I reperti di Castro esposti all’Ara Pacis

I reperti di Castro esposti all’Ara Pacis
di Donato NUZZACI
3 Minuti di Lettura
Lunedì 6 Marzo 2017, 11:51
Una miniera di preziosi reperti, una fonte di nuove informazioni, la possibilità di arricchire un racconto finora soltanto adombrato: il racconto di Castrum Minervae. Una narrazione meravigliosa e affascinante, con l’approdo di Enea in fuga da Troia, il tempio alla dea guerriera, alcune pagine di Storia ancora da scrivere, e insieme uno straordinario contributo alla ricostruzione di quel complesso mosaico che è la nostra identità di italiani, di pugliesi, di salentini.
Di tutto questo si è parlato ieri al Castello Aragonese di Castro, sede del nuovo Museo Archeologico, nel corso di un incontro in cui è stato tracciato un bilancio dei risultati raggiunti finora nel progetto per il Parco Archeologico e Letterario “Sulle orme di Enea - Il Tempio di Minerva” (operazione finanziata con il programma Poin).
Un’occasione per l’archeologo Francesco D’Andria, primo attore e sostenitore di quest’avventura, per fornire le ultime novità e rimarcare l’importanza del lavoro già fatto.
Tra gli ultimi reperti emersi dagli scavi a Castro, nella zona del Tempio di Minerva, ci sono alcuni morsi di cavallo in bronzo, ma c’è, soprattutto, una testa di ariete in avorio che risale al IV secolo a.C.
Si tratta di una scoperta importante: l’unica scultura in avorio di età storica trovata in Puglia e la cui manifattura, come ha spiegato D’Andria, sembra la stessa delle tombe di Filippo II di Macedonia, a Salonicco.
«L’avorio - ha spiegato D’Andria - era una materia lavorata negli atelier reali, e questo vuol dire che la scultura quasi certamente è un dono alla dea Atena fatto da un re che veniva dalla sponda opposta. Probabilmente questa scultura ha fatto parte di uno stock di doni che i re dell’Epiro, che avevano contatti con la Macedonia, lasciarono al santuario di Castro».
L’importanza di questo e degli altri reperti - si è saputo ieri - verrà consacrata dall’esposizione dei pezzi, e tra questi dei “fregi” che sono stati ritrovati nella zona di scavo, in una mostra che si terrà dopo l’estate a Roma, al Museo dell’Ara Pacis, e che durerà tra i due e i tre mesi.
Una vetrina importantissima che ospiterà anche, come ha ricordato poi il sindaco di Castro Alfonso Capraro, il busto della statua d’Atena.
«Va detto che presso l’Ara Pacis - ha ricordato D’Andria - sono presenti dei fregi a girali in marmo che sono di età augustea (primo secolo dopo Cristo), mentre i fregi in pietra leccese con girali floreali di Castro, che presentano all’interno dei motivi con figure di animali o persone, di raffinatissima fattura, risalgono ad almeno 200-300 anni prima (III a. C.). Sono stati inventati a Taranto da artigiani salentini che hanno realizzato l’altare di cui è stata trovata a Castro la balaustra, in pietra leccese. E sono dei capolavori assoluti che sembrano prefigurare il barocco leccese».
I fregi saranno ora studiati anche dalla professoressa Caneva dell’Università di Roma che ha studiato proprio la simbologia delle specie botaniche del fregio dell’Ara Pacis.
«Finora si pensava che l’origine dei fregi dell’Ara Pacis fosse a Pergamo in Asia Minore - ha detto D’Andria - invece non si trattava di Pergamo, ma di Taranto e della Macedonia. E c’è una continuità, il clima culturale artistico è lo stesso».
Le ricerche e gli scavi di Castro, è stato ricordato, sono stati finanziati con i Poin, e in parte sostenute da un privato, Francesco De Sio Lazzari, figlio del celebre geologo Antonio Lazzari al quale è intitolato il Museo di Castro.
Oltre al sindaco di Castro Capraro e a D’Andria, responsabile scientifico delle attività di ricerca, sono intervenuti all’incontro Loredana Capone, assessore alla cultura della Regione; Maria Piccarreta soprintendente per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto; lo studioso Salvatore Bianco; Amedeo Galati, archeologo responsabile del settore di scavo in località Capanne e Luigi Coluccia, archeologo responsabile del settore di scavo in località Palombara.
© RIPRODUZIONE RISERVATA