«Parliamo della Scienza con rispetto, senza dogmi»

«Parliamo della Scienza con rispetto, senza dogmi»
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 7 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 01:36

Oggi lo abbiamo capito meglio. Una corretta informazione scientifica è alla base di una società democratica: è una necessità (oltre che un diritto) per i cittadini e un dovere per gli scienziati che aprendo metaforicamente le porte dei loro laboratori possono creare un coinvolgimento virtuoso (culturale, ma anche foriero di finanziamenti che poi sono i rubinetti della ricerca). Ma perché e come fare comunicazione della scienza? Una cosa è certa: non è un settore in cui improvvisare, e tante storie recenti lo dimostrano. 
Ne parlerà oggi pomeriggio in un seminario sul tema Silvia Bencivelli, laureata in Medicina a Pisa e giornalista scientifica per vari giornali e riviste (tra cui Focus e Repubblica), volto della Rai e attualmente tra i conduttori di “Pagina 3” su RaiRadio3. L’incontro è oggi alle 16 sulla piattaforma Teams (https://bit.ly/2N02voy): sarà moderato da Anna Maria Cherubini, matematica e Delegata del Rettore per le Politiche di Genere di UniSalento e dalla curatrice del seminario Alessandra Beccarisi, docente di Storia della filosofia medievale di Unisalento e direttrice del Cetefil (che promuove il laboratorio “Filosofia come sapere comunicativo” in cui rientra l’incontro).

Bencivelli perchè è importante comunicare la scienza?

«Se non chiariamo perché vogliamo comunicare la scienza è inutile pure iniziare a farlo. Ci sono circostanze in cui si fa per ragioni estetiche, perché è bello parlare di scienza, o simili futilità. In realtà chi fa comunicazione della scienza in modo professionale sa che, in un mondo democratico, è necessario farlo. Se scoppia una pandemia, ad esempio, c’è bisogno di discuterne a livello politico e sociale, e la scienza diventa una delle voci del dibattito pubblico. Si comprende allora che è necessario che di scienza si discuta in una società democratica, perché può essere uno dei problemi del nostro vivere così come una soluzione. Si deve poter ragionare insieme, senza pensare che comunicare la scienza sia un mestiere contemplativo, come si credeva una volta, della serie: ‘ti racconto le onde gravitazionali’. Si può fare anche quello, ma quasi sempre è una necessità comunicare delle cose che il pubblico neanche gradisce ascoltare. Il processo è complesso: dipende dai contesti, dal mezzo, dal pubblico e dai motivi per cui comunicare qualcosa di scientifico…».

La pandemia ci ha insegnato, se ce ne fosse bisogno, che è utile per la nostra vita conoscere meglio alcune cose scientifiche.

«Sì, in realtà la gente non vuole studiare la scienza, ma avere degli strumenti che entrano nella socialità: vogliamo poter valutare delle cose che ci riguardano perché siamo sempre più scolarizzati. Infatti come ci mettiamo a discutere la nostra terapia col medico così a livello collettivo discutiamo oggi del bollettino della pandemia. In realtà studiare la scienza è utile a chi vuole fare lo scienziato, ma avere informazioni su materie che hanno a che fare con la scienza fa parte dei nostri diritti, è utile averle ed è nostro diritto trovarle, magari elaborate dai professionisti della comunicazione».

I professionisti della comunicazione scientifica per spiegare ai non addetti ai lavori dovrebbero seguire delle regole?

«Se si tratta di giornalisti sono le regole di tutti: verificare la notizia, la fonte, i dati ecc. Queste regole spesso però vengono disattese da giornalisti ‘non’ scientifici perché la scienza fa un po’ paura e si tende a mettere il microfono sotto la bocca del luminare e farlo parlare a ruota libera.

Ma il luminare è un essere umano e potrebbe quindi confondersi, contraddire cose dette da un altro luminare, per errore, caso o anche per rivalità tra loro. Spesso c’è troppa riverenza nei confronti dello scienziato e si evita il contraddittorio. Di contro altre volte temiamo che stia nascondendo qualcosa perché ha dietro dei poteri forti e chissà... Chi non è del mestiere può cadere in questi tranelli, nessuno è intoccabile invece, e basterebbe trattare la scienza da sapere umano, quindi passibile di errori come le altre cose: questa è la prima regola».

Veniamo alla seconda...

«Bisogna ricordare che la scienza non tratta la categoria della verità: non è religione con dogmi intoccabili, ma si evolve, si confronta e cambia continuamente. La seconda regola è quindi il rispetto della materia: la scienza non può dare risposte definitive, dire ciò che è giusto o sbagliato in assoluto perché non lo sa. E il giornalista o il politico che insistono con lo scienziato perché dica ‘esattamente’ come stanno le cose fanno un’operazione sbagliata. La scienza conosce i fenomeni col tempo, basta guardare al Coronavirus di cui si è imparato tanto in pochi mesi: è una cultura che si costruisce con gli errori, i confronti ecc».

Ma il corto circuito della comunicazione scientifica sul Covid, è dipeso solo da giornalisti impreparati o anche da scienziati che hanno dimostrato di non conoscere la comunicazione?

«È vero, a volte hanno molta spocchia nei confronti della comunicazione. E gli scienziati italiani non l’hanno mai studiata, servono anche a questo i seminari nelle università, perché la comunicazione non si improvvisa mai. Bisogna avere dei rudimenti di psicologia, sociologia, statistica ecc, non va bene conoscere solo i social network. Spesso c’è resistenza anche a rispettare il mestiere dei giornalisti, si criticano i titoli perché non sanno come funziona. E non sanno che se vanno allo sbaraglio in tv possono pure rovinarsi la reputazione, com’è accaduto. Speriamo nel dopo pandemia di aver capito noi pubblico che la scienza non ha il verbo assoluto e, da parte loro, gli scienziati che il mondo della comunicazione è più delicato di quanto pensavano. Ci siamo un po’ guardati in faccia tutti a questo punto e ora dovremo imparare da questo».

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