Il futuro delle cave di pietra: salotti della cultura

Il futuro delle cave di pietra: salotti della cultura
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 1 Giugno 2015, 00:17 - Ultimo aggiornamento: 00:21
Oggi sono i luoghi della danza dei venti, ieri sono stati giacimenti di ricchezza, perché la “nostra” pietra ha generato arte e una cultura che, con il rosone di Santa Croce come simbolo, ha fatto il giro del mondo. Domani le cave in disuso del Salento potrebbero essere generatori di altra cultura e contenitori ideali per intercettare arte, musica, teatro, danza e quanto di meglio possa illuminare le calde notti estive.

Se ne è parlato a Cutrofiano nella giornata di studi “Le cave ipogee, in grotta e a cielo aperto nel territorio di Cutrofiano. Dallo “sfruttamento” a risorsa culturale” che si è svolto, appunto, a Cutrofiano.



«Si è trattato della VII Giornata nazionale sulle miniere organizzata dai più importanti enti che si occupano di industria estrattiva, geologi compresi – spiega Antonio Monte, del Cnr Ibam che ha organizzato per Aipai l’evento – allo scopo di promuovere il paesaggio industriale legato, appunto, all’industria estrattiva. In Puglia non si parla di miniere, ma delle cave di pietra e di bauxite, e queste ultime a San Giovanni Rotondo sono profonde cinquecento metri sotto terra. I giacimenti estrattivi in Puglia sono presenti da Apricena in provincia di Foggia sino al Capo di Leuca, con le sue immense cave di tufo».



L’iniziativa rientra nei progetti dell’Anno europeo del patrimonio archeologico industriale e tecnico. Quali sono le nostre cave più importanti dal punto di vista storico culturale?

«Le prime sono quelle di Marco Vito a Lecce, rilevanti per ragioni storiche, economiche, artistiche, architettoniche: la pietra lì estratta è la materia prima del barocco leccese. È un’area di circa 4 ettari dove ci sarà la “Città della musica” progettata da Alvaro Siza, un esempio di importante recupero in corso. Ma a Lecce ci sono anche le cave storiche di Borgo San Nicola. E il campus universitario Ecotekne, sulla Lecce Monteroni, è interamente costruito in una cava. Sulla Gallipoli – Alezio ci sono poi le cave di “Mater gratiae” di carparo che risalgono a centinaia di anni fa, tanto che hanno fornito il materiale per costruire la Cattedrale di Gallipoli e altre chiese. Importante è Cursi con le storiche “Serpentane” e nella zona delle sue cave di pietra leccese custodisce ancora un antichissimo Menhir dedicato al “cavamonti”. A Cutrofiano c’è poi un caso unico anche a livello nazionale, cave ipogee scavate a dieci metri circa, perché questo materiale bianco straordinario si trovava sotto un terreno fortemente produttivo dal punto di vista agricolo. Lo strato di terra molto fertile è poggiato, dopo 50 centimetri, su un “cappellaccio” di pietra a sua volta poggiato su un grosso strato di argilla “responsabile” della prolifica produzione locale dei cosiddetti “figuli”, la ceramica locale. Più sotto c’è il banco roccioso diventato giacimento sotterraneo di tufo per il quale il territorio di Cutrofiano è stato letteralmente “bucato”. Nel primo decennio del ‘900 si coltivava in galleria, tramite due pozzi distanziati, uno più grande da cui scendeva il cavallo per trasportare il materiale e l’altro più piccolo da cui scendevano gli operai. Lezioni di storia vengono da tante le zone del Salento dove ci sono le cave».



Ma non sono tutte uguali?

«Intanto cambiano in base al tipo di pietra e quindi al processo estrattivo. Ma poi ci sono le cave a cielo aperto, quelle ipogee sottoterra, poi quelle in grotta che sono come “gallerie aperte”, con grandi pilastri a forma di campana lasciati dopo l’estrazione manuale per la stabilità della struttura».



Da quali esempi di riutilizzo potremmo prendere spunto?

«Le cave in galleria in Provenza, Les Baux, dove la pietra è stata usata per costruire due città, già dall’epoca romana. Abbandonate nel ’39, negli anni ’70 il fotografo Albert Plecy creò lì le “Cattedrali dell’immagine”, una galleria con esperimenti fotografici, e oggi proiezioni multimediali, cosa che si potrebbe fare alle cave analoghe di Cutrofiano. Gli esempi sono tanti. In una zona di Vicenza dove ci sono le cave a cui si attingeva per le ville di Palladio, nella cava Arcari è nato il laboratorio culturale Morseletto che organizza vari eventi. A Palagianello si sta recuperando, grazie ai progetti di Rigenerazione urbana, una bella cava molto adatta ad attività culturali e a Grottaglie la cava di Fantiano è già usata per manifestazioni culturali».
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