«Giornalisti e fake news, a rischio la deontologia»

«Giornalisti e fake news, a rischio la deontologia»
di Adelmo GAETANI
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Mercoledì 31 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 23:40

«Quando un giornalista è chiamato a parlare di informazione e della necessità che le notizie vengano vagliate e diffuse da professionisti del settore, c’è sempre il rischio che qualcuno possa pensare che si tratta di parole pronunciate in difesa di una casta. Ma non è affatto così, perché al dovere dei giornalisti di informare correttamente corrisponde il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. E’ questa convergenza di interessi che fa del giornalismo professionale un bene prezioso da tutelare e sostenere, soprattutto in un momento in cui la diffusione incontrollata di fake news, veicolate dai social, può determinare pericolosi fenomeni distorsivi». 

A parlare è Elio Donno, presidente del Consiglio nazionale di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti, l’organismo deputato a perseguire le violazioni delle regole fissate a presidio della professione. Iscritto all’Ordine di Puglia dal gennaio 1959, Donno - che il 2 settembre riceverà ad Alezio il Premio Maglio alla Carriera - ha affiancato alla sua intensa attività pubblicistica il fattivo impegno nel governo degli organi professionali maturando un’esperienza e una profonda conoscenza della materia deontologica tanto da essere chiamato al delicato incarico di “Custode delle regole” che ora ricopre.

Presidente, giusto in linea di principio quanto è stato già detto, ma nella sostanza quali garanzie di imparzialità e di correttezza dell’informazione i giornalisti possono offrire e offrono concretamente ai cittadini?

«La nostra stella polare è l’art. 2 della legge istitutiva dell’Ordine che pur risalendo al 1963, sul punto in questione è di particolare attualità tanto da sembrare scolpita sul marmo. E’ l’articolo che fissa diritti e doveri del giornalista riconoscendo la libertà di informazione e di critica, ma allo stesso tempo indicando come obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti. Questi due punti sono l’alfa e l’omega del lavoro giornalistico, perché da una parte tutela la libertà di informazione, anche rispetto ai rischi di censura delle opinioni personali, dall’altra fissa dei paletti a garanzia di un’informazione corretta».

Eppure, accade che lo stesso episodio venga presentato dalla stampa in modo diverso o addirittura con chiavi di lettura contrapposte. Che fine fa la verità sostanziale dei fatti?

«È il pluralismo dell’informazione che deve sanare questa contraddizione apparente, perché dove l’informazione è pluralista e si esprime con diverse voci, c’è libertà e democrazia».

Basta questo perché i cittadini possano essere certi di ricevere una corretta informazione?

«No, infatti abbiamo uno strumento di verifica, non censorio naturalmente, che è dato proprio dalle sanzioni ai giornalisti per violazioni deontologiche erogate dai Consigli regionali, in prima istanza, e dal Consiglio nazionale di disciplina. La deontologia serve proprio a garantire che il pluralismo dell’informazione non sia inquinato da falsità, da fatti inventati o da pseudo-verità. I cittadini lettori o ascoltatori devono sapere e toccare con mano che a livello di giornalismo professionale le regole si rispettano proprio per garantire i principi prima richiamati. E vanno rispettate sia nella sostanza che nella forma».

Qualche esempio concreto?

«La deontologia interviene con sanzioni quando vengono superano i limiti di continenza come ci capita di osservare in molti talk show con giornalisti noti che ignorano il principio dell’appropriatezza del linguaggio non rendendosi conto che in tal modo mettono in cattiva luce la professione; allo stesso tempo sono anche di cattivo esempio per i giovani che si avvicinano al giornalismo. Un tema caldo è anche quello relativo alla violazione della privacy. Accade non raramente che per illustrare un fatto di cronaca la storia che coinvolge i protagonisti viene condita con elementi estranei andando a cercare connessioni con amici e parenti non direttamente coinvolti. Spesso prevale il gusto del gossip o la tendenza ad arricchire la notizia con particolari scabrosi - come nel caso delle violenze sulle donne - a costo di violare il diritto alla privacy di persone già fortemente colpite e in difficoltà psicologiche».

Il giornalismo professionale oggi deve misurarsi con il dominio dei social, quel controverso ed enorme mondo internettiano dove circola di tutto e di più. Che fare?

