I fanatici da cameretta e il terrorismo “dell’io”

I fanatici da cameretta e il terrorismo “dell’io”
di Giorgia SALICANDRO
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Venerdì 2 Giugno 2017, 21:14
Il raduno di Utøya, il club Pulse, la promenade di Nizza, il mercatino di Berlino: sulla grande mappa della contemporaneità questi e altri luoghi sono segnati come simboli del fanatismo stragista accanto al World Trade Center e al Bataclan di Parigi. Eppure, dietro agli attentati moltiplicatisi negli ultimi anni sotto il cappello della jihad - e non solo - vi sono dinamiche differenti e complesse. Federico Mello ha ripercorso questa storia recente di fanatismo attraverso un’ottica inconsueta, che mette da parte religione e politica per concentrarsi piuttosto su «paranoia, narcisismo e problematiche antisociali» esasperati nell’epoca di Internet.
“La viralità del male” (Baldini e Castoldi) è il titolo del saggio scritto dal giornalista originario di Lecce ma che da diversi anni vive a Roma, dove attualmente collabora con Rai Radio Uno. Esperto di media, nel suo precedente lavoro, “Le confessioni di un Nerd Romantico”, Mello ha indagato sui condizionamenti operati dal social network; ne “La viralità del male” la rete ritorna come veicolo in grado di potenziare i deliri dei “fanatici da cameretta”, personaggi radicalizzatisi “last minute” e in completa in solitudine. Senza negare il consueto paradigma analitico di stampo geopolitico, Mello si concentra tuttavia sulle biografie dei molti attentatori che poco o nulla hanno a che fare con il sistema del terrorismo internazionale.
Che cosa hanno in comune personaggi come Anders Breivic, l’ultranazionalista attentatore di Oslo, con Andreas Lubitz, il pilota della Germanwing che si è suicidato facendo schiantare al suolo un volo con a bordo 150 passeggeri, e ancora con Anis Amri, lo jihadista attentatore del mercatino di Natale a Berlino?
«Sono tutte figure che pensano di poter sacrificare la vita di persone innocenti in funzione di un ideale superiore. In sostanza, sono dei fanatici. Il fanatismo prescinde dai contenuti, si basa piuttosto sull’intensità di un determinato pensiero. Mettendo l’una accanto all’alta queste storie, poi, vediamo che emerge una forma di fanatismo inedita rispetto a quello classico».
Quale?
«In questi nuovi casi nuovi manca la dimensione collettiva. C’è piuttosto una suggestione personale che si sviluppa spesso tramite Internet, in modo totalmente sganciato dal contesto. Tra i nuovi fanatici, inoltre, molti ricercano semplicemente la fama, una forma di affermazione personale, il tentativo di uscire dall’anonimato attraverso una morte spettacolare: sono quelli che io chiamo “i fanatici dell’io”».
Le è stato contestato di affrontare una questione religiosa e di geopolitica - la guerra del Califfato contro l’Occidente e per la conquista del Medio Oriente - attraverso un’ottica di mero psicologismo.
«L’intento del libro è di rispondere a un’ideologia, molto comune tra i giornalisti di destra, che dietro a ogni atto di terrore rintraccia a tutti i costi un legame con il fanatismo islamico. In realtà buona parte delle storie ci dice che non è così: si tratta di personaggi sostanzialmente slegati dalla rete del terrorismo internazionale. Queste storie contribuiscono a dimostrare che i problemi del mondo moderno non sono tanto legati a una guerra di religione, quando alla diffusione del fanatismo a ogni livello».
Qual è il quadro psicologico tipico del “fanatico da cameretta”?
«Il fanatico da cameretta vive in una bolla alimentata da Internet. È chiaro, naturalmente, che alla base di questi estremismi ci sono forti problemi psichici. Tuttavia va ricordato che se la rete è stata accolta inizialmente come il canale che avrebbe permesso un ampio confronto tra opinioni diverse, in realtà ciò che è accaduto è che i social network, a causa dei loro meccanismi specifici, hanno costruito delle nicchie di opinioni che alimentano complottismi e fanatismi di ogni tipo».
Una condizione perché si sviluppi l’esaltazione fanatica è, scrive, l’“ignoranza pluralistica”. In che modo Internet incoraggia questa tendenza?
«Ignoranza pluralistica è ritenere un’opinione universalmente valida perché la propria “tribù” di riferimento la approva. Mostrando la popolarità delle opinioni tramite i like, il numero di condivisioni e di commenti, Internet crea una sorta di “senso comune” anche in presenza di opinioni estreme, che dal vivo difficilmente verrebbero sostenute».
Quali anticorpi vanno sviluppati contro tutto questo?
«Il compito di tutti è accettare l’idea che non esistono verità assolute. Va difeso un “patto dei ragionevoli” che preservi il nostro vivere comune dalla guerra di tutti contro tutti. Una proposta concreta per “uscire dalla bolla”, che caldeggio fortemente, è poi quella di istituire una squadra di giornalisti del servizio pubblico esclusivamente dedicata a smontare le bufale che circolano online».
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