giù dagli scaffali impolverati di vecchie biblioteche, rinfrescato linguisticamente per reggere l’impatto con i duemila anni di storia trascorsi, il “De Rerum Natura” di Lucrezio può oggi raccontare quanto i grandi pensatori latini avessero capito (con meno mezzi e più lungimiranza) molte più cose di noi. O meglio, avevano raggiunto solo grazie a pure intuizioni certe competenze scientifiche che sarebbero state dimostrate soltanto venti secoli dopo. Ma non solo. Avevano imparato a gestire, praticare e utilizzare le conoscenze filosofiche, logiche, scientifiche ecc per far funzionare meglio la società e le menti, non per tenerle chiuse tra vecchi libri. Piergiorgio Odifreddi, matematico, saggista, divulgatore di scienza e di logica chiaro come pochi altri in Italia, ha riletto, spiegato e contestualizzato nel presente Lucrezio e i suoi sei poetici libri sulla natura nel volume “Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere” (Rizzoli) uscito qualche anno fa. Ma l’argomento, sempre aggiornato e pieno di intuizioni, è diventato il tema di un libero adattamento in prosa al Teatro Paisiello di Lecce in occasione della “Notte dei ricercatori”. Praticamente la sua operazione è in linea con lo spirito di questa iniziativa: sdoganare un classico latino della filosofia e della scienza, tradurlo e portarlo a teatro, così come i ricercatori oggi mostrano al grande pubblico le loro ricerche portandole fuori dalle accademie.

Odifreddi spieghiamo come una scrittura che arriva da 2000 anni fa non è anacronistica in un presente apparentemente così lontano e tecnologico come il nostro.

«È un poema in esametri e in genere lo leggono i classicisti (e lo traducono anche limitandone in un certo senso l’impatto scientifico), invece è il primo libro di divulgazione scientifica della storia anche se scritto da un poeta latino. Io l’ho riproposto in prosa perché credo che abbia molto da dire perché Lucrezio parlava di cose di scienza moderna che nel suo momento storico non si potevano conoscere. È stato ad esempio il quarto atomista, dopo Epicuro, che lui tanto elogia, che a sua volta aveva imparato queste teorie dal suo maestro Democrito e questi da Leucippo. Ma in realtà erano teorie rivoluzionarie che solo in epoca moderna sono diventate paradigmatiche, e bisognerà aspettare Einstein per poter dimostrare, calcoli alla mano, l’esistenza degli atomi a chi ancora dubitava. Solo dopo siamo diventati tutti atomisti. In questi sei libri ci sono tantissime anticipazioni che hanno ispirato scienziati di ogni epoca. Tra le cose straordinarie c’è la definizione di “buco nero”, ovviamente chiamato con altre espressioni, ma il concetto di una massa concentrata di materia che sfugge persino alla luce è ben spiegato. Quindi ancora oggi leggere e interpretare Lucrezio è un po’ come fare una caccia al tesoro».

Una visione della natura contro la paura degli dei per liberare gli uomini dall’infelicità è una visione molto laica del mondo.

«È questo un altro valore importante per me del “De Rerum Natura”, avere una visione materialistica del mondo e non spirituale o per lo meno non religiosa. Lucrezio oggi sarebbe definito “anticlericale”, e non a caso il poema è introdotto da un sacrificio umano. È l’inizio dell’Iliade quando i Greci devono partire per Troia e aspettano il tempo migliore, ma credono che per propiziarsi gli dei sia necessario il sacrificio di Ifigenia la giovane figlia del re Agamennone. Il racconto poetico e tragico della ragazzina che crede di essere portata all’altare per sposare uno degli eroi e poi invece comprende che sta per essere uccisa, serve a dimostrare le crudeltà fatte in nome della religione. Lucrezio mostra come questi dei che ci guardano dall’alto in realtà siano insensibili alle cose umane, pur non essendo lui quello che oggi diremmo “ateo” (il suo libro si apre con un grande inno a Venere). La sua visione laica e anticlericale lo trovo molto interessante».

La via epicurea indicata da Lucrezio, del distacco, significa guardare le cose più in prospettiva?

«È un aspetto meno conosciuto, ma presente nella filosofia epicurea. Infatti ancora oggi si assimila facilmente in modo denigratorio al termine epicureo solo chi sta sempre a tavola a gozzovigliare o chi si occupa di dare soddisfazione ai sensi, e questo materialismo faceva molta paura all’epoca di Lucrezio. Nel secondo libro lui parla del distacco: sta sulla spiaggia a guardare la nave che annaspa tra le onde mentre si gode la quiete, oppure chi da un’altura guarda il brulichio continuo di una città che corre. È una scelta che si può fare di fronte al turbinio della vita moderna, un po’ come facevano anche gli stoici che puntavano a non desiderare l’impossibile, ma vuol dire coltivare comunque saggezza con calma. Ma il piglio scientifico resta più affascinante di quello filosofico anche su questi temi: infatti quando tratta l’idea delle visioni dei sogni Lucrezio dà i rudimenti di quella sequenza di fotogrammi statici che visti in successione diventano dinamici. Praticamente la base della moderna tecnica cinematografica spiegata duemila anni fa».

L’operazione che lei fa con Lucrezio è in linea con la “Notte dei ricercatori” che oggi parlano di scienza fuori dalle “accademie”.

«È così, far conoscere a chi ricercatore non è la ricerca, significa anche mostrare che la scienza non è scollegata dalla vita quotidiana ed è parte integrante della cultura. Così Lucrezio dimostra che la poesia e la scienza sono due facce della stessa medaglia che potrebbero convivere anche dentro di noi».
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