L'intervista/Pietro Ichino
«Le Regioni possono innovare
il mercato del lavoro»

L'intervista/Pietro Ichino «Le Regioni possono innovare il mercato del lavoro»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Lunedì 28 Maggio 2012, 16:24 - Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 14:39
LECCE - Giuslavorista di spicco e senatore Pd, Pietro Ichino nei giorni scorsi ha fatto tappa a Bari. L’occasione stata la giornata di studio sulla nuova riforma del lavoro organizzata dal Claai Puglia e Basilicata, iniziativa che ha chiamato a raccolta centinaia di consulenti del lavoro, imprenditori, operatori del diritto, rappresentanti di associazioni datoriali e sindacali.

Professore, dopo l’ok della Commissione lavoro del Senato e le relative modifiche, che valutazione dà della riforma del mercato del lavoro?


«La riforma Fornero si fonda su questo equilibrio: una riduzione della rigidità della disciplina dei licenziamenti e un giro di vite contro l’abuso di forme di lavoro precario. Certo, avrei preferito una riforma dei licenziamenti più incisiva, applicata ai soli rapporti di lavoro destinati a costituirsi da qui in avanti, che avrebbe consentito di riassorbire molto più facilmente l’attuale lavoro precario, senza il rischio di perderne una parte per strada. Ma anche il progetto Fornero costituisce comunque un passo avanti».

C’è un’equa compensazione tra riduzione della rigidità dei licenziamenti e stretta al precariato?

«L’equilibrio c’è. La riscrittura dell’articolo 18, nonostante alcune zone grigie che avrebbero potuto essere evitate, è assai più incisiva di quanto non sia stato percepito: la regola generale non è più quella che ha generato la situazione attuale di sostanziale job property, ma una regola di congruo indennizzo, quella che i giuristi chiamano liability rule, in linea con quanto accade in tutto il resto d’Europa».

Ma in Italia, a causa di un sistema d’impresa in affanno, la domanda di lavoro è molto più fiacca che nel resto d’Europa.

«Vero solo in parte. In ciascuno degli ultimi anni, pur in una situazione di grave crisi economica, in Italia sono stati pur sempre stipulati ogni anno più di dieci milioni di contratti di lavoro, dei quali un quinto a tempo indeterminato. E di questi, un terzo nel Mezzogiorno. Il problema è che questa è per la stragrande maggior parte una mobilità da posto a posto di lavoro. Il lavoro è accessibile soltanto per chi lo ha già, oppure attraverso le reti parentali, amicali, professionali; chi è fuori dal giro e non dispone di queste reti ha l’impressione che il mercato del lavoro sia un buco nero, una trappola infernale».

Ma davvero le rigidità dell’articolo 18 inibiscono gli investimenti delle imprese?

«Questa rigidità costituisce soltanto uno dei grandi ostacoli agli investimenti, soprattutto quelli provenienti dall’estero. Insieme ai difetti di funzionamento delle amministrazioni pubbliche, delle infrastrutture di comunicazione e di trasporto, e al maggiore costo dell’energia».

Cosa fare per dare maggiore dinamicità al sistema?

«La leva di gran lunga più importante è l’apertura del Paese agli investimenti stranieri. Anche per questo è importante riallineare la nostra legislazione del lavoro ai migliori standard del centro e nord-Europa; anche se questa è soltanto una delle misure necessarie, non certo l’unica. Certo, sarebbe importantissima anche la semplificazione di questa legislazione. Peccato, perché il codice del lavoro semplificato sarebbe già pronto: è una riforma che si potrebbe fare in tre mesi e a costo zero».

Flexsecurity, cioè la contemperazione tra sicurezza e flessibilità: l’Italia non sembra essere pronta...

«Invece è molto più pronta di quanto si pensi. Ci sono ad esempio proposte per candidare la Basilicata come regione-pilota per la sperimentazione di un regime di flexsecurity».

Come potrebbe funzionare un piano così localizzato, soprattutto al Sud?

«Occorrerebbe innanzitutto un accordo-quadro regionale, che individui con precisione le linee guida per la sperimentazione del nuovo regime mediante la contrattazione aziendale, i contenuti di un nuovo codice del lavoro semplificato, applicabile a tutti gli start-up, o alle nuove assunzioni in una impresa che intenda impegnarsi su questo terreno. Con questo accordo-quadro la Regione potrebbe impegnarsi, nei confronti di tutte le imprese che aderiscano allo schema, a coprire i quattro quinti del costo di mercato dei servizi di outplacement (ndr: la ricollocazione) e di riqualificazione mirata. Il costo di una iniziativa di questo genere crescerebbe gradualmente negli anni, ma all’inizio sarebbe di minima entità, perché nei primi tempi nei nuovi rapporti di lavoro ci sarebbero solo assunzioni. Il finanziamento può essere dato per metà dai contributi del Fondo sociale europeo, per l’altra metà da una riqualificazione progressiva della spesa regionale in questo campo».

Ma un accordo-quadro regionale non può certo modificare la legge vigente.

«E non gli si chiede di farlo. L’accordo-quadro si limita a dettare i contenuti che i contratti aziendali dovranno fare propri. I contratti aziendali stessi, invece, se stipulati dalle confederazioni sindacali maggioritarie nella singola impresa, sono pienamente abilitati a disporre anche modifiche della disciplina vigente dei rapporti di lavoro, purché compatibili con i princìpi costituzionali e con i vincoli posti dalle norme sovranazionali. Con un accordo-quadro di questo genere, per esempio, la Puglia potrebbe presentarsi alla parte migliore dell’imprenditoria del mondo intero con uno straordinario biglietto da visita. Il messaggio sarebbe questo: se collocate qui i vostri nuovi insediamenti, noi siamo in grado di offrirvi un nuovo codice del lavoro semplice, tradotto in inglese, perfettamente allineato con i migliori standard internazionali, che offre il massimo di flessibilità alle strutture produttive e il massimo di sicurezza ai lavoratori. Se poi a questo ciascuna Regione aggiunge uno sportello unico capace di sbrigare in due settimane tutte le pratiche amministrative necessarie per lo start-up, si può fare concorrenza persino alla Baviera e alla Svizzera».

I percorsi di formazione e orientamento scolastico quanto possono fare per razionalizzare il mercato del lavoro?

«Moltissimo. Un buon servizio di orientamento che fosse capace di raggiungere capillarmente ciascun giovane che esce da un qualsiasi ciclo scolastico, offrendogli un bilancio delle sue competenze e informandolo compiutamente su tutte le opportunità, aiuterebbe moltissimo a ridurre la disoccupazione giovanile. Così come aiuterebbe un sistema di formazione e riqualificazione che fosse capace di organizzare i singoli servizi in riferimento a ciascuna specifica necessità delle imprese».

Ha fiducia nella spending review in corso? Libererà risorse per la crescita, da investire in quale modo?

«È la cosa più importante che lo Stato possa fare oggi. Ed è il modo migliore per mettere a frutto la crisi economica: fare piazza pulita degli sprechi e delle rendite. Ma per questo occorrerebbe soprattutto mettere alla frusta i dirigenti pubblici: è a loro che andrebbe imposto un obiettivo di eliminazione degli sprechi serio, specifico, misurabile, al quale sia davvero collegato il mantenimento della carica dirigenziale. Non occorrono nuove leggi: le norme ci sono già da tempo. Occorre applicarle con intelligenza e rigore».

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