«Intelligenza artificiale? Ottima, ma con cautela»

«Intelligenza artificiale? Ottima, ma con cautela»
di Leda CESARI
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Venerdì 1 Ottobre 2021, 05:00

Dal dolmen di Minervino di Lecce, tecnologia del passato remoto, all’intelligenza artificiale, opportunità luminosa del futuro: se sapremo coglierla. E il trait d’union è Cosimo Accoto, nato nel 1970 all’ombra di quel megalite e oggi filosofo, saggista e ricercatore affiliato al Mit di Boston, nonché autore di diversi saggi sull’impatto culturale e filosofico delle tecnologie contemporanee. Tra i suoi libri più recenti “Il mondo dato” - tradotto in inglese, brasiliano e cinese - e “Il mondo ex machina”. Ospite del programma tv “Codice” (Raiuno), e su Radio24 di “Smart City” (Radio24), è relatore frequente e apprezzato dei convegni Ambrosetti, Aspen Institute Italia, Harvard Business Review, e affianca come manager e consulente grandi organizzazioni e istituzioni nei loro percorsi di trasformazione digitale.

Intelligenza artificiale: ombrello concettuale che comprende sia i robot che i nostri computer e cellulari.

«È l’idea di costruire una tecnologia che simula l’intelligenza umana. Romanzi e film l’hanno raccontata in modo fantascientifico, ma quell’intelligenza piena si vede solo nei film. In realtà si tratta di algoritmi, tecniche matematico-probabilistiche che estraggono l’informazione che c’è nei dati e agiscono con un livello di autonomia crescente. Così nascono molte funzioni dei nostri computer e telefoni: il riconoscimento facciale o l’assistente vocale, ad esempio, sono possibili grazie agli algoritmi. Siamo lontani dall’intelligenza umana, ma l’impatto sulla nostra esistenza è notevolissimo».

L’intelligenza artificiale sta infatti cambiando radicalmente la nostra vita. I giudizi che lei dà come filosofo e come esperto di AI - Artificial Intelligence - su questa rivoluzione sono perfettamente sovrapponibili?

«L’esperto di AI deve analizzare l’evoluzione delle tecnologie, deve valutare se e come ci siano novità di rilievo oggi. E direi di sì: sempre più stiamo insegnando alle macchine a “imparare”, ad estrarre informazioni dai dati. Non stiamo solo trasferendo la nostra conoscenza: un conto è un computer che sa giocare a scacchi, un altro una macchina che guida da sola nel traffico. Il filosofo deve riflettere invece su cosa comporti questo cambio - dalle macchine che conoscono alle macchine che apprendono - e contribuire a guidare questa potente tecnologia per il bene dell’umanità».

Quali le opportunità, quali le questioni etiche?

«Le potenzialità sono molteplici, e in diversi campi: dalla medicina, con le diagnosi precoci sulle malattie, all’agricoltura per risparmiare in pesticidi, dalla guida assistita e autonoma che salva dagli incidenti all’automazione dei lavori pericolosi o pesanti. Ma a fronte di questi benefici attesi ci sono anche grandi criticità: anzitutto la protezione dei dati con cui le reti neurali artificiali vengono addestrate. E poi il rischio di manipolazione dei comportamenti, la limitazione della nostra libertà, il rischio di incidenti informatici e attacchi in rete, la tutela dei posti di lavoro.

Tutto questo richiede grande lavoro ai politici, ma anche agli esperti di etica. Come costruire macchine e algoritmi che lavorino a nostro beneficio, non a nostro danno? Isaac Asimov, con i suoi romanzi e le sue leggi della robotica, ha aperto la strada».

La storia del cinema è piena di film apocalittici sulle macchine che prendono il sopravvento, da “Metropolis” a “Blade Runner”, passando per “2001: Odissea nello spazio”, giusto per citare i più famosi.

«I film cercano l’azione e il coinvolgimento dello spettatore, per questo tendono a mettere in luce l’aspetto distopico e apocalittico della nostra relazione con le macchine. Non credo che si arriverà a questi scenari, ma dobbiamo fare attenzione ai rischi più reali e immediati che citavo prima: rischi che sappiamo già esserci senza arrivare alla ribellione dei robot. E poi, soprattutto, dobbiamo fare educazione e spiegare al grande pubblico queste novità».

Un altro filosofo, Umberto Galimberti, dice da tempo che la tecnologia, che dovremmo governare, ci ha resi schiavi. Troppo intelligenti le macchine o troppo stupidi noi?

«Galimberti ci sollecita su un punto chiave. Parto da una premessa: la tecnologia è il modo dell’umano di stare al mondo: sin dalla preistoria, per tornare al dolmen, artefatto dell’umanità preistorica ed esempio della sua capacità tecnica di sollevare, trasportare e assemblare blocchi e rocce pesantissimi: esso stesso tecnologia, se lo immaginiamo come architettura e tecnica funeraria e rituale. Archeologia e futuro, insomma, non sono così poi distanti: un tempo lavoravamo le selci per ricavarne schegge da usare come punte di frecce, oggi costruiamo smartphone. Per questo dobbiamo applicare il massimo impegno nel comprendere questo sviluppo, non lasciando la questione nelle mani di ingegneri e scienziati, altrimenti subiremo appunto questa evoluzione. Le macchine si stanno allenando, e anche noi dovremmo potenziare le nostre caratteristiche intellettuali uniche come specie».

Anche il Vaticano ha istituito una Fondazione in materia.

«Abbiamo bisogno di tutte le intelligenze umane oggi disponibili per indirizzare al meglio lo sviluppo delle nostre facoltà cognitive, emozionali e finanche spirituali, e coinvolgere tutte le culture che possano contribuire a disegnare un’umanità più consapevole, più attenta ai cambiamenti in corso. Quindi ben vengano i contributi di riflessione religiosa intorno all’essere umano alle prese con questa nuova sfida».

Lei è laureato in Filosofia: quanto serve questa disciplina per comprendere il mondo di oggi e progettare quello che verrà? E’ ancora un passe-partout per arrivare ovunque (Marchionne docet)?

«Se il mondo cambia dobbiamo dargli un senso, e la filosofia è la disciplina regina nel costruire senso nel mondo. Possiamo farcela coinvolgendo la gente, come faremo nell’evento immaginato dal sindaco di Minervino, Ettore Caroppo, nell’ambito del Dolmen Festival. E anche sollecitando istituzioni pubbliche e private di questo Paese a innovare la loro cultura e la loro strategia per il domani».

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