Occidente senza memoria, sull’Islam troppi gli errori

Occidente senza memoria, sull’Islam troppi gli errori
di Franco CARDINI
7 Minuti di Lettura
Sabato 4 Settembre 2021, 05:00

Fino a quasi mezzo secolo fa, nel cosiddetto “nostro Occidente” il problema costituito dall’Islam non esisteva. Tutto sembrava chiaro. Si trattava di una religione appartenente al medesimo ceppo (monoteistico e “abramitico”) di ebraismo e cristianesimo, che aveva desunto molti caratteri dalle due “religioni sorelle” ma che, caratterizzata da una sua robusta semplicità e da un forte impulso all’espansione e alla conquista, si era diffusa in circa tre secoli - dal VII all’XI - in gran parte dell’Asia e dell’Africa settentrionale nonché nell’area meridionale e in Europa. Entrata in seguito in crisi nonostante lo sviluppo di una notevole cultura e alcuni revivals importanti - quali la costituzione tra XIV e XX secolo dell’impero turco ottomano - aveva dovuto inseguito adattarsi a un mondo sempre più subordinato all’egemonia politica, militare, tecnologica ed economica dell’Occidente fino a ridursi ad alcuni Paesi oggetto dell’espansione coloniale europea che solo lentamente e faticosamente avevano intrapreso un loro processo di modernizzazione. In un mondo come quello del Novecento, caratterizzato da una laicizzazione progressiva (il cosiddetto “processo di secolarizzazione”), l’Islam appariva sempre più come qualcosa di arcaico e di residuale. Qualcosa di isolato, magari in una sorta di romantico folklore. Dune, minareti, palme, cammelli.

Quello che apparve come un suo brusco risveglio si verificò prima quasi insensibilmente: qualche brandello di modernizzazione qua e là (Mustafa Kemal in Turchia, Reza Shah in Iran, Nasser e il “socialismo arabo” tra Egitto e Occidente), la crescente attenzione per la “questione palestinese” al margine della storia dello Stato d’Israele (ma i palestinesi erano in parte cristiani) e così via. 
Poi, la scossa improvvisa: la “rivoluzione islamica” in Iran, la resistenza nazional-tribal-religiosa a un regime “laicista” in Afghanistan e all’Unione sovietica che la sosteneva, l’islamizzazione della resistenza palestinese a Israele con la nascita del movimento di Hamas, la “rinascita musulmana” e i relativi episodi di guerra civile collegati anche alle più frequenti migrazioni tra Vicino Oriente e Balcani, l’imporsi di un nuovo “radicalismo religioso” che si convenne poi di definire “fondamentalismo” e infine “islamismo”, quasi “degenerazione” ideologico-politica della religione musulmana.

Gli attentati di New York e Washington

L’alba livida del nuovo millennio si annunziò l’11 settembre del 2001 con gli attentati di New York e di Washington e la scoperta del movimento integralista e terrorista musulmano di al-Qaeda; seguirono le due campagne militari egemonizzate dagli statunitensi – e, oggi lo sappiamo, entrambi infelici nei suoi esiti finali anche se vittoriose sulle prime – in Afghanistan e in Iraq, con la scoperta da parte nostra che l’Islam era in realtà un mondo molto complesso, lacerato dalla tensione interna tra i due gruppi confessionali dei sunniti e degli sciiti che si traduceva nell’inimicizia tra Arabia saudita (a sua volta però terra-madre di un “Islam eretico”, il cosiddetto wahhabismo) e Iran che con il regime dello ayatollah Khomeini sembrava aver voltato almeno politicamente e culturalmente le spalle al nostro mondo.

La recrudescenza del terrore.

I fatti del 2011 in Libia e in Siria, la lunga guerra combattuta tra 2015 e 2017 circa nell’area tra Siria e Iraq in seguito alla nascita di un “califfato” islamico (l’Isis, in arabo “Daesh”), che fu vinta provocando però la costituzione di due differenti coalizioni – una tra statunitensi e sauditi con l’appoggio d’Israele, l’altra fra russi e siriani fedeli al governo di al-Assad, con la complicazione delle contrastanti presenze turca e curda – furono accompagnati da alcuni talora drammatici episodi di terrorismo attribuito a gruppi estremistici musulmani non sempre con chiarezza individuabili e hanno condotto a due eventi ulteriori: la svolta parafondamentalista del regime di Erdoğan in Turchia (che peraltro resta nell’alleanza Nato) e, infine, il ritiro delle truppe statunitensi con i relativi alleati sia dall’Iraq sia dall’Afghanistan che ha sancito il fallimento delle campagne militari nei due paesi iniziate fra 2001 e 2003 e dei regimi “democratici” e filo-occidentali alle quali esse avevano dato luogo. A Kabul, i talebani sostenuti principalmente dal Qatar sono rimasti padroni di una situazione peraltro ancora incerta mentre a Baghdad un governo “pro-occidentale”, stabilitosi all’indomani di una consultazione elettorale dall’incerto esito, appare alquanto malfermo. 

Occidente e Islam.

