La casa degli angeli. Ma sarà poi vero? Per averne idea o conferma, basta darle un'occhiata, è una chiesa, tanto più che si è creata l'occasione per raggiungerla in quella zona che mezzo secolo fa era la periferia est di Taranto ed oggi è un quartiere popoloso e commercialmente tra i più validi. Oggi, proprio oggi, con il contorno di tutte le doverose celebrazioni, la Concattedrale di Taranto, la casa degli angeli, opera dell'architetto Gio Ponti, compie mezzo secolo.
Fu inaugurata infatti il 6 dicembre 1970, poche ore prima del tentato golpe di Borghese. La posa della prima pietra era avvenuta nel 1967, mezzo miliardo di lire il costo. Un tempo abbastanza ragionevole tra il primo e il secondo avvenimento, con Ponti, il mastro, il maestro dell'architettura moderna italiana (e non solo, nato a Milano nel 1891, studi al Politecnico dove poi avrebbe lungamente insegnato) spesso seduto ad un improvvisato tavolo di lavoro nel bel mezzo del cantiere (immagine rimandata dagli archivi) con in testa una scazzetta, il cappelluccio del muratore che invece di essere fatto di carta sembra, nelle foto riconsegnate dagli archivi, il colbacco dei fratelli Caponi quando arrivano a Milano (Totò e Peppino in un celebre film di Mastrocinque). Ma il freddo in quel dicembre c'è e si fa sentire più di adesso. Sono anni ormai che Gio Ponti frequenta la città dei due mari, interpellato e stuzzicato negli intenti da Guglielmo Motolese, il potentissimo arcivescovo che coltiva tanti progetti di rinnovamento. Del resto in Vaticano Giovanni Battista Montini, il pontefice Paolo VI, nel clima postconciliare si è già mostrato un teorico dell'apertura all'arte: Bisogna ristabilire l'amicizia fra la Chiesa e gli artisti ha detto, incontrandoli, sotto la volta della Cappella Sistina. Figurarsi che musica è stata per le orecchie di uno come Ponti che ha passato la vita a scansare, appena possibile, l'appellativo professionale di architetto: Artista invece di architetto, perché non si creda che architettare voglia dire solo costruire, dichiara pimpante. Architettura è costruire da artista. Ed allora ecco il più completo architetto italiano d'ogni tempo, come lo hanno definito fiori di competenti (dagli edifici alla Superleggera, la sua celebre sedia), lasciare briglia sciolta alla sua fantasia e partorire questa idea degli angeli. Passino gli 87 metri per 35 della navata unica ben alta da terra, alla quale si accede da una lunga scalinata preceduta da una sequenza di vasche riempite d'acqua; passi per la cripta; passi per il cemento a vista e quel colore verdino dominante ovunque, un Verde Ponti del tutto speciale.
Ma se la fantasia deve volare, ebbene allora salga, salga fin lassù, in cielo, abbarbicandosi a quella parete alta 40 metri, tutta traforata, che rispetto alla chiesa è come una quinta volendo teatralizzare il concetto di cupola. Un'immensa parete traforata che si staglia sull'orizzonte. Una volta, mezzo secolo fa, lo chiudeva quell'orizzonte essendo questo il limite estremo della città, una zona di assoluto degrado popolata di baracche di legno e ferro dove trovavano casa gli umili. Invece adesso è lì, fra i giochi di quel traforo di cemento, che gli angeli trovano casa per riposare. Magari sono loro gli antenati mai dimenticati delle baracche, gli zeri del mondo, come canterebbe qualcuno, che complici la Chiesa, Ponti e l'amore hanno trovato finalmente pace. Bartolomeo Pietromarchi, direttore della sezione Arte del Maxxi, il museo del ventunesimo secolo che ha sede a Roma (ed ha ospitato una colossale esposizione dell'opera omnia di Ponti, così come ha fatto il Museo delle arti decorative di Parigi, così come si appresta a fare Taranto, nel Museo diocesano, non appena sarà stata archiviata l'emergenza sanitaria), Pietromarchi dunque ha dichiarato una volta che ormai non c'è più bisogno dell'arte sacra. La sacralità era importante per il mondo antico. Oggi è superata. È la spiritualità ad essere attuale. E l'opera di Gio Ponti è perfettamente confacente a questo criterio.
Entrare nella Concattedrale di Taranto, come ha spiegato su queste colonne il giovane architetto napoletano Giuliano Dell'Uva, uno dei più recenti illustri visitatori, è un'esperienza sensoriale e sentimentale con pochi uguali. Nel vasto silenzio che la inonda, la Fede smette di essere una parola indecifrabile per chi non crede. Per attenersi all'esegesi perfetta dell'imponente manufatto, bisogna poi doverosamente accogliere anche la più concreta tesi in vigore. Quei quaranta metri sono infatti, nelle dichiarazioni del progettista, la vela di una nave che ha di fronte il suo specchio d'acqua, simbolizzato dalle vasche. Taranto è una città di mare. Le era dovuto. E che la Gran Madre di Dio, alla quale la chiesa è intitolata, vegli per sempre su quel mare e sulla città senza inficiare il valente operato di San Cataldo, il patrono in carica. Resta poi da vedere se tutto questo i tarantini lo abbiano capito. Difficile a dirsi, né per una cattedrale così moderna sono previsti i sopratitoli come si fa a teatro con la lirica.
La certezza che non abbiano capito molto bene sta nel fatto che periodicamente le vasche, satelliti della Concattedrale, debordino degrado costringendo l'amministrazione comunale a ripetuti interventi.
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