La rivoluzione culturale dell’indipendenza greca

La rivoluzione culturale dell’indipendenza greca
di Claudia PRESICCE
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Mercoledì 27 Ottobre 2021, 05:00

Sono passati duecento anni dall’inizio di quella Rivoluzione greca che vide partire patrioti e intellettuali, italiani ed europei, alla volta del Peloponneso per sostenere la lotta di liberazione contro gli oppressori ottomani scatenata dai ribelli greci. “Il Filellenismo nella cultura italiana dell’800” è il titolo del convegno che si svolgerà oggi e domani a Palazzo Codacci Pisanelli, nell’Aula Ferrari, e racconterà echi di quei giorni del 1821 e tutti i colori della Grecia da sempre culla riconosciuta della civiltà occidentale.
«Accanto alle importanti celebrazioni dantesche, questo 2021 avrebbe dovuto avere uno sguardo più incisivo anche sul bicentenario della rivoluzione greca» sostiene Andrea Scardicchio che insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università del Salento ed è, con Chrysa Damianaki, nell’organizzazione scientifica del convegno. Prescindendo da un amore atemporale nei confronti della cultura greca, il termine “filellenismo” ha una storia ben contestualizzata.

Scardicchio spieghiamo che cosa esprime esattamente?

«È un atteggiamento di sensibilità, dimostrato soprattutto nell’Europa nell’800, nei confronti del dramma che colpiva la Grecia, ‘schiava del turco oppressore’ e che confluì nell’appoggio ai moti del 1821 di cui ricorre quest’anno il bicentenario. Il filellenismo era il risvolto ‘politico’ di un programma culturale che si può far risalire già alla seconda metà del ‘700 legato alle scoperte archeologiche, ai resoconti di viaggi in Grecia di quegli anni e anche ai principi della Rivoluzione francese di fratellanza, libertà ed egualitarismo che trovarono sponda nella cultura ellenica. Nacque allora una forma di illuminismo neoellenico che vedeva coincidere la riscoperta della Grecia antica e dei suoi valori insieme a quella contemporanea. Gli europei non potevano restare indifferenti al dramma dell’asservimento al dispotico potere turco, pur assumendo la consapevolezza dell’abbrutimento delle popolazioni della Grecia moderna rispetto a quella antica colta e raffinata. Le potenze europee compresero che la Grecia non andava considerata più come appartenente al quadrante orientale, ma rientrava nell’alveo della grande famiglia dell’Europa occidentale. Era il nido del patrimonio culturale comune a tutti i popoli d’Europa e andava dunque salvaguardata».

I paradigmi culturali dell’antica Grecia in quel tempo assetato di idee nutrienti per la libertà e la democrazia dovettero avere un forte appeal.

«Certamente, fu quella l’epoca del grande fervore degli studi classici, filologici, linguistici e di riflessioni importanti riconducibili alle traduzioni. Capire l’importanza della Grecia classica e commisurarla allo stato di imbarbarimento moderno palesava agli occhi dell’Europa il dramma della ‘nazione sorella’, come recitava uno slogan diffuso allora in Italia. Quindi negli anni Venti dell’800 questi studi ebbero anche una ricaduta politica: riscoprire la Grecia classica significava contribuire alla liberazione della Grecia moderna.

Ci fu chi andò materialmente a combattere e chi continuò ad approfondire e divulgare la cultura antica».

Nel 1821, di cui ricorre quest’anno il bicentenario, iniziò la rivoluzione per l’indipendenza greca.

«Sì, in stretta sincronia con i moti rivoluzionari italiani, nel 1821 scoppiarono i primi moti di indipendenza nazionale nel Peloponneso e da lì in poi ci fu una concatenazione di eventi che portarono nel 1830, con il Protocollo di Londra, alla formazione del primo Stato greco finalmente libero dai turchi, guidato da Giovanni Capodistria. Gli italiani, e altri europei, sospirarono per questa rivoluzione, e parteciparono sia fornendo approvvigionamenti ai ribelli e sia con opere e produzioni intellettuali e artistiche che rievocavano gli avvenimenti in corso. Pensiamo al celebre dipinto di Delacroix “La Grecia spirante sulle rovine di Missolungi”, che racconta una battaglia importante in cui trovò la morte il celebre George Byron, anche lui partito in soccorso dei greci. Anche in Italia abbiamo il caso del patriota Santorre di Santa Rosa che morì da eroe, sempre in Grecia, ma nella battaglia di Sfacteria nel ’25, e ce ne furono altri arrivati a combattere da tutto il Paese per i fratelli greci. Nel Salento va ricordata l’opera di diffusione delle istanze filelleniche del circolo degli ellenofili di Calimera nella seconda metà dell’800, organizzata da Vito Domenico Palumbo di cui si parlerà anche nel convegno».

Della rivoluzione d’indipendenza greca si parla negli studi storici italiani?

«In realtà si dedica poca attenzione al percorso di costruzione dello Stato greco moderno nella manualistica e negli studi storiografici nostrani, ed è strano vista la massiccia partecipazione degli italiani. Restano articoli iper-specialistici, ma manca una riflessione continua che ricolleghi il nostro paese alle sue origini culturali classiche e quindi al rapporto con la Grecia. Anche la lunga tradizione dei greci esiliati in Italia nei secoli racconta un importante travaso di idee e un contributo culturale fondamentale, pensiamo ad Ugo Foscolo. Ci soffermeremo al convegno soprattutto sul contributo degli intellettuali italiani e greci impegnati rispettivamente nelle dinamiche culturali dei paesi ospitanti e pure legati alla celebrazione della propria madrepatria. Il filellenismo è stato un progetto culturale vero e proprio che si reggeva sulla narrazione dei momenti topici della storia greca…».

Oggi che cosa è rimasto di quel filellenismo?

«Difficile parlare oggi di filellenismo se non legandolo ad una semplice forma di ammirazione della storia greca, e anche dello sforzo per il superamento della grave crisi economica e sociale recente. I Greci nonostante tante difficoltà restano un popolo sempre fiero e orgoglioso del proprio passato”. Talvolta si riaccendono i fari sulla Grecia quando qualcuno si ricorda dov’è nata la democrazia. “Certo, la Grecia è da sempre un parametro storico ineludibile di libertà e democrazia. E anche per questo risultò intollerabile agli occhi degli europei la dittatura ottomana contro cui duecento anni fa partì la rivoluzione».

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