Animali, luci, fantasia nella fuga di Dellerba

Animali, luci, fantasia nella fuga di Dellerba
di Carmelo CIPRIANI
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Martedì 12 Ottobre 2021, 05:00

Franco Dellerba? Un tumultuoso che cerca il silenzio per lavorare; uno studioso della natura che sfugge alla cultura; impertinente ma con discrezione; un megalomane che non trascura i piccoli dettagli; un illogico che racconta storie credibili; non mangia pesci ma li sogna; un generoso che sa dire di no; uno stabile che ha voglia di volare. Un usignolo che canta sui rami e non sa quanta gioia gli dà”. 

Così Marilena Bonomo, compianta gallerista barese, sua storica amica e sostenitrice, ha definito Franco Dellerba. Definizione che, dietro l’impianto poetico, bene illustra le coordinate essenziali della sua ricerca, tutte rintracciabili nel silenzio, nella natura e nel sogno. Due nuove mostre sono state organizzate per celebrare l’artista di Rutigliano, tra i più interessanti della sua generazione: una più impegnativa e organica, nel castello di Copertino (fino al 30 ottobre), a cura di Pietro Copani e Lorenzo Madaro, l’altra più ridotta, organizzata da Lucilla Tauro nella sua Galleria Cattedrale a Conversano, intitolata “Divertendomi” (si è appena conclusa). Quest’ultima una dichiarazione di poetica (l’artista di sé dice: “Ho sempre lavorato divertendomi”) tradotta in un percorso succinto e avvolgente; un amichevole omaggio imbastito con opere scelte più che un riesame ragionato della sua produzione.

La mostra di Copertino

Ma concentriamoci sulla mostra di maggiore impegno in termini di spazi e opere, quella salentina. Il castello copertinese, gestito dalla Direzione Regionale dei Musei di Puglia, con la piazza d’armi, i vani sotterranei, i lunghi saloni ai lati del cortile e gli ampi vani interni alle torri, è di quelli che bene si prestano ad ospitare la scultura. La vastità degli spazi infatti consente un allestimento arioso e, talvolta, delle collocazioni suggestive, in cui bene si coglie il dialogo tra opera e contesto. 

La mostra di Dellerba propone una selezione ragionata di opere storiche e un nucleo di diversi cicli che hanno interessato il suo lavoro negli anni Novanta e nei tempi più recenti. “La fuga” è il titolo scelto, che immaginificamente rinvia al cavallino a dondolo lanciato al galoppo, opera degli anni Settanta tra le più celebri dell’artista, che non a caso i curatori hanno scelto come opera-manifesto.

Tuttavia, dietro l’ironia, l’opera, come molte altre dell’artista, cela un significato più profondo: la fuga è quella da una realtà greve, problematica, compromessa, a prescindere dalla pandemia che ne ha ulteriormente aggravato le condizioni sanitarie, sociali ed economiche. Il rimedio a una realtà difficile è per Dellerba il rifugio nel sogno, in una favola popolata da animali colorati e strani oggetti, gli uni e gli altri sempre riconoscibili e quindi apparentabili, paradossalmente, a quella stessa realtà dalla quale vogliono fuggire e dalla quale tuttavia si discostano per alcuni dettagli estranianti. Le sue sculture si pongono dinnanzi allo spettatore come viatici verso le vie della fantasia.

Come una favola

Una favola dicevamo. Non una qualunque ma specificatamente pugliese, quella delle luminarie, tradizione ancestrale che Dellerba ripercorre e rielabora fin dagli anni Settanta, in controtendenza agli artisti suoi conterranei, impegnati in quegli anni a ritrarre un’immagine stereotipata della Puglia, fatta di contadini, uliveti e gravine.

Le luminarie costituiscono l’elemento attraverso cui ripercorrere le origini collettive e sondare una comune tradizione. Per lui ritornare al passato equivale a procedere verso il futuro. 

Partito da agglomerati di telai senza un senso apparente e una forma predefinita, nati in seguito all’incontro con Paolicelli, tra i principali maestri pugliesi della luminaria, l’artista ha poi recuperato le forme del gioco e della quotidianità. Dellerba nel suo quotidiano operare si appropria di oggetti appartenenti a contesti eterogenei, assai comuni o addirittura residuali, per nobilitarli nella dimensione superiore dell’arte. Logica e antologica (così si intitolava una sua personale organizzata dalla già citata Marilena Bonomo) sono i poli tra i quali si dipana per intero la sua ricerca. Legno, terracotta, luci, materiali di risulta e objets trouvés, molti sono i materiali con cui dà forma al suo immaginario, talvolta utilizzati per riprodurre animali, soprattutto uccelli e pesci. Il pinguino e il martin pescatore, in particolare, sono gli animali prediletti, sospesi tra spazi eterogenei, tra mare, terra e cielo, metafora dell’artista in bilico tra passato e futuro. 

Il lavoro di Dellerba dialoga con lo spazio, talvolta nasce pensando già allo spazio che lo ospiterà, al quale s’impone ma con discrezione, generando un dialogo non subalterno ma paritetico.

La mostra copertinese, visitabile dal martedì al sabato, dalle 8.30 alle 13.30, rientra nel ciclo della rassegna “Incontemporaneo” e - in continuità con quelle già dedicate a Baldo Diodato e Pietro Guida - persegue un duplice impegno: da un lato la storicizzazione di alcuni maestri meridionali del secondo Novecento, dall’altro l’investigazione della scultura nelle diverse sue declinazioni.

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