L'intervista/Luna: «La rete
ci aiuterà a cambiare tutto»

L'intervista/Luna: «La rete ci aiuterà a cambiare tutto»
di Ilaria MARINACI
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Sabato 19 Ottobre 2013, 11:40 - Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 17:11
LECCE - stato l’uomo che nel 2010 ha portato avanti la campagna a favore dell’assegnazione del Nobel per la Pace ad Internet. L’impresa ufficialmente non riusc, anche se Riccardo Luna, giornalista, primo direttore dell’edizione italiana di Wired ed ora alla guida di Chefuturo.it, la vede in un altro modo.
«Il premio andò ad un attivista cinese, Liu Xiaobo, che, prima di finire in carcere dove purtroppo si trova ancora, definì Internet un dono di Dio. Il fatto che sia stato scelto proprio lui mi sembra il riconoscimento migliore per quella campagna».



Venerdì prossimo, Luna sarà alle Officine Cantelmo di Lecce nell’ambito della rassegna XOff, che precede la seconda edizione salentina del TedX, per presentare il suo ultimo libro “Cambiamo tutto - La rivoluzione degli innovatori”, edito da Laterza. La tesi è una sola: la strada migliore per cambiare l’Italia è quella dell’innovazione e il mezzo è la Rete.

Luna, chi sono gli innovatori che stanno facendo la rivoluzione?

«Sono quelli che provano a cambiare questo Paese, utilizzando la tecnologia in senso lato e Internet in particolare, arrivati a far propri valori come l’apertura, la trasparenza, la condivisione e la collaborazione, cioè i pilastri fondamentali della cultura della Rete. Questi valori sono alla base di progetti molto importanti che, dal mondo della scuola a quello del lavoro e della scienza, stanno cambiando in meglio l’Italia».

Che però è ancora molto indietro. Per colpa di chi?

«Siamo indietro perché tante volte abbiamo chiuso la porta in faccia al futuro e non ce ne siamo accorti. L’innovazione e la tecnologia sono state considerate poco importanti per responsabilità politiche e per errori manageriali. Racconto nel libro che nel 1962 a Ivrea un giovane ingegnere è stato il primo al mondo ad immaginare un futuro di personal computer e alla Olivetti gli hanno detto che quella roba non serviva a nulla. Dieci anni dopo, nacque la Silicon Valley. Oppure, nel 1993, sempre a Ivrea un signore si è immaginato il modem per collegarsi ad Internet e gli è stato risposto che Internet non avrebbe avuto futuro. A differenza del passato, oggi grazie alla Rete è più facile fare le cose e questo impone un cambio di responsabilità: se prima si poteva dire che la colpa è dei politici, adesso, se non si fa nulla, è colpa nostra».

Innovazione vuol dire anche guadagno e occupazione?

«C’è un’innovazione sociale che riguarda, ad esempio, quello che accade nel mondo della scuola e in Puglia avete uno dei maggiori centri italiani con il progetto “Book in progress” dell’istituto Majorana di Brindisi. Poi c’è un’innovazione che riguarda le aziende. Internet è tuttora il più grande creatore di posti di lavoro nel mondo occidentale, anche in Italia. Molte start-up interessanti che ho citato nel libro sono pugliesi: ad esempio, Jobrapido è stata fondata da un ragazzo di Conversano, Vito Lomele, che l’anno scorso ha venduto la metà del sito a un gruppo inglese per 30 milioni di dollari. E ancora, uno degli amministratori delegati di maggior successo del momento è Giulio Limongelli, di Bari, che guida Groupon Italia e ha assunto 500 persone in un anno e mezzo. Non è automatico fare una start-up e avere fortuna, però ci sono tante nuove imprese di successo che consentono di creare ricchezza e posti di lavoro».

Qual è, secondo lei, il lato negativo di Internet?

«Ci sono un sacco di persone che usano la Rete male, su questo non c’è discussione. Internet fa emergere anche le cose brutte, ma il male sta nella società, non nel mezzo che lo fa venir fuori. Preferisco dire che è un’arma di costruzione di massa. Prima una persona che aveva un buon progetto era sola, oggi può chiedere aiuto in Rete. Meglio avere una civiltà, come quella di Internet, fatta di ponti anziché di muri, sebbene i ponti li possano attraversare anche persone sbagliate».

Il futuro del giornalismo, infine, è il “citizen journalism”?

«È una domanda complessa. I giornali in questo momento sono in profonda crisi, eppure non c’è mai stato tanto bisogno di buoni giornalisti come adesso per capire la complessità che abbiamo davanti, interpretarla e comunicarla attraverso nuovi linguaggi. Io sono convinto che anche per il giornalismo siamo all’inizio della rivoluzione».



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