La storia di un'amicizia nel Salento del '46 nel romanzo di Buccarella

La storia di un'amicizia nel Salento del '46 nel romanzo di Buccarella
di Nemola ZECCA
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 31 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 17:26

È il luglio del 1946. La guerra è appena terminata, lasciando dietro di sé città ridotte in macerie e cumuli di cadaveri e di vite spezzate spesso nel fiore degli anni. Di fronte ad uno scenario simile, dai tratti transilvanici e che trasuda smarrimento misto a sconforto, sono i giovani a restituire quell’audacia nell’immaginare un mondo migliore, nuovo nei valori e aperto ad ogni possibilità. 
Giovani adolescenti sono anche Tommaso, Umberto, Marcello e Giovanni, quattro amici che, nel Salento post-bellico e da poco repubblicano, trascorrono le loro giornate tra le pinete arse dalla calura estiva, in un vagabondare assorto e inconsapevole, capace di trascinarli lontano - seppur momentaneamente - dalla povertà, l’avvilimento e la miseria delle loro famiglie. Figli di un contesto che avvertono slegato da loro, fanno dell’amicizia e della lealtà l’unico collante di resistenza contro un mondo da cui si sentono sradicati, in una vita senza meta né scopo. 
Dei veri fuoriposto, insomma. Ed è proprio a questa particolare condizione che si ispira il titolo del nuovo romanzo di Cosimo Buccarella, che - a partire dalle vicende di questi quattro adolescenti - trascina il lettore alla scoperta di un Salento inaspettato, sconosciuto, ricostruito attraverso pezzi di storia disseminati tra archivi locali e cassetti della memoria collettiva. 
A tenere insieme questo mosaico di storie, avventure e sguardi talvolta introspettivi, è il racconto di una macabra scoperta che cambierà inequivocabilmente il corso delle vite dei protagonisti. In sequenze dal ritmo incalzante, ma non per questo prive di inviti alla riflessione e minuziose descrizioni, Tommaso, l’io-narrante, racconta di scenari inediti e avventure audaci, dove trova posto anche la storia (ancora poco nota) di una costa, quella neretina, che, nel solco della più sincera tolleranza religiosa e culturale, funse da porto d’approdo per numerosi profughi ebrei, liberati dai campi di sterminio e in viaggio verso il nascente Stato di Israele. 

Il volume


Con questo nuovo romanzo, edito dal Corbaccio, Buccarella si afferma chiaramente nel panorama degli scrittori pugliesi più interessanti e promettenti: già noto alla cronaca per altre sue produzioni, esordisce nel 2009 con il racconto La torre dell’orologio; nel 2012, vince il Premio Olivieri con La mossa più lunga, per poi qualificarsi più recentemente (nel 2019) come finalista del torneo letterario IoScrittore, col romanzo Brave persone. Con I Fuoriposto, si avventura per la prima volta tra i meandri dell’adolescenza, in una storia che alterna la sottile ironia alla più intensa commozione. 
La copertina del libro è senz’altro uno degli aspetti che più incuriosisce un lettore che stringe il romanzo tra le mani; il volto ritratto ricorda molti dei visi immortalati dall’obiettivo di Letizia Battaglia, o finemente raccontati dall’instancabile penna di Pasolini.
«Ho scelto questa foto, in accordo con la casa editrice, poiché ci sembrava che il volto del ragazzo ben incarnasse l’attitudine dei quattro protagonisti del romanzo. La cicatrice che si staglia poco più giù del naso, la sigaretta ferma tra le labbra serrate della bocca, lo sguardo fiero e audace, trasmettono l’immagine di un giovane spavaldo e, nonostante l’età, sicuro e fiero di sé. La fotografia è di Mario Cattaneo, e proviene dal Museo di fotografia contemporanea Cinisello Balsamo, di Milano».

La storia


Gran parte della vicenda narrata si svolge sulla riva del mare di Santa Maria al Bagno, dove le fonti attestano la presenza d’un campo profughi per i sopravvissuti alla Shoah, allestito dagli Alleati inglesi. Che ruolo ha svolto la narrazione di questo episodio storico nell’economia di elaborazione del racconto?
«Il romanzo nasce effettivamente dalla volontà di rendere la storia del “Displaced Persons Camp number 34” - questa la denominazione ufficiale del campo - alla portata di un pubblico non necessariamente appassionato della materia. Ciò giustifica anche il fatto di aver scelto di adottare il punto di vista di giovanissimi adolescenti, il cui racconto, scarno da ogni sorta di opinione geopolitica, è l’unico in grado di restituire una prospettiva autentica e senz’altro più fruibile per dei non specialisti. L’episodio, d’altra parte, sebbene ancora poco noto, riveste un’importanza notevole poiché, come emerge dal recente dibattito storiografico, collocò l’Italia (in particolare, quella meridionale) in primo piano nei meccanismi di gestione dei profughi, un fenomeno nuovo per l’epoca». 
Il racconto si presenta, per tutte queste ragioni, un’opera ibrida, difficilmente incasellabile tra le categorie di romanzo storico, romanzo d’avventura, storia di formazione. Nonostante si è ben consapevoli di quanto l’originalità di questo incastro, ben riuscito, sia la chiave del successo editoriale di questo romanzo, come ne definirebbe il genere?
«Credo che questo racconto possa definirsi come un romanzo d’avventura, d’ambientazione storica. D’altra parte, non si potrebbero cogliere molti degli aspetti del libro se non si considerasse lo sfondo in cui agiscono i quattro tredicenni che ne sono protagonisti. Desiderosi di rinascere in un mondo altro, sorto sulle macerie post-belliche, ognuno di loro si proietta verso possibilità nuove, inedite, non necessariamente poste sullo stesso binario dei loro padri. Umberto immagina una vita in cui non dovrà essere per forza un bandito; allo stesso modo, Marcello sogna un orizzonte che vada più in là del confine imposto dal guadagno nella falegnameria di famiglia; così, anche Tommaso, che decide di ascoltare e seguire il proprio spirito artistico. Non è un caso che proprio questi giovani, che negli anni ’50 avrebbero raggiunto la maggiore età, saranno poi i rappresentanti di una generazione proiettata verso una vita oltre oceano».
Se dovesse trovare una parola capace di racchiudere emblematicamente lo stile e l’intreccio delle vicende narrate, quale sceglierebbe?
«Confine. Questa, credo che sia la parola più esemplare e adatta ad incarnare lo spirito di questo romanzo, che altro non è che una storia di confine. C’è un confine tra l’Italia della povertà e il campo che sembra un luogo paradisiaco, con a disposizione medicine e cibo in abbondanza. Nelle vite di ognuno dei protagonisti, c’è poi un confine interiore, impalpabile, che segna il passaggio tra adolescenza ed età adulta, dall’innocente incoscienza propria della gioventù al consapevole rischio del fallimento. Ma alla fine di tutto, resta una speranza: la possibilità di essere altro, di pensare altro, di rinascere». 
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