Negli scatti di Milella il “tesoro” di Badisco

Negli scatti di Milella il “tesoro” di Badisco
di Carmelo CIPRIANI
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Giovedì 24 Giugno 2021, 05:00

Una sensazione di meraviglia mista ad incredulità dovette essere quella provata il primo febbraio 1970 dai cinque speleologi scopritori della Grotta dei Cervi di Porto Badisco, altresì nota come Cappella Sistina del Neolitico, definizione che nel confronto con la celebre volta michelangiolesca ne attesta la rarità ed eccezionalità. Un patrimonio straordinario che venne via via svelandosi agli occhi degli specialisti. La meraviglia, è facile immaginarlo, dovette ripetersi, giorno dopo giorno.
La stessa sensazione, seppur fondata su una conoscenza più strutturata (ma non esaustiva), deve aver provato anche Domingo Milella, girovago fotografo barese che, dopo un’interminabile trafila burocratica, nel luglio 2019 ha avuto accesso alla grotta, traendone alcuni eccezionali scatti. L’ingresso è un privilegio per pochissimi fortunati, la cui rarità è imposta dalla necessità di preservare il microclima interno, ovvero quella particolare condizione di umidità e di assenza di luce che hanno consentito alle pitture di conservarsi per migliaia di anni.

La mostra a Lecce

Oggi, grazie alle opere di Milella, parte di quel patrimonio di ri-svela negli spazi di San Francesco della Scarpa (inaugurazione oggi alle 20) in un percorso che ambisce a ricostruire il santuario nel santuario e a presentare, spesso in dimensione uno ad uno e con lo stesso ordine con cui si vedono nella grotta, quei pittogrammi con tutto il loro carico di artisticità e mistero. Una non facile coincidenza tra la naturale spazialità della grotta e quella artificiale della chiesa, di un barocco moderato, agevolata però da un attento uso delle luci, poche e direzionate, volte a salvaguardare il buio più che a squarciarlo.
“Una mostra lunare” la definisce la curatrice Valeria Raho, perché la si potrà visitare solo con la luce della luna, in orario serale, dalle 20 alle 23. L’allestimento, ben congegnato, è di tipo teatrale, con le opere collocate su pannelli grigi di minimale perfezione, contrapposti alle sculture barocche degli altari retrostanti, lasciati in penombra. Ispirato dall’idea di teatro povero di Grotowski, il percorso si riflette anche nel titolo, “Il Teatro del Tempo”, scelto dall’artista per focalizzare l’attenzione sull’elemento cronologico quale tema fondante la sua ricerca. 

Il fotografo

Domingo Milella da vent’anni si concentra sul tempo, sul rapporto esistente tra visibile e invisibile, raccogliendo immagini e segni di popoli e culture svanite, tanto antiche da essere straniere e indecifrabili. Facendo fluire il passato nel presente crea continui cortocircuiti nell’immaginario contemporaneo. Dopo quindici anni di intensa ricerca attraverso il linguaggio della fotografia Milella si è ritrovato nel 2014 ad attraversare una profonda crisi personale che lo ha portato letteralmente davanti ad una caverna. È così che nel 2015 ha iniziato a indagare, con il suo banco ottico analogico, le più importanti caverne istoriate della storia umana.

Nessuna interpretazione, nessun intento documentaristico o folcloristico, nessuna manipolazione, i suoi scatti restituiscono le antiche pitture salvaguardandone l’arcana bellezza. Per Milella la fotografia è simile ad un carotaggio nella stratigrafia spazio-temporale, un calco che il presente trae dal passato, o meglio da ciò che di esso si conserva, in una visione inevitabilmente destinata a rimanere parziale. 

Denominata inizialmente “Antro di Enea”, la grotta di Porto Badisco fu poi ribattezzata con il nome attuale dopo la prima, parziale lettura dei pittogrammi. Ma come la chiamavano gli uomini preistorici che per primi la frequentarono, che 6000 anni fa vi accesero il fuoco e iniziarono a dipingervi? Su domande come questa, destinate a restare senza risposte, si fonda la mostra di Milella.

«La Grotta dei Cervi - ha dichiarato l’artista - è un problema culturale. Questa mostra affonda le radici in questa sua incomprensione e illeggibilità». Un patrimonio pittorico luminoso e oscuro al tempo stesso, che accomuna la grotta salentina ad altri celebri siti preistorici, da Pech Merle a Lascoux, da El Castillo a Cougnac, a cui da oltre cinque anni l’artista si dedica con l’intento di registrare l’arte delle origini così come si presenta, senza presunzione di comprensione, che sa bene essere solo ipotetica. «La grotta - ha proseguito l’artista - nelle mie opere non è né un documento né una verità: è un messaggio, un segnale, una connessione», tra passato e presente si può aggiungere.

I pittogrammi

Gli stessi pittogrammi, realizzati con il guano di pipistrello ci riportano, per via mediatica, alla drammatica situazione presente dominata dal Coronavirus e dalle restrizioni da esso imposte. Milella scruta nel buio per svelare più che comprendere: il mistero di quelle pitture è intatto e tale rimarrà, probabilmente per sempre. Immagini delicatissime eppure imperiture, che nella fotografia di Milella si rapportano alla fragilità del tempo presente, trasformando un’esperienza individuale, a tratti intima, in una condizione condivisa e universale.
Il Teatro del Tempo” è un progetto presentato dalla Fondazione Mimì Andidero, finanziato da Regione Puglia - Programma Custodiamo la cultura in Puglia, d’intesa con Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi e Lecce, promosso da Museo della Preistoria di Nardò, con il patrocinio di Provincia di Lecce - Salento d’Amare, Parco Naturale Regionale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano, Istituto di Preistoria e Protostoria di Firenze, Comune di Lecce, in collaborazione con Iccd Roma, Nomos - Servizi per la Cultura del Patrimonio, Teatro Koreja, con il supporto di Caradonna Art Movers e Frank Terhardt. 

La mostra, che giunge a cinquant’anni dalla scoperta della grotta, è visitabile tutti i giorni, con ingresso gratuito, fino al 10 agosto.

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