I 75 anni del cardinale Semeraro: «Conoscenza e amore per le sfide della Storia»

I 75 anni del cardinale Semeraro: «Conoscenza e amore per le sfide della Storia»
di Adelmo GAETANI
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Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:20 - Ultimo aggiornamento: 20:47

Ieri, 22 dicembre, il cardinale Marcello Semeraro ha compiuto 75 anni. Ma la ricorrenza per lui è stata, come sempre, un'altra giornata di lavoro in Vaticano da prefetto della Congregazione delle cause dei Santi. Quando la conclude è ormai tarda sera e solo allora può trovare il tempo per l'intervista.
Dunque, auguri Eminenza. Quale significato ha per lei questa ricorrenza?
«Quando sono in Ufficio spengo il cellulare, non c'è altro modo per fare il mio dovere. L'incarico affidatomi dal Papa è delicato e gravoso e non posso sbagliare», spiega. E aggiunge: «Guardi, per il Vescovo, come per il Parroco la scadenza dei 75 anni ha un significato profondo perché, come volle Paolo VI, è l'età della rinuncia al governo della Diocesi o della Parrocchia. Proprio per questo è una scadenza che impone un esame di coscienza e un bilancio della propria vita di uomo e di sacerdote».
Aspetti canonici a parte, con quali altri pensieri si confronta in questo passaggio della sua vita?
«Posso rivolgere solo uno sguardo indietro, perché in avanti dobbiamo affidarci solo alla volontà del Signore. A 75 anni si vive l'età della maturità. È un momento in cui si avverte la responsabilità di dover offrire agli altri la propria capacità di giudizio oltre che l'esperienza necessaria anche per aiutare le nuove generazioni a crescere».
Prima Oria, poi Albano, le sue due diocesi. La sua esperienza, a cominciare da oltre mezzo secolo di sacerdozio, che cosa le ha trasmesso?
«Non ho avuto la fortuna di essere parroco, ma i lunghi anni di insegnamento al Seminario teologico di Molfetta e all'Università Lateranense mi hanno arricchito, anche perché ho avuto la possibilità di guidare strutture complesse grazie ad un rapporto con altri che hanno riposto in me grande fiducia. Sono state prove tornate utili una volta chiamato al ministero episcopale. Sono stati 16 anni fruttuosi e posso dire che Albano è ora uno dei punti di riferimento della mia vita, come Monteroni e il Salento».
È stato ordinato sacerdote nel 1971 quando la Chiesa aveva ancora un ruolo centrale nella società. E adesso?
«Negli ultimi decenni molto, se non tutto, è cambiato. C'è un'espressione di Papa Francesco che spiega tanto e che dovremmo tenere presente perché non è un gioco di parole, ma un concetto sul quale meditare: Quella che viviamo non è un'epoca di cambiamento, ma un cambiamento d'epoca'. Nel 1971 erano già accaduti avvenimenti, come il '68, che avevano lasciato una traccia profonda. Una fase di grandi fermenti dai quali era scaturito un pressante invito a riflettere sui nuovi processi sociali e culturali».
Un invito forse colto in ritardo dal mondo cattolico?
«In realtà la Chiesa aveva risposto tempestivamente alle sfide della modernità prima ancora che si manifestassero con la forza di un'evidenza pubblica e generale. Infatti, Giovanni XXIII profeticamente aveva indetto il Concilio Vaticano II nell'ottobre 1962 proprio per individuare un percorso di cambiamento. Ma tutto va contestualizzato, altrimenti è impossibile capire lo stato delle cose. Agli inizi degli anni Settanta c'era ancora una situazione ordinaria di cristianità, Natale e Pasqua non erano feste generiche, ma festività a carattere fortemente religioso. Adesso è diverso e non possiamo dare più nulla per scontato. A noi sacerdoti non tocca solo celebrare i sacramenti e avviare iniziative che orientino il cammino di una comunità cristiana; oggi il compito di sacerdoti e vescovi è quello di essere soprattutto credibili. Al beato Rosario Livatino, magistrato ucciso dalla mafia, si attribuiscono queste parole che sottoscrivo in pieno: Al termine della vita non ci verrà chiesto quanto siamo stati coerenti, ma quanto siamo stati credibili'. Ecco, la credibilità dev'essere il nostro orizzonte di pensiero e di azione».
Papa Francesco, al quale lei è molto legato, cerca e favorisce il dialogo con la società sempre più secolarizzata. Eppure c'è chi critica. Perché?
