Il futuro della Giustizia? Imparare a parlar chiaro

Il futuro della Giustizia? Imparare a parlar chiaro
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Venerdì 8 Ottobre 2021, 05:00

Creare un parametro di riferimento per una scrittura “tecnica” chiara e accessibile a tutti è un’aspirazione che dovrebbe estendersi trasversalmente, ovunque esista la necessità di fruire di una comunicazione scritta. D’altronde la chiarezza espressiva, e quindi la facile comprensione, è alla base di tutti i processi comunicativi adeguati alla crescita di una civiltà. E ancor di più diventa necessario che ci sia trasparenza laddove questa comunicazione scritta entra nei gangli privati delle nostre vite, e racconta di noi ad esempio in un atto di un avvocato che andrà poi nelle mani di un giudice. 

Segue proprio questa ambizione della semplificazione delle scritture in ambito giuridico “Atti chiari. Lingua e scrittura forense tra storia, temi, prospettive”, il convegno di studi che si svolgerà oggi nella sala conferenze del Rettorato di via Tancredi a Lecce, dalle 9 alle 19.30. Nel corso della giornata saranno presentati i lavori del progetto Prin “La chiarezza degli atti del processo (Atti Chiari): una base di dati inedita per lo studioso e il cittadino” che vede collaborare giuristi e linguisti di varie università.

«È un progetto che si propone di studiare la scrittura del processo in Italia, quindi la lingua usata nei cosiddetti “atti di parte”, e cioè atti scritti prodotti dagli avvocati nella difesa dei clienti nell’iter processuale – spiega Maria Vittoria Dell’Anna, Associata di Linguistica italiana dell’Università del Salento e componente del comitato organizzatore del convegno – verrà analizzato dal punto di vista linguistico un consistente corpus di atti provenienti dai tribunali, Corte di Cassazione, Corte d’Assise e d’Appello di tutta Italia, fino a oggi inaccessibili».

Si tratta di affrontare quindi un problema che spesso impantana ulteriormente il processo della giustizia italiano.

«Spesso gli atti risultano di difficile lettura e comprensione sia da parte dei non addetti ai lavori che dagli stessi avvocati e giudici che li producono, per il periodare complesso che li caratterizza. La peculiarità del nostro progetto è finalizzata a rendere più efficace il processo di comunicazione tra giustizia e cittadino».

Dietro a questa idea c’è il progetto Prin che verrà illustrato nella giornata di oggi; lo spieghiamo?

«Questo convegno sarà il primo grande momento di presentazione dei lavori del progetto Prin cioè “progetto di rilevante interesse nazionale”, finanziato dal Ministero della Ricerca. È composto da quattro unità di ricerca, l’Università di Genova che coordina, poi l’Università di Firenze, l’Università della Tuscia e noi dell’Università del Salento: in tutto siamo tre linguisti e due giuristi che collaborano, e ciò dimostra la natura interdisciplinare del lavoro. Mi piace ricordare che il progetto è nato nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento, con l’importante collaborazione del Dipartimento di Scienze Giuridiche e il patrocinio della stessa UniSalento, dell’Ordine degli Avvocati di Lecce e Fondazione Aymone, della Camera Civile Salentina».

Entriamo nella sostanza del progetto che è direi ambiziosa.

«Per la prima volta in Italia, atti di parte arrivati da tutta Italia sono depositati in una banca dati, ma prima resi anonimi grazie a programmi, sempre curati da noi, che non oscurano i dati sensibili, ma li sostituiscono con nomi di fantasia, lasciando intatto il testo che può quindi essere studiato dal punto di vista linguistico».

Poi seguirà un’indagine di tipo qualitativo dei testi, giusto? 

«Sì, perché l’obiettivo del progetto è duplice.

Da un lato studiare linguisticamente atti di parte e dall’altro avviare processi di semplificazione e leggibilità degli stessi. I testi dell’avvocato sono infatti il primo anello di una catena che prosegue nel lungo iter processuale, e tanto più sono leggibili tanto più la loro successiva citazione e trattazione è agevole. Ovviamente si tratta solo di rendere più comprensibili testi specialistici del diritto, ma non snaturarli perché devono mantenere il loro forte carattere tecnico».

Ecco, è da questa valutazione qualitativa che si estrapolano meccanismi di scrittura più chiari che possono diventare una sorta di “canone” utilizzabile da tutti?

«Nell’ambito degli atti di parte a disposizione individueremo quelli particolarmente ben scritti che possano diventare un modello di una buona scrittura, efficace. Esiste già un’ottima scrittura forense in Italia e va valorizzata rispetto a ‘zone grigie’ di difficile lettura. Una sezione di buone prassi linguistiche sarà dunque allestita nella banca dati. Va detto che l’utente che utilizzerà la banca dati potrà leggere solo poche righe dell’atto originario per una ulteriore garanzia di riservatezza, porzioni di testo decontestualizzate da cui individuare solo il fenomeno retorico e linguistico».

Da linguista ritiene che questo sia un processo esportabile ad altre categorie che avrebbero la necessità di recuperare una scrittura di maggiore comprensione? Pensiamo agli scienziati, ad esempio…

«Esattamente. Una buona scrittura, o più in generale una competenza linguistica nella produzione dei testi orali e scritti è una competenza trasversale, una necessità di ogni processo di comunicazione in qualunque ambito lo si intenda: giuridico, scientifico, ma anche didattico o medico. In tutti gli ambiti il processo di comunicazione tra interlocutori passa attraverso dei messaggi che sono linguaggi. Quanto più è semplificato e corretto il processo di costruzione del messaggio, tanto più si rende possibile la comunicazione chiara tra chi lo produce e chi lo riceve. La lingua italiana in questo caso è una competenza trasversale e nell’ambito di questa un posto centrale ce l’hanno le competenze di scrittura. Il meccanismo di mediazione, spesso nelle mani dei giornalisti ma anche di tanti altri attori, è importantissimo ed è necessario che garantisca agevole fruibilità, pur mantenendo rigorosa scientificità».

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