Capasa: «Prima Milano, poi la Puglia e un’anteprima per ripartire»

Capasa: «Prima Milano, poi la Puglia e un’anteprima per ripartire»
di Leda CESARI
6 Minuti di Lettura
Sabato 19 Febbraio 2022, 05:00

Il ritorno si celebra sulle passerelle della Milano Fashion Week di questi giorni, con un brand nuovo eppure antico: Capasa Milano. E una collezione numero zero, dettata dalla stessa “urgenza, intensità e spinta al cambiamento” che nel 1987 videro la nascita di Costume National, “e della lunga avventura che ne è seguita”. Titolo della nuova collezione, infatti, “before it starts”, “prima che tutto abbia inizio”. Progetto sì personale, ma avviato sui binari di una “continuità atemporale” in cui non c’è spazio per l’ego, e che privilegia appunto il brand. E un progetto per la Puglia: dove tutto è cominciato, appunto. Ennio Capasa riparte da qui.

Entusiasmo da 1 a 10?

«Quando ho iniziato la mia avventura creativa di Costume National rispondevo a una forte spinta interiore verso un approccio nuovo alla moda, ed Amy Spindler, grande giornalista del New York Times, scrisse che avevo influenzato la moda degli anni ‘90 quanto Armani quella degli ‘80. Anche oggi la mia ricerca rivolta all’essenza mi porta a pensare che un progetto abbia senso solo se contiene una visione autentica e innovativa, e al momento provo la stessa emozione degli inizi di Costume».

Anche se in trent’anni è cambiato non il mondo, ma l’universo.

«Ed oggi dobbiamo confrontarci con una nuova geografia di fashion community, con generazioni che guardano alla moda in maniera molto diversa, estremizzando quell’attitudine verso la fluidità di genere che noi abbiamo contribuito a codificare e verso brand attenti ai temi dell’ambiente e della sostenibilità sociale».

Quali saranno gli strumenti per conquistare queste nuove generazioni?

«Penso ad esempio ad un uso della tecnologia integrata alla salvaguardia dei saperi artigiani e del made in Italy, anche per rivoluzionare i tempi di consumo dei prodotti».

Che oggi si bruciano subito, e questo non va esattamente in direzione di una nuova sostenibilità.

«Per questo sto provando ad immaginare prodotti durevoli che mantengano la loro modernità nel tempo grazie a uno stile forte e a una qualità intrinseca anche a livello creativo. Per questo proporrò dei mini guardaroba da uomo e donna più o meno ogni tre mesi, con alcuni capi e accessori che saranno sempre acquistabili on line, ma la maggior parte di essi sarà invece costituita da serie limitate da conservare a lungo.

Prodotti dalla lunga vita, il contrario dell’usa-e-getta: del resto ho sempre lavorato su un concetto di stile dalla forte connotazione timeless, senza tempo».

Lo sviluppo del nuovo brand passerà anche attraverso la Puglia e il Salento.

«Ho creato questa collezione numero zero collaborando con produttori d’eccellenza del Made in Italy, ma vorrei affiancare alla filiera che mi segue anche una piccola factory pugliese da realizzarsi con un partner industriale. Oggi la Puglia è all’avanguardia in Italia nelle produzioni di moda e offre grandi possibilità di sviluppo. Mi piacerebbe coniugare il massimo della sartorialità con la modernità più spinta: progettazioni in 3D, tagli laser e nanotecnologie al posto di forbici e macchine da cucire, ma senza rinunciare ai punti a mano. E caratterizzando il tutto con una grande attenzione alla trasparenza dei processi produttivi e alla tracciabilità e alla sostenibilità ambientale e sociale degli stessi: nella mia carriera ho spesso trattato il tema del riciclo e del recupero, che rimarrà centrale nelle mie scelte».

I tempi sono però difficili e molte aziende del Made in Italy hanno venduto o chiuso, anche a causa della pandemia. Ci sono le condizioni per questo progetto?

«Io credo che in Puglia la politica stia lavorando al meglio per presidiare i distretti produttivi, che comunque si creano nel tempo. I pugliesi sono bravi in tanti settori - penso al Salento, ma anche a Barletta e a Taranto - e io ho voglia di trasferire un po’ del nostro know-how e della nostra visibilità alla mia terra».

Dove un giorno tornerà?

«La mia casa è il mondo. E la Puglia è una delle mie case, il luogo in cui c’è ancora parte della mia famiglia».

E il vecchio brand Costume National?

«Non ho seguito molto la gestione del gruppo giapponese che lo ha acquistato. Faccio fatica a pensarci, perché vicende legate a un problema finanziario di un nostro partner importante, Itierre, mi hanno costretto a cedere le mie quote in un momento molto positivo per CN. Oggi so solo che un gruppo cinese, approfittando di un momento poco definito della gestione, ha registrato CNC in modalità non chiare e oggi gestisce oltre 140 boutique in Cina, con un fatturato superiore a 150 milioni».

A cosa si è ispirato per la collezione zero di Capasa Milano, che contempla il coinvolgimento del brand “futuroRemoto” e di Gianni De Benedittis?

«Si tratta di una collezione di lancio in serie limitata, ed infatti si chiama “before it starts”. Stavo preparandomi a lanciare il nuovo brand a settembre 2022, poi ho deciso di aprire uno spiraglio sul lavoro che sto portando avanti per la Milano Fashion Week di questi giorni. Quanto a Gianni De Benedittis, è un designer internazionale di gioielli, oltre che un amico, e stiamo lavorando insieme alla creazione di pezzi unici che saranno alla sfilata».

Lo stile del nuovo brand?

«Parto dal mio, che naturalmente si è evoluto respirando l’enorme cambiamento di questi anni. Trovo molto stimolante quanto sta succedendo oggi nel mondo, a cominciare dalla maggiore consapevolezza sui temi legati alla sostenibilità ambientale e sociale, alla fluidità di genere e in generale all’inclusione delle diversità e al cambiamento epocale della comunicazione. Formalmente tutto questo si traduce in una maggiore flessibilità creativa e in un’apertura alle contaminazioni, e questo vale sia per le creazioni che per la costruzione di storie aperte alle nuove generazioni di creativi. La moda degli anni ‘90 era in questo senso più rigida e a volte eccessivamente rigorosa, e tutto sommato più estetica. Oggi c’è una componente più etica, e in più i brand hanno acquisito una forte responsabilità da un punto di vista sociale e formativo. Una ricerca globale di Edelman del 2018 ci dice che due terzi degli acquirenti della moda decidono gli acquisti basandosi sulle posizioni dei brand sui temi politici e sociali, e il 53 per cento ritiene che questi possano fare di più per risolvere problemi di natura sociale rispetto ai governi. Per questo credo che mai come oggi sia importante avere un punto di vista preciso su questo e far coincidere etica ed estetica».

Come si immagina il futuro di Capasa Milano?

«Come ho già spiegato, vorrei lavorare su prodotti timeless e serie limitate, sulla scarsità più che sulla iper-offerta. Pochi punti vendita wholesale e sicuramente delle boutique inaspettate, quasi degli hub o dei punti d’incontro, anche se a gran parte della distribuzione dei prodotti sarà orientata all’on-line. Spero anche di riuscire non solo a vendere, ma anche ad affittare i miei prodotti tramite web, e di creare un canale per il riciclo e il riuso dei prodotti stessi. E poi mi auguro di coinvolgere in maniera attiva la community che seguirà il brand, per riceverne idee e proposte: lo trovo molto stimolante».

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