Lecce “fuori le mura”, l’altro volto della città

Lecce “fuori le mura”, l’altro volto della città
di Claudia PRESICCE
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Mercoledì 25 Agosto 2021, 05:00

Una strada di asfalto nero, e lucido come lava, squarcia una campagna colorata, e sembra un fendente su una tela. Ma ancora di più turba ritrovare la stessa strada completamente abbandonata, che, diventata sconnessa e a tratti divelta, continua ancora a tagliare la stessa terra fiorita, ma con le sue macerie. Così ferri sorgenti da mattoni abbandonati, cemento ammassato in varie fogge, cartelli divelti diventati streghe metalliche, muretti diroccati a memoria del tempo che fu e così via, in un panorama immaginifico da dimenticare, restituiscono l’idea di un paesaggio ieri florido, e splendente, e oggi sedotto e abbandonato nel peggiore dei modi. Il degrado dei sobborghi lontani dal centro vitale e pulsante di una città è molto nutrito da atti individualistici e dall’idea che fuori, “fuori dalle mura” si sarebbe detto un tempo, si agisca come su un libero pascolo, in una zona franca dove tutto si può fare per il proprio comodo e soprattutto dove non esiste l’idea del bene comune.
«Il volto del fuoriurbano leccese è contraddittorio. La caduta del mondo contadino va di pari passo con l’ascesa della più spinta individualizzazione, dispiegantesi in occupazione ludico-secondoresidenziale dei suoli lontani dal costruito cittadino ingabbiante…».

Il libro

Comincia da qui un’analisi articolata basata sull’osservazione delle catastrofi che fanno da corollario alla città di Lecce (analogamente a tante altre in Italia) racchiusa da Michele Mainardi in “Extracittà. Anche questa è Lecce”, il libro che raccoglie una “narrazione partecipata” su quegli spazi extracittadini che sono stati colonizzati senza cura, senza progetto e soprattutto senza rispetto. Sfregi e incuria hanno reso questo paesaggio come un territorio post bellico, dove emergono rovine e insegne incomplete dell’umano agire, abbandono accanto a fresche e compiaciute opere personali evidentemente non autorizzate e non conformi al decoro di una società civile.

Lo studioso guarda e racconta campagne e paesaggi attorno a Lecce, mediamente urbanizzati (a volte barbaramente, altre meno): e altrettanto fanno le immagini di Carlo Miglietta che corredano con scorci, profili, vedute e ritagli di strade queste riflessioni. Così il viaggio si fa duplice, prospettico come se inseguisse una tridimensionalità necessaria a spiegare l’urgenza di un intervento, di un cambio di rotta culturale. E, mentre il racconto si dipana attraverso tante suggestioni, si compongono sensazioni e visioni che restituiscono il senso di questa pubblicazione. La scelta del bianco e del nero sembra elogiare il disagio, la protesta e, in rarissimi casi, la poesia di cieli leccesi mozzafiato che, come le stelle, stanno a guardare. Si tratta del terzo volume del progetto editoriale di Mainardi “Lecce, urban sprawl” cominciato nel 2019 con un primo libro dedicato alla tangenziale “Circumlecce”, proseguito nel 2020 con “Oltrelecce” sulle periferie e oggi approdato a questa nuova produzione che guarda alle campagne intorno alla città. 

I "mali" della periferia urbana

Nella presentazione, Luigi Ratano presidente del Collegio dei Geometri della provincia di Lecce (che ha caldeggiato la nascita del volume), sottolinea come Mainardi sia entrato nel cuore dell’indagine sullo “slabbrarsi del costruito nell’extraurbano, che si porta dietro diverse problematiche, dall’autore affrontate con intelligenza, piglio acuto e curiosità”. Rifiuti, cancellate di fortuna, fuori pista che accompagnano nel nulla di rovi e immondizie stuzzicano le note ironiche dell’autore che ha, per ogni fotografia, una battuta pronta. 
A un certo punto invita anche i lettori a guardare con altro occhio le cose, e a ricordare le parole di De Andrè: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.

La scarsa manutenzione dei luoghi ferisce gli occhi del viaggiatore, e anche gli accessi alle zone private spesso lasciano a desiderare: «Nella nuova campagna di Lecce si sono allentati i cardini delle inferriate, delle entrate. Li si è completamente trascurati, gli imbocchi…», scrive Mainardi osservando tanti ingressi in cui si preferisce far “infracidire il battente” piuttosto che operare delle necessarie operazioni di custodia dei cancelli. 

Ma i capitoli di questa operazione che punta a dissodare i territori dell’indolenza e della dimenticanza, sono davvero tanti e corrispondono a diversi approcci. «Si tratta di un ‘viaggio’ di un curioso intellettuale nel ‘vicino geografico’: di Lecce che cresce un po’ troppo spontaneamente nella campagna – scrive in apertura del volume Eugenio Rizzo, presidente del Comitato tecnico scientifico del Collegio Geometri di Lecce – la scrittura di Mainardi ci prende, e ci fa toccare con mano quello che racconta con partecipazione, pure emotiva».

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