Alvino, una penna tra vecchio e nuovo

Alvino, una penna tra vecchio e nuovo
di Alessandra LUPO
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Domenica 23 Maggio 2021, 05:00

C’è tanto inchiostro, quintali di carta, l’eco degli slogan delle camice nere e un’apertura culturale esemplare al “nemico” ideologico. C’è un’intera e lunghissima pagina di storia locale, le sue connessioni con la politica italiana e con la cultura. E poi ancora le vicende umane, quelle familiari e la società che gli sta intorno. Occorre tutto questo per raccontare la morte, a quasi 88 anni, di Leonardo Alvino, ultimo direttore della Voce del Sud, scrittore di saggi, racconti e apprezzato geologo. Leonardo Alvino era l’erede politico e culturale di suo padre Ernesto, giornalista e scrittore di rara raffinatezza e decano dei cronisti salentini. 

Alvino padre durante il ventennio aveva fondato a Lecce il partito fascista e poi due periodici: il “Vecchio e Nuovo”, il cui stesso nome si fondava sui caratteri peculiari della cultura salentina dell’epoca: adagiata sul passato storico ed erudito ma agitata dalle inquietudini futuristiche del tempo.
Sulle pagine di quel periodico aveva mosso i primi passi nientemeno che Vittorio Bodini, il quale mantenne la collaborazione anche nel secondo periodico di Ernesto Alvino, “Vedetta Mediterranea”, per cui curava la terza pagina al fianco dello studioso e critico letterario Oreste Macrì. Fu in questi anni, precisamente nel 1933, che Leonardo nacque, all’interno del palazzotto signorile affacciato sulla piazza proprio sul bar del nonno. A due passi dalla libreria Stevio, già allora cuore del cenacolo culturale leccese e da cui passarono anche Vittorio Pagano, Cosimo De Giorgi, Mino Delle Site e tanti altri.

La "Voce del Sud"

Nel 1954, Ernesto aveva fondato “La Voce del Sud”, uno dei primi giornali leccesi moderni con ambizioni di pubblicazione di fascia alta. Usciva il sabato con otto pagine grandi quanto quelle di un quotidiano e negli ultimi anni formato tabloid. 
Un giornale schierato che sulla testata recava il motto “Avanzare senza rinnegarsi”, ma che amava circondarsi da voci discordanti, ottima palestra di numerose penne locali e non. Nel suo ricordo di quel giornale, Gigi Montonato, che vi collaborò a lungo, racconta: «Don Ernesto mi diceva sempre: “scrivi quando ti arride l’estro”.

Censure? Solo ai termini villani».

I suoi lavori

In questo humus Leonardo Alvino, a sua volta giornalista, crebbe ereditando interessi culturali e forse una maggiore pacificazione rispetto alla politica. Subentrò al padre nella direzione del giornale nel 1980 e lo guidò con la medesima autorevolezza fino a poco tempo fa. Un impegno che manteneva accanto a quello di geologo, altro ambito in cui è stato riconosciuto e apprezzato (sua la tessera numero 1 dell’Ordine dei geologi in provincia di Lecce). La sua è stata una personalità decisamente votata alla cultura, dove anche come scrittore seppe ritagliarsi un ruolo da protagonista. I volumi pubblicati sono numerosi: dai primissimi saggi, come “La formazione di Otranto” ai più recenti “Sgocciolio di racconti”, uscito con Lupo Editore e “In nome della Lecce” di Icaro editore. Un libro di annotazioni quest’ultimo che nel prologo regala il suo sguardo sulla città: «Semplice, per me, chiarire subito i motivi che mi hanno indotto a raccogliere in queste pagine buona parte dei brevi appunti, non necessariamente tra i più significativi, buttati giù nel corso di cinquant’anni su un notes. Sono infatti convinto che una raccolta di brevi scritti riesca nell’intento di costruire un discorso leccese ancor meglio di quanto lo possa un’opera trattata con impegno di filo conduttore ininterrotto. Un discorso che non ha voluto trascurare neanche alcuni momenti occasionali – pochissimi, in verità – di una lontana Lecce inserita nel quadrante secolare di una generazione ottocentesca ormai scomparsa, svanita nella nebbia del tempo, la cui semplicità di vita, col giudizio algido di oggi, provoca un pur benevolo sorriso, ma propone anche tenerezza nei leccesi, tanto da indurli a vagheggiare il ricordo di antenati che hanno tramandato nell’intimo dei loro pronipoti, almeno nei più sensibili, nei più fedeli, qualcosa di intatto. Una successione d’inquadrature che simboleggia lo scorrere della vita, il naturale avvicendamento che garantisce continuità».

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