Al Festivalletteratura di Mantova un vocabolario per raccontare le parole

Al Festivalletteratura di Mantova un vocabolario per raccontare le parole
di Renato Minore
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Venerdì 11 Settembre 2015, 18:01
«La parola è l'unica patria» si potrebbe parafrasare ciò che, dal suo esilio americano, scriveva Czeslaw Milocz. A Mantova, a Festivalletteratura che si apre mercoledì prossimo, otto scrittori europei (Melania Mazzucco, Maylis de Kerangal, Gëzim Hajdari, Stefan Hertmans, Peter May, Jorge Carrión, Zdravka Evtimova, Kostas Akrivos) provano da oggi fino a domenica a raccontare il «cuore messo a nudo» di una parola, il suo genoma, quel suo incancellabile tesoro di storia, identità ed emozione che ciascuna d'esse può evocare.



Per ognuno la parola è singola e insostituibile, proprio quella e non un'altra, “gusto” o “vittoria” o “sopportazione” o “esilio” o “migrazioni” (ne anticipiamo tre: “acqua” “straniero” e “viaggio”). Sono «parole d'autore» raccolte per l’ottavo anno consecutivo, dai linguisti Giuseppe Antonelli e Matteo Motolese in un vero lessico intellettuale europeo, redatto finora da ottantaquattro scrittori di una trentina di paesi in lingue romanze, germaniche, celtiche e slave.



Un Vocabolario tutto particolare che, invece di spiegare le parole, le racconta. Con la voce che le modella, ognuna nella sua irripetibile fisionomia fonica e semantica, queste parole vogliono realizzare l'idea già prefigurata nello "Zibaldone". Cioè «una specie di piccola lingua o vocabolario strettamente universale», secondo Leopardi, dove «la letteratura è uno specchio in cui si vede più di quello che c'è nell'altra parte, nella realtà». E la parola all’ombra è davvero il limite che produce «varchi di comunicazione e apre spazi di viabilità». È l'ibrido «non più racchiudibile nei modelli che siamo soliti attribuire al mondo, in griglie e classificazioni preostituite».



Quando Leopardi, in quella sua pagina di diario, vagheggiava un "Vocabolario universale Europeo", immaginava che l'opera («degna di questo secolo, ed utilissima alle lingue non meno che alla filosofia») si fondasse su "esempi giudiziosamente scelti di scrittori veramente accurati e filosofi". Di qui la particolare natura della raccolta che ha costituito negli anni il vocabolario di Mantova, Più che lemmi, le voci sono schegge di racconto, squarci di autobiografia. Più che riflessioni linguistiche, puntelli di idee forti, pronte ad animare il dibattito in un momento in cui, anche attraverso parole come viaggio o esilio o migrazioni o acqua, ha bisogno di confrontare le proprie identità.