«E’ mia convinzione che quel mondo non va pregiudizialmente criminalizzato, ma attentamente osservato.

Quella dei social è una realtà poliedrica che può andare e nei fatti va da una forma artigianale del cosiddetto ‘citizen journalism’ allo spaccio seriale di notizie false. I social, poi, sono ormai lo strumento preferito da politici e in generale dai vip per comunicare: impossibile farne a meno. E’ un meccanismo impossibile da scardinare. Allora tocca a noi distinguere e dialogare con la parte buona e utile e combattere la parte cattiva e dannosa dei social».

Come si riconosce la parte buona?

«Beh, basta fare riferimento alla quantità di notizie, foto e denunce sui diversi aspetti della vita pubblica che ogni giorno si possono trovare sui diversi social. Prima c’erano gli esposti o le lettere ai giornali, oggi c’è un fai-da-te, con spunti tempestivi anche dalle periferie, che a volte risulta utile anche al giornalismo professionale. Certo il giornalista ha il dovere di vagliare e verificare la segnalazione prima di utilizzarla, esattamente come accadeva prima con le lettere o i documenti anche anonimi che arrivavano in Redazione».

E la parte cattiva dei social come si contrasta?

«Dobbiamo sapere che quel flusso negativo di comunicazione non può essere interrotto in modo automatico perché non si può entrare nella testa delle persone, né è materialmente possibile intervenire a priori. Allora, bisogna sapersi difendere facendo ricorso costantemente alla verifica che resta lo strumento più efficace a nostra disposizione per combattere le fake news, le suggestioni, i meccanismi di alterazione dei fatti e lo stesso linguaggio insultante, violento e/o di odio. A tale proposito va detto che al giornalista non è consentita l’arte dello sdoppiamento: in sostanza, non può usare un linguaggio accorto quando scrive sul giornale per poi dare il peggio di sé quando si affaccia sui social. Giornalisti si è sempre e in tutte le ore, quindi nessuna deroga alle regole deontologiche».

Per i giornalisti la verifica di ogni notizia è un dovere, ma per il semplice cittadino?

«Anche il cittadino deve avvicinarsi con cautela ed accortezza ai social. Quando si legge qualcosa che non proviene da fonte qualificata o che solleva un qualsiasi dubbio, immediatamente deve scattare un controllo che, in modo non semplice ma neanche impossibile, può essere effettuato confrontando diversi siti e fonti in modo da poter pervenire ad una valutazione quantomeno attendibile. Combattere le fake news e intervenire per interrompere il circuito infernale che le alimenta dev’essere considerato dovere sociale e, per evidenti ragioni, non può essere un compito demandato ai soli giornalisti».

Accade che il giornalismo professionale si culli nella sua autoreferenzialità, porta d’accesso all’esibito senso di infallibilità che finisce con l’infastidire e allontanare il lettore. E’ solo una sensazione o c’è qualcosa di vero?

«I problemi sono due: il primo riguarda i cittadini che dovrebbero poter credere a quello che leggono sulla carta stampata, sui giornali on line o che ascoltano in tv, considerando che a correggere eventuali distorsioni o forzature interviene il pluralismo; ma ai cittadini deve essere riconosciuto il diritto di intervento e di rettifica laddove la notizia non sia fondata o contenga inesattezze. A tale proposito, va sottolineato che la rettifica è un obbligo dello stesso giornalista, anche prima di un’esplicita richiesta, se si rende conto di avere sbagliato. Se non lo fa può essere sanzionato, come espressamente stabilisce il Testo unico del 2020 sui doveri del giornalista».

Siamo ancora in tempo per mettere la buona informazione al riparo dal cannibalismo delle fake news?

«Forse sì, ma non c’è molto tempo per correggere le cose che non vanno. In particolare, tocca ai giornalisti - ai quali vanno garantiti diritti e condizioni di lavoro in linea con il rilievo sociale della professione - essere più esigenti con se stessi e credibili agli occhi dei cittadini, attenendosi alle regole deontologiche e promuovendo un’informazione di qualità e di servizio. Ma anche il lettore e/o ascoltatore deve saper scegliere e distinguere il grano dall’oglio. E’ questa convergenza di scelte virtuose il baluardo sul quale far crescere un’offerta informativa plurale e qualitativamente in sintonia con una società libera e democratica». 

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