A questo punto le nostre idee generali sull’Islam continuano a permanere incerte e confuse, anche se la prevalente convinzione in Occidente è che un vero e proprio franco rapporto con i paesi musulmani avverrà solo se, quando e nella misura in cui essi si saranno definitivamente occidentalizzati e democratizzati, abbandonando in particolare le loro tradizioni religioso-giuridiche. Al tempo stesso, ci rendiamo conto che non esiste alcun cambiamento socioculturale che non si basi su un mutamento strutturale dell’assetto socioeconomico: e ci chiediamo a che punto siamo dinanzi a un Islam che si presenta nel complesso contraddittoriamente lacerato fra la ricchezza degli emirati gonfi di petrodollari e le loro avveniristiche possibilità tecnologiche e finanziarie da una parte, la situazione arcaica e tribale di paesi come l’Afghanistan perennemente minacciati dalla fame e dalla guerra civile dall’altra, il permanere di stati per molti versi moderni ma caratterizzati – come la Turchia, l’Egitto, la Giordania, le repubbliche nordafricane – da sistemi politici autoritari o da una grande instabilità.

Il fatto è che ci riesce difficile raggiungere – anche per un’evidente inadeguatezza delle nostre classi politiche e dei nostri media – una visione chiara e un’informazione obiettiva della realtà delle cose. L’Islam, anzitutto, non ci è affatto estraneo: le sue radici culturali stanno nel monoteismo abramitico da una parte ma anche nel passato ellenistico-romano dall’altra: è dall’Islam che attraverso le traduzioni dall’arabo è giunta a noialtri occidentali la scienza filosofica, naturalistica, matematica, astronomica e medica che ci ha permesso di sviluppare la Modernità, per quanto il carattere militare che noi abbiamo impresso alla nostra tecnologia ci abbia consentito di conquistare il mondo con le nostre navi e i nostri cannoni: e d’incorrere nel grave errore di prospettiva che ci ha fatto ritenere che quei mezzi fossero espressione di una superiorità anche culturale e spirituale tout court. 

Oggi l’Islam è un complesso di 1.600.000.000 di persone che non dispone di un centro normativo religioso (non ha organizzazioni ecclesiali), ma ha scuole, università, organizzazioni intellettuali e umanitarie. È una pluralità insospettabilmente ricca di risorse e di potenzialità. Ma noi continuiamo a dettargli l’agenda delle nostre priorità politiche e morali, come si è visto recentissimamente dalla maldestra risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (passato con la significativa astensione di Russia e Cina) che subordina un dialogo fra noi e i nuovi ancor incerti poteri politici afghani all’accettazione, da parte loro, di un diktat che prevede scelte come quelle di «un’adeguata presenza femminile» nel nuovo Afghanistan, pretesa con perentorietà ma non precisata nella sua sostanza. 

Il cosiddetto fondamentalismo non è affatto quel che la maggioranza degli occidentali immagina. Non è un movimento unitario: anzi, è un coacervo di gruppi in lotta fra loro. E non è per nulla un movimento informato a una profonda e rigorosa spiritualità: al contrario, è una sorta di “modernismo islamico”, integralista nelle forme e ateizzante nella sostanza del suo messaggio che non è religioso bensì politico. Il fondamentalismo rivisita l’Islam secondo i cànoni metodologici del marx-leninismo: scopo del musulmano, secondo esso, non è l’adesione fiduciosa e profonda (islam, “fede-fiducia”, che ha la stessa radice della parola salam, “pace”) alla volontà di Dio, bensì la lotta contro il “Satana occidentale”.

Se l’Islam conoscesse una disciplina ecclesiale, e quindi un’ortodossia, il fondamentalismo sarebbe qualificabile come un’eresia.

Ma l’Islam, appunto, non conosce né Chiese né dogmi: il fedele è libero dinanzi alla Parola di Dio e ai cinque arkan, ai Pilastri, ai precetti fondamentali, che egli interpreta alla luce del maestro e della confraternita che si sceglie (anche se la fondazione di stati organizzati all’occidentale ha obbligato questa libertà a adattarsi alla disciplina delle leggi statali). La stessa sharyyah, la legge coranica, fondata su un testo come il Corano - che non è propriamente normativo - ha un connotato fondamentalmente basato sulla consuetudine e sull’esperienza, quindi giurisprudenziale: e varia da popolo a popolo, subendo le differenze di tradizioni ancora anteriori alla sua formazione e da essa inglobate. È questa natura sperimentale dell’Islam che lo rende una fede flessibile, adattabile a tutte le culture. 

La tesi dell’insanabile inimicizia tra Occidente e Islam è nata recentemente per colpa di alcuni cattivi teorici, come Samuel Huntington col suo “Clash of civilization”, e non ha alcun fondamento né storico, né filosofico, né epistemologico. Purtroppo essa è condivisa da fondamentalisti tanto islamici quanto occidentali (sia laicisti, sia cattolici) e rischia davvero di rafforzare l’influenza dei gruppi terroristici nel mondo islamico. Per combatterli, al contrario, le strade sono solo due: una è quella d’individuare e colpire le loro centrali; l’altra è quella di rimuovere il più profondamente e rapidamente possibile il disagio, l’ingiustizia, la miseria, la sperequazione, insomma tutte le cause di malessere da cui nasce l’odio contro il mondo occidentale che fornisce al terrorismo i militanti, i complici e i sostenitori.

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