«Papa Francesco è un figlio del Concilio Vaticano II, chi lo contesta ha già attaccato il Concilio e il suo messaggio al mondo di oggi. Per il resto, le difficoltà e i problemi dell'essere cristiani li sentiamo tutti. Il Papa spesso parla della Chiesa in uscita per indicare la necessità dell'incontro e del dialogo, ma per farlo bisogna mettersi in discussione, alzarsi dalla comoda poltrona in cui siamo sprofondati e affrontare le difficoltà di una missione sapendo cogliere, come diceva Giovanni XXIII, i segni dei tempi, mentre testimoniamo Cristo».
Quali sono i segni dei nostri tempi dai quali non è possibile prescindere?
«Sono tanti e diversi, basti pensare ai cambiamenti culturali, ai nuovi diritti, all'impegno delle donne nella società, all'emergenza climatica, alla pace, alle crescenti povertà, alla solitudine, ai turbamenti e ai disordini esistenziali che sempre più condizionano la vita delle persone alle quali devo voler bene se voglio capirle e posso voler bene solo se le conosco. Un vecchio proverbio salentino chiarisce questo concetto: La mamma il figlio muto lo capisce'. È quello che dobbiamo fare noi, essere in sintonia con la storia e con le sfide che essa ci affida, facendo leva sul binomio conoscenza-amore. È l'amore che ti fa capire ed è l'amore che ti fa conoscere: sono questi gli spazi vitali per comprendere il vero senso del Natale e annunciare la Parola».
Prima la pandemia e poi la guerra hanno incrinato la fiducia nel futuro. La crisi morde e genera incertezze. Che fare?
«Emergono difficoltà che si intrecciano e aumentano in modo esponenziale. A volte sembra scomparire ogni via d'uscita e prevale lo sconforto, eppure non dobbiamo mai perdere la fiducia. Si tratta di ricostruire i punti di riferimento materiali, ma soprattutto spirituali, andati persi quasi del tutto. Da questo punto di vista, ancora una volta il messaggio del Vangelo può diventare l'unica e solida ancora di salvezza».
Ogni tanto torna nel suo amato Salento. Che cosa trova?
«Sono lontano da oltre 20 anni e devo confessare che alcuni problemi possono sfuggirmi. Allo stesso tempo so che non mancano le difficoltà, come per tutti i territori soprattutto nel Mezzogiorno. Per esperienza posso dire che le situazioni di crisi devono essere affrontate stando insieme, aiutandosi l'un l'altro. Da parte sua, la Chiesa, più di quanto faccia già oggi, deve tendere la mano a chi è in difficoltà perché è questo il momento di dare la nostra testimonianza operosa di cristiani».
Il Natale ci è davanti, che cosa possiamo volere?
«Innanzitutto chiediamoci perché, nonostante circoli tanta indifferenza, in ognuno di noi il Natale è sentito e vissuto con particolare calore. Credo perché offre a ciascuno e a tutti il messaggio sulla possibilità di ricominciare e nel momento in cui ricominciamo il Signore mi abbraccia e mi dice: Io sono accanto a te'. Sono le stesse parole con le quali Dio parlò a Mosè e lo convinse a salire sul Monte Sinai».
Eminenza, dove e come ha festeggiato il suo compleanno?
«Proprio ieri nella Curia romana è stato il giorno degli auguri natalizi con il Papa. La mattinata è stata impegnata in questo appuntamento coinvolgente e ricco di significati. Finita la cerimonia mi sono recato ad Albano dove la Diocesi ha voluto dedicarmi un bellissimo, quanto discreto, momento di festa».
Ha ricevuto gli auguri da Sua Santità?
«Certo, con mia grande gioia. E a proposito del mio compleanno e di Papa Francesco posso raccontare questa storia».
Sentiamo.
«Ai miei 70 anni, ero vescovo, ad Albano era stato organizzato un momento conviviale dai miei sacerdoti. Ad un certo punto, quando tutti eravamo seduti intorno al tavolo, da lontano vedo entrare qualcuno vestito di bianco. Mi rivolgo ai miei vicini sorridendo e dico ma che scherzo avete combinato'. Nel frattempo l'uomo in bianco si avvicina e inizio a scorgere, con grande sorpresa ed emozione, la sagoma di Sua Santità. Non potevo crederci. E' il Papa che mi abbraccia, mi fa gli auguri e dice: Sono venuto per il tuo compleanno'. Poi mi regala un Presepe napoletano in campana, saluta tutti i presenti, si ferma e pranza con noi. Bellissimo e indimenticabile ricordo».
Eminenza, quando viene a trovarci?
«Sino al 25 dicembre sarò a Roma per i riti di Natale in Vaticano, per Santo Stefano mi aspettano a Monteroni e ancora una volta si rinnoverà l'emozione, che coltivo nel cuore, dell'incontro con la mia terra e la mia gente».
 

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