L'intervista/Fistetti: «Dal Novecento dei filosofi l'antidoto alla nostra onnipotenza»

La presentazione mercoledì al Palazzo d'Ateneo di Bari

L'intervista/Fistetti: «Dal Novecento dei filosofi l'antidoto alla nostra onnipotenza»
di Claudia PRESICCE
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Martedì 16 Novembre 2021, 05:05

Nei paesi ricchi e in quelli poveri, allo stesso modo, tutti gli uomini hanno diritto alla vita. E la filosofia del ‘900 ci aveva spiegato che per assicurare a tutti questo diritto bisognava preservare l’ecosistema, quello in cui sono incastonate tutte le società umane. Come fare? Estendendo a tutte le manifestazioni umane una corroborante cultura del ‘limite’. 
“Il Novecento nello specchio delle filosofie” (Utet; 35 euro; 608 pagine) di Francesco Fistetti, professore ordinario di Storia della Filosofia e Storia delle Filosofie Contemporanee nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Bari, che verrà presentato domani a Bari, presso il Palazzo Ateneo alle 11.30, è un libro costruito come una sorta di ‘mappa filosofica’ divisa nelle aree tematiche del pensiero occidentale del secolo scorso, quello di cui siamo figli diretti, o forse un sequel un po’ scolorito. Tra le pagine si potranno ritrovare anche gli albori delle emergenze del dibattito contemporaneo, le discriminazioni e le storture sociali dalle donne a tutti gli ‘ultimi’, la necessità di una pacifica convivenza tra i popoli del mondo che garantisca l’esistenza nel pianeta per tutti, il convivialismo, e tutti i temi riannodabili alla Filosofia della “cura”.
Quello non più procrastinabile? Il rapporto perverso tra uomo e ambiente. I grandi filosofi del ‘900 ci avevano già indicato la strada, denunciando che rispetto alla Terra l’uomo aveva attuato un meccanismo di predazione e manipolazione che andava interrotto. Purtroppo non li abbiamo ascoltati... 
L’umanità oggi si trova ad affrontare sfide che erano state identificate da grandi filosofi del ‘900 e lei, professor Fistetti, lo spiega in vari capitoli del suo libro. Anche sull’ambiente. 
«La figura del filosofo con l’ingresso nell’età della globalizzazione ha messo in luce un complesso di problemi che l’umanità tutta oggi si trova ad affrontare, e tra questi certamente c’è la sfida ambientale, della vita sul pianeta. Oggi la riflessione filosofica non può prescindere dalle catastrofi ambientali che la modernità ha provocato. Tutti gli effetti perversi sul pianeta sono frutto del prometeismo dell’ “homo faber”, cioè della illusione di onnipotenza che l’uomo ha coltivato nella modernità e nella contemporaneità attraverso un progetto di dominio della natura. Filosofi del ‘900 come Gunther Anders, Hans Jonas, Hannah Arendt, ma anche lo stesso Heiddeger, hanno denunciato questa pulsione di onnipotenza che l’uomo moderno ha nutrito credendosi padrone e signore della natura. La natura è stata, non addomesticata dove pericolosa per l’uomo, ma manipolata nei suoi equilibri profondi. Quindi non c’è stato uno scambio, un dare e ricevere, non c’è stato rispetto per equilibri e dinamiche della natura, ma assoggettamento cieco all’illusione di onnipotenza umana. La natura è stata considerata materia inerte, mentre invece è un organismo vivente a tutti gli effetti, con la sua preziosa biodiversità e con le sue interazioni di vario tipo con l’uomo». 
Parlando di “prometeismo dell’homo faber”, quei filosofi muovevano quindi una critica alle società umane occidentali.
«Hanno proprio inteso denunciare la prevaricazione dell’uomo sulla natura. Prometeo mitologicamente è stato un liberatore per l’uomo perché gli ha donato il fuoco. Ma poi il prometeismo si è rovesciato contro l’uomo, perché devastando la natura ha provocato effetti perversi che stanno portando a catastrofi definitive».
Se avessimo ascoltato quei filosofi del ‘900…
«Se avessimo ascoltato le voci dei filosofi che hanno denunciato con largo anticipo l’illusione di onnipotenza umana, avremmo stabilito con la natura un rapporto diverso, un ‘contratto naturale’ come diceva Michel Serres. Cioè un contratto in cui uomo e natura sono soggetti paritari che devono tener conto delle istanze insopprimibili di entrambi: invece la natura è stata ridotta a pura materia manipolabile, saltando i suoi ritmi vitali imprescindibili. Si pensi alla foresta amazzonica che non solo è un polmone del pianeta, ma è anche luogo che ospita culture ‘altre’ che non sono quelle della razionalità occidentale, fondate sulla sottomissione dell’ambiente e sulla sua devastazione. Ci sono lì gruppi umani che vivono in armonia con la natura, e il famoso Pachamama non è altro che la loro visione della Madre Terra”.
In qualche modo il suo ragionamento porta anche a Papa Francesco. 
«Certo, nella sua enciclica “Laudato si’ ” il Papa ha messo l’accento su queste culture altre del pianeta che hanno rispettato la natura, che è stata invece devastata da noi. Papa Francesco si è fatto portatore di questo filone ecologico di critica del progresso ‘distruttivo’, non del progresso in generale si badi bene…». 
Nel suo libro spiega anche che il ‘900 ci ha insegnato che la sfida della convivenza non può prescindere dal garantire il diritto alla vita del genere umano. 
«È la proposta della cultura del limite, che si lega poi a quello che dicevamo sull’ambiente.

Se si riconosce nell’uomo ‘occidentale’ l’homo faber, quello cioè che coltiva una razionalità distruttiva (al di là cioè della sua collocazione geopolitica), si capisce quanto abbiamo bisogno di un’etica globale nuova che ci restituisca il rispetto delle culture e il rispetto della dignità umana. Oggi la dignità umana viene violata sotto molteplici forme, diseguaglianze sociali si vanno esacerbando nelle società occidentali, tra paesi ricchi e poveri, ma anche disparità culturali, sociali, tra identità e generi, cose troppo spesso negate e cancellate con violenza. Abbiamo bisogno di questa etica globale che viene fuori come esito delle riflessioni dei filosofi come Gunter Anders, Hannah Arendt, non dimenticando anche Marx che delle disuguaglianze sociali si è molto occupato. All’interno di questa nuova etica si colloca una cultura del limite, che faccia prendere atto della finitezza delle risorse ambientali, della finitezza della terra, dell’ecosistema e dell’uomo: una cultura del limite sfocia quindi in una cultura della cura, del prendersi cura dell’uomo, della terra e degli ‘ultimi’ nelle tantissime declinazioni del termine». 

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